venerdì, 29 marzo, 2024
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INTERVISTA A SILVIA GALLERANO - di Francesco Bettin

Silvia Gallerano in "La Merda". Foto Marco Pavanelli Silvia Gallerano in "La Merda". Foto Marco Pavanelli

Attrice eclettica e briosa, romana, Silvia Gallerano si diploma alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano e lavora da subito in tutti i campi artistici. Nel 2010 interpretando un testo di Cristian Ceresoli , “La merda”, vince, come prima attrice italiana, a Edimburgo, il prestigioso The Stage Award for Acting Excellence come Best Solo Performer e da quel momento, oltre ad altri propri progetti collaterali, gira il mondo con questo spettacolo ottenendo altri premi e grandi consensi di pubblico e critica. Nel decimo anniversario del progetto, quest’anno, ha ripreso lo spettacolo e noi l’abbiamo incontrata a Vicenza dove si è esibita al Teatro Spazio Bixio, nella Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, in una serata da tutto esaurito. Ci ha accolti serena e rilassata in camerino.

Come si fa teatro oggi nel nostro Paese, Silvia?
Mi dispiace partire subito facendo critica e sembrando antipatica…trovo, e comunque non lo dico solo io, che il sistema teatrale sia un po’ ingessato, in una fase di assenza di rischio. Certamente ci sono delle motivazioni economiche, forse anche generazionali. Si tende ad andare sempre sul sicuro, ecco. La tendenza a non dare spazio alla drammaturgia contemporanea è una cosa alla quale ormai siamo abituati, è da quando mi sono affacciata a questo mestiere che è così. Al tempo stesso trovo che il teatro è necessario e il fatto di trovarsi nello stesso spazio e nello stesso tempo è meraviglioso. Si riesce comunque a trovare delle vie “traverse”, e in qualche modo anche questo teatro trova una sua strada.

Parliamo di “La merda”. Questo spettacolo ha un significato particolare nella tua carriera?
Beh, ha segnato il momento in cui le persone hanno smesso di chiamarmi a lavorare (ride). Diciamo che è un po’ passata una vulgata per cui io facevo solo le mie cose, o solo con Cristian Ceresoli, oppure che non mi si poteva chiamare per spettacoli che avessero meno potenza in scena. E ancora, che un po’ facevo paura. E’ successo allora che si è aperta un’altra parentesi professionale, quella del cinema e della televisione. Volentieri, perché dopo un’opera così forte come “La merda” io stessa facevo fatica a capire dove “mettermi”. Tutto questo mi ha aiutato, mi ha fatto scoprire anche altri modi di lavorare.

Un testo così forte ha smosso e smuove le coscienze anche dell’ambiente teatrale?
Non lo so. Se parliamo di alcune istituzioni, no, nel senso che non vengono neanche a vederlo, e tanto meno lo programmano, se invece parliamo di colleghi, si’, quelli che son venuti a vederlo son rimasti colpiti e hanno avuto piacere di conoscerci, tanto è vero che sono nate amicizie e stime. Una delle mie più grandi emozioni, per dire, è quando è venuta a vederlo Franca Valeri, per me una vera dea dello spettacolo. Forse è anche questione di riconoscersi, di ritrovare un certo impegno attoriale. Sono affetti che nascono, sapendo di fare lo stesso gioco. Il tipo di teatro che faccio io poi non è che incontra l’ambiente più classico del nostro lavoro, quindi certi addetti ai lavori nemmeno li si vede.

Com’è nata l’idea di metterlo in scena, dieci anni fa?
C’era un desiderio con Cristian Ceresoli di fare qualcosa assieme, e l’esigenza mia di dare spazio a una voce, a certe parole del personaggio, a una maschera vocale che esisteva già da un po’ e che era venuta fuori in un paio di spettacoli con la mia vecchia compagnia, I Dionisi. E’ uno spettacolo nato pezzo per pezzo. All’inizio nessuno ci voleva programmare, c’era paura della nudità, dello stesso titolo. C’era un grande pregiudizio senza neppure sapere di cosa si trattava. Pensa che la prima volta che l’ho fatto per intero è stata in una nostra casa invitando cinque amici, poi in uno scantinato di una libreria…insomma tutto è stato molto carbonaro. E credo che si senta, si possa captare questa cosa, quell’origine.

Il successo ottenuto poi è dunque grazie anche a questi momenti di caparbietà?
Certo, di aver insistito, di averci creduto nonostante i no ricevuti, e al fatto di averlo tradotto e di scegliere di andarlo a fare a Edimburgo, lì c’è stata la vera svolta. E dopo quell’exploit, i premi, tutti quelli che in Italia non l’avevano voluto non han potuto far finta di niente, anche se solo una di queste persone è venuta a testa bassa, in qualche modo a chiedere scusa. Invece c’è anche chi è salito sul carro del vincitore. All’inizio eravamo abbastanza arrabbiati di questo ma in seguito abbiamo trovato il modo di costruire un percorso di rappresentazioni che non avesse bisogno di quelli che non ci avevano voluto.

Avete ancora difficoltà nel proporlo in Italia?
Si’, ad esempio nei teatri stabili ci siamo stati solo tre o quattro volte. Andiamo a rischio d’impresa, a incasso nei grandi spazi, grazie anche a Produzioni Fuorivia che lavora in certi teatri importanti, o nelle piccole sale, quelle un po’ di resistenza. Non siamo mai stati programmati in una stagione teatrale in una grande città. Sono stati tantissimi ancora che ci hanno detto di no, ma a questo punto va bene così, ci siamo costruiti noi il nostro circuito. Il vantaggio in Italia è che comunque i posti ci sono e le persone che amano andare a teatro altrettanto, sono solo alcuni teatri che si svuotano, non tutti. Il desiderio di andare a teatro c’è, il problema sta nella proposta che viene fatta al pubblico. Trovo che andare direttamente a prendersi direttamente le persone sia più intelligente, invece che passare attraverso il giudizio di chi pensa di saperne di più, di quelli che poi sarebbero ben felici di venirti a vedere.

La protagonista è totalmente inghiottita da questo pantano, ma tenta di reagire o no?
E’ inghiottita e lo produce, anche. E invece di reagire felicemente ci vuole sguazzare; non è abbastanza intelligente, evidentemente, per capire di reagire.

Vogliamo dire che è un po’ un riassunto di quello che ci circonda in questa epoca, in questa società?
Certamente si’.

Il teatro oggi a tuo parere ha bisogno di nuove spinte, di innovazioni o di qualcos’altro nel suo proseguo ?
Credo abbia solo bisogno di ritrovare la sua essenza, di riconoscersela, come elemento suo fondante, il fatto che ci si trovi tra esseri umani nello stesso luogo e nello stesso tempo. Questa è l’essenza del teatro, saperla vivere così. Altrimenti si va al cinema no?

Quali sono i tuoi prossimi impegni Silvia? Cosa ti aspetta?
Adesso sto facendo un lavoro che in realtà parte anche da questo che abbiamo ripreso. Anni fa ho iniziato a fare dei laboratori sulla nudità dei corpi femminili e da questo lavoro è nato uno spettacolo che s’intitola “Svelarsi”, una specie di serata strana, a metà tra uno spettacolo e un’assemblea femminista. Sono otto ragazze in scena, più io che curo regia e drammaturgia e in scena sono una specie di maitresse. Abbiamo cominciato a novembre, da poco, e comincia ad avere una certa curiosità attorno, sembra quasi si ripeta il percorso di “La merda”. E’ un progetto solo per donne, e la stragrande maggioranza dei direttori dei teatri sono maschi, e non potranno venire a vederlo…

Francesco Bettin

Ultima modifica il Giovedì, 01 Dicembre 2022 18:02

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