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INTERVISTA a PLACIDO DOMINGO - di Mario Mattia Giorgetti

Placido Domingo. Foto Fiorenzo Niccoli Placido Domingo. Foto Fiorenzo Niccoli

Ora che il Coronavirus ci ha messo a nudo, quali iniziative innovative si possono prevedere nella stesura di un programma da proporre?
Questo virus ci ha seriamente penalizzato. Ma credo che da ogni esperienza negativa possa nascere qualcosa di buono. L’innovazione tecnologica, il giusto distanziamento e il rispetto dovuto gli uni agli altri potrebbero essere la chiave per arrivare a un rinnovamento che adesso è solo un compromesso necessario, ma poi potrebbe diventare la base per arrivare a una quotidianità più vivibile per tutti.

Lei è un personaggio poliedrico: cantante, direttore d’orchestra, quindi a conoscenza delle problematiche che ricadono sugli artisti, se fosse a sovrintendere un Ente Lirico quali strategie, in tempo di pandemia, metterebbe in atto per proteggere gli artisti (interpreti, orchestrali, coristi, danzatori, compreso tutto lo staff di supporto: sartoria, costumistica, laboratorio scenografico)?
Stiamo parlando di una responsabilità molto grande: garantire la sicurezza di ogni lavoratore. Sono necessarie competenze scientifiche più che artistiche, perciò lavorerei in equipe con i tecnici sia per far rispettare le disposizioni di legge sia per creare un solido protocollo interno. Mi piacerebbe sfruttare anche la collaborazione con un team universitario per partecipare a qualche studio dove si faccia un uso più intensivo dei test rapidi. Ma la prima cosa che farei è chiedere a ciascun lavoratore, a qualsiasi livello, il massimo senso di responsabilità in teatro e ancor di più fuori dal teatro a salvaguardia di tutti. Serve consapevolezza e collaborazione!

Per non perdere l’attenzione e quindi l’interesse del pubblico quale tipo di eventi metterebbe in gioco?
Alla gente ora manca il teatro. La musica classica e l’opera, come anche la prosa e il balletto, non devono diventare surrogati. Stravolgere il capolavoro di un grande compositore pensando di farlo diventare più “vendibile” sarebbe un grande errore. I capolavori sono lì che ci aspettano. La sfida è interpretarli e portarli a tutti cercando di esaltarne ancora di più l’essenza, visto il momento in cui viviamo, e con i mezzi che abbiamo a disposizione. E di mezzi – nonostante le limitazioni del COVID – oggi ne abbiamo davvero di incredibili.

Se la pandemia dovesse persistere per anni, ai creatori di lirica (compositori, librettisti, registi) che richieste avanzerebbe perché la creatività vada avanti e sostenuta?
Non è facile oggi pensare per un teatro di investire in nuove composizioni. Certo gli autori dovrebbero prevedere ad esempio la possibilità di distanziamento integrandola già nella loro opera. Ma non è semplice perché il distanziamento è l’opposto della nostra società che si basa sulle interrelazioni tra gli individui. Mi consola però pensare che anche ai tempi di Donizetti, Verdi, Puccini, etc… i vari paesi erano alle prese con epidemie di malattie infettive come il colera e la “spagnola” che in realtà è nata negli USA.

Quali iniziative si possono mettere in campo per non disperdere talenti che si avvicinano alla lirica?
Non è un momento semplice per un giovane che cerca la sua strada. Immagino che alcune limitazioni possano anche arrivare a dissuadere. E oltre a queste il problema economico di sostenersi negli studi. Per questo credo che la selezione nell’ambito musicale diventerà ancora più rigorosa, ma dobbiamo sostenere anche economicamente con borse di studio chi ha qualità e tenacia: non possiamo rischiare di perdere le giovani promesse.

Quali impegni chiederebbe all’Unione Europea perché la cultura delle discipline dello spettacolo dal vivo (musica, lirica, danza, performance) non cada nell’oblio?
Credo sia fondamentale che i paesi dell’Unione Europea si confrontino e si uniformino sia nella lotta al virus sia nella tutela e nel rilancio degli spettacoli dal vivo. Il nostro mondo è fatto per la maggior parte di libero-professionisti e dunque non può resistere a lungo. Occorrono strategie comuni che ci permettano di sostenere chi è in difficoltà, perché non abbandoni la sua professione, e che ci guidino per convivere in sicurezza con il virus finché un vaccino non ci darà la protezione. La cultura ci ha aiutato a superare i momenti più difficili della nostra storia e deve essere sostenuta perché non è un passatempo per pochi, ma è una ricchezza per tutti e di tutti.

Lei pensa che lo spettacolo dal vivo subisca un declino da parte dei mezzi mediatici (streaming, video web, televisioni) a causa della situazione pandemica?
Usare lo streaming durante il confinamento per raggiungere tutti quelli che avrebbero voluto essere a teatro lo trovo una grande opportunità, ma pensare che lo streaming di spettacoli a porte chiuse possa sostituire l’opera lo trovo molto triste. Il pubblico è parte dello spettacolo che ogni sera prende vita sul palcoscenico: anche se in sala ci sono meno persone io a Firenze (Nabucco) e a Vienna (Simon Boccanegra) ho sentito tutto il calore del pubblico, come se fosse pieno. 

Ai giovani aspiranti cantanti quali consigli si sente di dare in questa situazione di paure e incertezze?
Difficile davvero la situazione di un giovane cantante oggi. Consiglio di trovare le motivazioni che l’han spinto a scegliere questa carriera e di non abbandonare lo studio. Ci vuole determinazione. Tutto nella vita ci insegna e ci fa crescere.

Mario Mattia Giorgetti

Ultima modifica il Sabato, 21 Novembre 2020 12:31

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