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Franco BRUSATI e Fabio MAURI - Il benessere

La Notte, 11 novembre 1971

Da ieri sera, con un intelligente recupero, s’è felicemente inserito nella nuova stagione teatrale anche il Filodrammatici. La compagnia è quella giovanile dell’anno scorso, composta dagli ex allievi dell’Accademia dei Filodrammatici, fortunatamente assai meglio selezionata e organizzata, più numerosa, cuata, ponderata ed esigente nelle scelte, sia degli attori, sia del repertorio; vuoi quello proprio – tre o quattro allestimenti – vuoi quello degli ospiti, a cominciare dal nuovo spettacolo di Paolo Poli, per proseguire con recitals, balletti, concerti di jazz e di musica classica. Insomma, sulla carta, tutto bene, un programma molto promettente. Ora, non c’è che da star a vedere, nella speranza, crepi l’avarizia, nella fiducia, che le promesse vengano mantenute.

Basterebbe che anche gli allestimenti successivi non mancassero della serietà, dell’ordine, del decoro, della dignità, dell’affiatamento e della buona volontà di quello di ieri sera, per far dimenticare lo sconcertante e disarmante esordio dell’anno passato, misericordia! Il nostro logoro teatro avrebbe tento bisogno di forze giovani, valenti, disinteresssate, antidilettantesche, antivelleitarie e, possibilmente, se non è troppo pretendere, di buonsenso!

Cominciamo, intanto, con l’assegnare un dieci e lode a chi è venuto in mente di riprendere, dopo più di due lustri, Il benessere di Franco Brusati e Fabio Mauri, passati, e, ahimè, non rimasti abbastanza, dallo schermo al palcoscenico, specie il secondo; ché, il primo, rari, ma altrettanto interessanti dette un altro paio di copioni all’assetato teatro nostro prima di risprofondare tra le meno taccagne braccia del cinematografo.

La commedia venne fatta conoscere, la prima volta, da Laura Adani, nel 1959 e, si ha vergogna a dirlo, impiego ben dodici anni a far la strada da Roma a Milano, dove era ancora nuova, ad onta del successo decretatole dal pubblico e dell’interesse onde la critica reagì alla sua apparizione.

Dodici anni possono non essere niente ma possono anche essere un’età veneranda per un copione deciso a spremere una morale, o, se volete, un moralismo non effimero, dalla volubile e labile contingenza della cronaca, com’è il caso nostro. E, tuttavia, esso esce gagliardamente dalla prova del tempo. Restano, beninteso, ferme le mende, le riserve e le perplessità già destate al suo apparire; con, in più, qualche inevitabile ruga. Dopo l’evoluzione dei costumi, la salacità della scrittura e la spregiudicatezza del giudizio instauratesi nell’ultimo decennio; con quel che si è letto e si legge nella narrativa, con quel che s’è visto e si vede nel cinema, con quel che si è ascoltato e si ascolta a teatro… con tutto questo ed altro, ne sia, o non ne sia, causa il purtroppo trascorso boom economico o benessere che dir si voglia, responsabile, come si dice? Ah, della società “permissiva”, e dell’anarchia sessuale, ne risulta, per forza, opacato ed appiattito quel tanto, quel molto di scandalo mordente che rappresentava il sostegno dei fatti e del linguaggio, invero qua è là un po’ fastidiosamente letterario.

Quel che non si poteva dire ieri e si può dire oggi a suo vantaggio, è che, in un certo senso, siamo di fronte a una commedia anticipatrice. Adulteri reciproci, consci e consciamente accettati, amoralismo universale, amore “di gruppo”, egoismi senza scrupoli, ozi mondani sospesi su voragini di squallore, amori particolari: in altre parole tutti i temi messi in circolazione dalla “dolce vita” e, ancora quasi ignoti alla scena, la commedia li ha portati alla ribalta, a livello borghese, 12 anni prima che diventassero luoghi comuni del costume contemporaneo. Anacronistico suona, semmai, oggi, in epoca di scrittura spalancata, rpiva di ritegni e di pudori, il tono riservato ed allusivo, starei per dire di una sfacciataggine pudibonda.

Da qui, una certa ambiguità e deficienza di chiarezza, aggiunta a quelle suscitate dalla pretesa di supposti valori morali non effimeri, offesi e tormentoni di coscienza, lussi gratuiti che circondano i personaggi tutti, per altro verso, originalmente individuati.

Assistendo alla rappresentazione,  mi veniva in mente il povero Anton Giulio Bragaglia, altro benemerito della sprovincializzazione del nostro teatro, colpevolmente dimenticato. Quando, alle prove, qualcuno dei suoi attori, incerto gli domandava: “ maestro, come debbo dirla questa battuta?”, “Dilla misteriosa”, rispondeva: “funziona sempre”. Bene, forse forse, oggi interpellato su questa commedia in blocco avrebbe dato la medesima risposta.

Si deve, perciò, salutare con simpatia il regista Riccardo Pradella, il quale, sia pure pagandola con esplosioni drammatiche talora meccanicamente scoperte, ha mirato a una rappresentazione il più esplicita possibile. Una bella prova di temperamento, sicurezza e autorità ha dato Miriam Crotti; virilmente intenso il Calonghi, quanto ambiguo il Grechi; d’una dimessa crepuscolare malinconia la Di Guilmi, perfidamente sarcastica la Robecchi; ineccepibilmente a posto, la Cosmo, il Placido, il Toriello, lo Scattorin. La scena, insolita e suggestiva, è di Beppe Vianello.

Carlo Terron

Ultima modifica il Lunedì, 22 Dicembre 2014 16:37
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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