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INTERVISTA A GIULIANA DE SIO - di Francesco Bettin

Giuliana De Sio Giuliana De Sio

Ha iniziato da poco la tournée di “La signora del martedì” di Massimo Carlotto, accanto a un attore suo amico di vecchia data, e compagno, come Alessandro Haber (che la spinse a a far l’attrice) e a Paolo Sassanelli, con la regia di Pierpaolo Sepe. Presenza e bravura, grande charme, è un’attrice che cura ogni particolare dei personaggi che interpreta. Ha debuttato nel 1977 nello sceneggiato televisivo “Una donna”, subito dopo ha lavorato con Marcello Mastroianni in “Le mani sporche” di Sartre, con la regia di Elio Petri e poi una lunghissima carriera teatrale e cinematografica che l’ha vista impegnata in numerosi successi, in film di Luciano Odorisio, Massimo Troisi, Francesco Nuti, Monicelli, Maurizio Ponzi, Carlo Lizzani. In tv è stata, tra le altre cose, la maestrina in “Cuore” diretto da Luigi Comencini e in teatro da diversi anni ottiene grandi consensi portando in scena testi particolarmente accattivanti e originali. L’abbiamo incontrata a Thiene, al teatro Comunale, prima di una recita de “La signora del martedì”, con la quale girerà l’Italia fino ad aprile. 

Quanto stanca, Giuliana, fare teatro? 
Molto, si’, anche se questo che sto facendo è in assoluto lo spettacolo  dove mi stanco meno. Però mi ha impegnato tanto a livello psicologico nella fase preparatoria. 

Come nasce l’idea di portare in scena “La signora del martedì”? 
Un anno fa chiamai Massimo Carlotto e gli dissi che mi piaceva il noir e che volevo fare qualcosa di quel genere in teatro. Si pensò così a questo suo testo, aveva tanti personaggi monologanti, per me il teatro invece è dinamica. Gli dissi che potevamo riscriverlo, con la sua supervisione monitorata, tenendo delle grandi parti del testo originale, naturalmente. Abbiamo così messo dentro, ad esempio, il tango, legandolo a delle situazioni specifiche. Al debutto ero terrorizzata, invece è piaciuto molto, anche a lui, e questo è importante. E sta andando molto bene. 

Nelle scelte dei testi ogni anno lei non sbaglia un colpo, Giuliana. 
In questo mi devo dire che sono brava, sì’, mi piace che mi venga riconosciuta questa cosa anche perché chi compra lo spettacolo certe volte non riconosce mai fino in fondo la qualità. 

Lei li ama molto i suoi spettacoli, si vede, anche perché li porta in giro per tanto tempo. 
Con questo finiamo il 10 aprile, con “Le signorine” di Gianni Clementi facemmo 300 repliche, ma lo spettacolo che ho portato in scena più a lungo è stato “Notturno di donna con ospiti”, di Annibale Ruccello, la cosa più bella che ho fatto nella mia vita. Si può vedere su Youtube e anche se è girato a Cinecittà rende lo stesso molto, il testo “prende”. 

E il suo personaggio attuale, Alfonsina-Nanà, chi è veramente? 
Un’ossessione nella testa di un altro, ma la stessa riguarda anche la sua vita, è un personaggio da tragedia greca. Lei è completamente cavalcata da un destino avverso, che ritorna. Avevo scritto anche un monologo forte, da inserire nel testo, poi mi sono autocensurata per fortuna. Diciamo che Nanà è sfortunata, mi fa pensare anche un po’ alla “Lolita” di Nabokov, è un personaggio letterario, molto romanzesco, qualche volta faccio fatica a starci dentro anche se mi godo il personaggio, alla gente piace. 

Cosa piace di più? 
Forse che è uno spettacolo che va dalla tragedia al vaudeville, al noir, al thriller, poi torna nella tragedia, che erano cose che io temevo all’inizio. Lei che si compra il sesso, che lo controlla, ha anche poi una specie di regressione bergmaniana con attimi totalmente psicotici, poi è tutto un precipitare verso un destino brutto, verso ricordi di pedofilia. I personaggi sono belli, Carlotto li descrive bene, forse quello che amo di più è Bonamente, l’attore porno. Certo sono dei personaggi disperati. 

Veniamo a lei: come presero in famiglia la sua decisione di fare l’attrice? 
Non la presero, non gli diedi la possibilità. Nessuno ha detto niente, a parte che a casa mia non c’era nemmeno la famiglia, i miei si son subito separati, poi risposati. A 18 anni e un giorno io ero già andata via da casa. E’ stato piuttosto proprio Alessandro Haber che ha voluto che io diventassi assolutamente un’attrice, mi ha spinto in quella direzione. 

Il cinema, Giuliana, l’ha frequentato molto, grandi successi, grandi autori. 
Si’, ma quello che avrei voluto fare io era il cinema di quando non avrei potuto esserci, quello del dopoguerra. Ma con dei grandi registi ce l’ho fatta a lavorare, anche se per poco, poi alcuni sono morti. 

Un ricordo di Elio Petri? 
A parte il regista, aveva delle qualità umane, lo spessore, la cultura e poi l’ironia, la leggerezza, la sapienza di tutto senza che questo pesasse minimamente nel suo modo di fare. Era un uomo che si intendeva di tutto, religione, psicanalisi, musica. E poi il suo cinema aveva un segno preciso, pittorico, raramente si trova nei registi di oggi. Forse nel film di Matteo Garrone, anche se con quel cinema non c’entra niente. Adesso vedo che finalmente molti giovani registi Petri lo stanno rivalutando, lo studiano, lo nominano. 

Il successo cos’è per lei? 
Difficile dirlo. Col tempo ha assunto altri aspetti, si è consolidato, non è quello dei vent’anni, dei film con i comici del momento, Troisi, Nuti. Il successo comunque variava di qualità anche anni fa. Era travolgente con gli sceneggiati della domenica sera quando c’erano solo le reti Rai. “Una donna” fece venti milioni di spettatori una sera, cosa che manco la partita più importante dei mondiali può fare. Io non ero nessuno, e il giorno dopo che sono andata a prendere il giornale avevano pagato due paparazzi che son usciti da sotto il bancone, mi sono presa un colpo, sono scoppiata a piangere. 

Erano anni un po’ diversi, i Settanta, Ottanta? 
Si’, dopo lo sceneggiato c’era anche il teatro in tv, che io ho fatto, con testi di Sarte, Cechov, Ibsen, quindi la tv che provava a diventare cinema, con “La piovra”, diretta da registi più cinematografici, con le musiche di Ennio Morricone. Quindi c’è stata la televisione considerata trash, con spettacoli leggeri e fiction che raggiungevano anch’esse tantissimo pubblico, che io ho fatto per una decina d’anni, come “L’onore e il rispetto”, “Il bello delle donne”. 

Ha anche fatto la ballerina a “Ballando con le stelle” su Rai Uno. 
Finalmente ho incontrato il ballo, è stato un grande incontro. Mi sono tanto divertita, ma è stato anche un incubo, quattro mesi ad allenarmi per sette ore al giorno, con dei ballerini bravissimi. Mi criticavano anche molto, mi hanno fatto nera, anche se io non demordevo. Erano torture quegli allenamenti, però io credo molto al lavoro sul corpo. Scatenarlo in qualche modo, nel ballo, nello sport salva la vita. Lo preferisco moltissimo anche alla recitazione, peccato che non posso più giocare a tennis, a causa di un’operazione alla spalla sbagliata. Mi sono data al tango e dopo un po’ che lo studiavo ho pensato che dovevo farne qualcosa… ecco perché lo si trova anche nello spettacolo. 

Prossimi impegni? 
In aprile, subito dopo che ho finito questa tournée, inizio le prove di uno spettacolo Premio Pulitzer, “I segreti di Osage County” di Tracy Letts, con la regia di Filippo Dini, che faremo per tre settimane a primavera avanzata a Torino. Per la stagione prossima c’è anche la ripresa de “La signora del martedì”. 

Professionalmente è completamente soddisfatta Giuliana de Sio? 
No, in realtà il cinema mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca. Ho avuto premi, riconoscimenti, certo, ma non per il cinema che avrei voluto fare, e parlo di cinema. Mi sarebbe piaciuto far film più di livello. Non puoi far a un artista il torto di farlo andare di moda, in certi periodi con certi film, se è un artista lo è sempre, soprattutto negli anni diventa più interessante, e io in questo senso penso di esserlo, un’evoluzione ce l’ho avuta. Anche negli esperimenti come questo che sto facendo, che è stata una scommessa vinta. 

Un’ultima domanda: cosa le piacerebbe leggere, o sentir dire, di lei? Qualcosa che le farebbe enorme piacere…
A me piacerebbe essere “giudicata” da persone che hanno visto tutto il mio percorso, che sanno cosa valgo perchè un artista non si giudica da una cosa sola. Chi mi segue da anni capisce quanta strada ho fatto, in quanti linguaggi ho parlato, quante montagne ho superato. Ecco, vorrei semplicemente che le persone conoscessero la mia storia e capissero questo. E il fatto di riconoscermi che ho fatto un percorso completo. 

Francesco Bettin

Ultima modifica il Giovedì, 02 Febbraio 2023 22:50

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