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INTERVISTA a MAXIMILIAN NISI - di Francesco Bettin

Maximilian Nisi Maximilian Nisi

Attore e regista intuitivo, elegante, Maximilian Nisi si forma alla Scuola del Teatro d’Europa di Milano, con Giorgio Strehler, e successivamente studiando al Teatro di Roma con Luca Ronconi, con i quali lavora in alcune importanti produzioni (“Faust Frammenti” e “I Giganti della montagna”, col regista triestino, e “Verso Peer Gynt” con Ronconi, solo per citare qualche titolo). Ma anche con Vassil'ev, Mauri, Giorgetti, Lavia, Scaparro, Cavani, Piccoli e molti altri. Attivissimo anche nelle fiction televisive, al cinema è stato diretto da Klaus Maria Brandauer, Dario Argento, Emidio Greco. Faentino di nascita e torinese di adozione, Nisi è uno degli attori più interessanti e rappresentativi della sua generazione. La stagione appena finita l’ha visto accanto a Milena Vukotic e Salvatore Marino in “A spasso con Daisy”. 

Il Teatro, una vocazione, un grande amore per te. C’è stato un momento preciso dove hai capito che avrebbe avuto un ruolo importante nella tua vita?
L'ho capito con il tempo. La vocazione per il Teatro si manifesta lavorando, anno dopo anno, non credo sia un punto di partenza, credo, piuttosto, sia un punto di arrivo. I sacrifici, l'impegno, l'entusiasmo legati al lavoro, quando si manifestano, possono motivare e confermare una scelta, il più delle volte, fatta per caso e con un pizzico di incoscienza. Di sicuro è un percorso che, nonostante le innumerevoli difficoltà di studio e di collocazione, continuo a consigliare, anche se ritengo che ci voglia una motivazione profonda, altrimenti la possibilità di abbandonare è molto concreta. 

Il mestiere dell’attore, oggi? 
È un salto quantistico in altri universi. Essere più persone in una sola persona: è questo che racconta al meglio quell’inquietudine esistenziale di cui, anni fa, mi sono dolcemente ammalato. Ho bisogno di coltivare la sfera immaginativa. Amo raccontare storie, dar voce a personaggi di carta o a persone realmente esistite che non hanno più la possibilità di esprimersi. Adoro mescolare i miei pensieri con quelli di qualcun'altro, è una cosa che mi ha sempre affascinato, mi diverte e mi fa star bene. Attraverso i personaggi che interpreto posso raccontare me stesso.  «Date ad un attore una maschera e vi dirà la verità» diceva Wilde. Non posso che sottoscrivere. Immaginare di essere altro da sé libera aspetti della nostra persona a volte insospettabili. È una meravigliosa sensazione di libertà, un esercizio fenomenale, un inno alla vita che mi sento di consigliare a tutti.  

Qualcuno a cui guardi per “rubare” qualcosa? 
A chi ha lavorato e lavora con passione e rigore, a chi ha entusiasmato ed entusiasma o che ha affascinato ed affascina aprendo le menti e portandole altrove. Nel mio passato ho avuto la fortuna e la sfortuna di lavorare con grandi registi, colleghi straordinari, e di interpretare autori meravigliosi. Parlo di fortuna e sfortuna, perché dopo aver volato è difficile tornare con i piedi per terra. 

La pandemia cosa ha cambiato, prima e dopo, nel teatro e in te, attore? 
Tutto. Ha cambiato noi stessi e il rapporto che abbiamo con gli altri. Ha cambiato il mondo e la nostra percezione del futuro.  La vita oggi è diversa, le persone sono diverse e le nostre aspettative sono, senza dubbio, meno allettanti, meno luminose. Il secolo d'oro è passato e si è portato via tantissime cose. 

Come bisognava intervenire? 
Avremmo dovuto riuscire a rendere significativo questo passaggio, ma trovo che l'iniziativa sia stata, almeno fino ad oggi, alquanto scarna ed insignificante. La pandemia, inoltre, ha esasperato un degrado culturale e istituzionale che da tempo aveva iniziato a fare seri danni. Sono ancora molti i giovani che si dedicano con amore, estro e dedizione al Teatro, ma se le Istituzioni non incominciano a fare qualcosa di concreto per proteggere questa magnifica forma d’arte, sviluppando programmi, investendo risorse difficilmente riusciremo a riemergere. A volte mi chiedo se non sia proprio questo l’obiettivo. 

Non è abbastanza salvaguardato dunque, il Teatro? 
Il Teatro aiuta a pensare e un popolo che pensa è, senza dubbio, più complicato da governare. Siamo immersi in un lungo inverno e aspettiamo che qualche cervello illuminato si renda conto che servono semi affinché la primavera possa tornare e far nascere qualcosa di buono. 

Lavori da un po’ accanto a una grande artista dello spettacolo, Milena Vukotic. Che rapporto hai con lei? 
Ottimo. Milena mi piace molto. Adoro il rapporto che ha con il tempo e il suo modo di lavorare con serietà, ironia e rigore mi è familiare. Credo che ci capiamo perché, in fondo, la lingua che parliamo è la stessa. Del resto non è la prima volta che lavoriamo insieme. Alla stima reciproca, poi, si è affiancata anche una splendida amicizia. 

Qualche tuo rimpianto particolare? 
Per i rimpianti non ho tempo. Nella mia vita ho fatto cose belle e cose brutte e ho commesso diversi errori di cui oggi sono consapevole. Sono un essere umano a volte santo, a volte no. Il passato non si può cambiare, il presente va vissuto e del futuro sappiamo poco, ma guastarlo con rimorsi e rimpianti ritengo sia un peccato mortale. 

Chi devi ringraziare per il tuo percorso professionale? 
La vita stessa e alcune persone eccezionali che ho avuto il privilegio di incontrare. Il mio essere costantemente alla ricerca di qualcosa. Chi ho lasciato dietro le mie spalle e anche chi mi ha fatto del male. Siamo il prodotto delle nostre esperienze, l’importante è saperle elaborare e renderle ricchezza. 

Un legame particolare?
Sono molto legato a mia madre, il rapporto che ho con lei è solido e profondo. Le devo tutto. Mi ha insegnato ad essere quello che sono. Mi ha mostrato la via e ogni giorno è il faro che mi dà forza e speranza. 

Hai anche interpretato "Giuda" di Raffaella Bonsignori. Di quell’esperienza cosa ci dici? 
E’ uno spettacolo che ha avuto un ottimo riscontro di pubblico e di critica, che si è aggiudicato la menzione speciale della Camera di Commercio della Regione Liguria per testo ed interpretazione. Sul palcoscenico è salito un personaggio scomodo della nostra storia religiosa, un reietto, ma l'intesa con il pubblico è stata immediata. Forse perché conoscere la parte imperfetta che alberga nella nostra anima è importante, ci dà modo di tenerla a bada. Nutrirla è la via per evitare di esserne fagocitati. “Giuda” oltre ad essere una bellissima pièce teatrale, può raccontare tante cose di noi stessi grazie a quel gioco catartico a cui, in un Teatro, è difficile sottrarsi. 

Hai ricevuto diversi riconoscimenti durante il tuo percorso artistico. Che rapporto hai con i premi? 
I premi fanno piacere, ma solo perché legati al lavoro che abbiamo svolto. In questo momento ci sono più premi che ruoli da interpretare. Spesso assistiamo a premi che vivono per se stessi. Un premio dà gioia quando è motivato, meritato, quando segue un successo sul campo, per intenderci, altrimenti trovo che possa essere sterile, un appuntamento mondano come un altro in cui è la nostra vanità ad essere gratificata. Comunque il primo premio è sicuramente indimenticabile e quello che deve ancora venire è certamente il più ambito. 

L’attore e l’emozione, binomio inscindibile? 
Certamente. Un attore deve essere empatico, ma anche il pubblico non può esimersi dall'esserlo. Ci si può emozionare per una buona interpretazione, è vero, ma anche per un fascio di luce, una nota musicale, un silenzio. Viviamo in un momento storico terrificante in cui anche le cose più mostruose e disumane ci sembrano naturali, siamo anestetizzati, moralmente agonizzanti, anche se poi ci scopriamo a provare stupore guardando un tramonto e allora pensiamo che, dopo tutto, un po' di speranza nell'uomo ci sia ancora. 

La vita reale e il teatro, cosa sorprende di più Maximilian?  
Oggi trovo di gran lunga più sorprendente la vita. Del mio mestiere non mi sorprende quasi più nulla. A volte penso che se fossi meno attore e riuscissi a stare un po' più nei miei panni, sarei più felice. Ma amo il mio lavoro e non credo che potrei mai separarmene. Siamo “sposati” da più di trent’anni ed è un amore complicato, ma ancora pieno di passione. 

Cosa vorresti vedere o fare di più? 
Umanizzare l'umanità attraverso il Teatro. 

Qualcosa che ti piacerebbe portare in scena?
Argomenti e storie che possano essere utili allo spirito, che riescano ad appagare l'immaginazione e che diano a noi, strumenti della poesia del Teatro, la possibilità di celebrare e di condividere la bellezza che il Teatro può donarci. 

Lavorare con gli altri, con una compagnia, il suo significato? 
Una 'Compagnia teatrale' è: "l’insieme delle persone che allestiscono uno spettacolo". Abbiamo un po' dimentichiamo il senso di questa parola che deriva dal latino, 'cum panis', e che significa 'condividere il pane'. È una parola che implica generosità, altruismo, amicizia; cose belle, ma anche ormai impercettibili nel mondo individualistico in cui viviamo. Siamo sempre più isole separate in un mare sconfinato. Mi auguro, quanto prima, per il benessere e la felicità di tutti, maggiore compassione. 

Progetti futuri? 
Il 29 giugno, nel giardino del Teatro Olimpico di Vicenza, porterò in scena, accanto a Piergiorgio Piccoli, "The ages of man", reading musicato da Stefano De Meo, dedicato a William Shakespeare, il 7 settembre  per l' Accademia Olimpica di Vicenza, omaggerò Antonio Pigafetta, con l' adattamento teatrale di un suo diario intimo. A seguire, per Fiato ai libri, splendida rassegna letteraria nata a Bergamo, leggerò "L'isola di Arturo" di Elsa Morante. Insomma, cose belle. 

Francesco Bettin

Ultima modifica il Domenica, 05 Giugno 2022 12:19

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