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Lunedì, 26 Febbraio 2018
Pubblicato in Interviste

Sono i 40 anni della compagnia Aterballetto e a quarant'anni la maturità e la voglia di cambiamento nel segno di un'identità acquisita e consolidata stanno nell'ordine della cose. «Nata nel 1977 come Compagnia di Balletto dei Teatri dell'Emilia Romagna diretta da Vittorio Biagi, dal 1979 ha assunto la denominazione Aterballetto sotto la guida di Amedeo Amodio. Formata da danzatori solisti in grado di affrontare tutti gli stili, Aterballetto gode di ampi riconoscimenti anche in campo internazionale. Dopo Amedeo Amodio, che l'ha diretta per quasi 18 anni, e Mauro Bigonzetti direttore artistico dal 1997 al 2007 e Coreografo principale della Compagnia fino al 2012, dal 2008 la Direzione artistica è affidata a Cristina Bozzolini, già prima ballerina stabile del Maggio Musicale fiorentino». Un sintetico excursus storico che dà conto di una realtà longeva, per certi versi all'avanguardia nel panorama della storia recente della danza che vive nel più ampio contesto della Fondazione Nazionale della Danza, fondazione nata nel 2003 e naturale prosecuzione del Centro della Danza, già Centro Regionale della Danza. La Fondazione Nazionale della Danza con soci fondatori la Regione Emilia-Romagna ed il Comune di Reggio Emilia svolge la sua attività principale di produzione con il marchio Aterballetto, ma in essa confluiscono alcune fra le più significative esperienze maturate nel campo della danza non solo nell'ambito della regione, bensì dell'intero Paese, che ne fanno un'esperienza unica sul territorio nazionale: Corsi di Alta Formazione Professionale per Giovani Danzatori ed Insegnanti, l'organizzazione di manifestazioni e rassegne di danza, di iniziative di promozione e diffusione della danza volte ad approfondire e stimolare l'interesse e la conoscenza del pubblico verso questo linguaggio. Ed è in questo contesto storico e del presente che pare doveroso contestualizzare la nomina a direttore della Fondazione Nazionale della Danza di Gigi Cristoforetti, ideatore e direttore artistico di TorinoDanza che succede a Giovanni Ottolini e di Pompea Santoro quale direttore artistico che assume il ruolo di Cristina Bozzolini. Il neodirettore Gigi Cristoforetti pone l'accento sul cambiamento dei vertici di Aterballetto e sui futuri progetti della fondazione.

«I cambi di direzione sia per quanto riguarda TorinoDanza che per il mio ruolo nella Fondazione Nazionale della Danza sono stati caratterizzati da uno stile che, mi verrebbe voglia di dire, si riscontra poco nei passaggi di consegne in Italia. Credo che questo sia un bel segno di maturità e di responsabilità che non deve essere dato per scontato e che mi piace sottolineare. Fabrizio Montanari e Azio Sezzi, i presidenti entranti e uscenti, così come Giovanni Ottolini sono stati molto accoglienti, abbiamo lavorato bene insieme per un passaggio non traumatico, ma rispettoso dell'istituzione che presiedo e della sua storia, oltre che della sua identità».

Insomma nessun cambiamento traumatico, nessuna rivoluzione all'orizzonte?
«Rivoluzione no, ma molte novità, spero proprio di sì. Per quanto riguarda la compagnia credo che siamo al cospetto di un ensemble maturo, che ha saputo negli anni rinnovare il suo repertorio e che è un'eccellente compagnia».

Se si pensa a lei si pensa anche a una danza contemporanea un po' di rottura...
«L'Aterballetto è una compagnia che danza e questo è da ribadire. In questa direzione della danza si pone il lavoro realizzato con Hofesh Shechter e Cristiana Morganti, in scena all'interno del Festival Torino Danza e a Gorizia in occasione di NID New Italian Dance Platform. E se lo specifico di Aterballetto è la danza non mancheranno occasioni per coniugare danza e teatro. In particolare penso ad una coproduzione rivolta proprio al mondo italiano del teatro».

Ha in cantiere già qualcosa che va in questa direzione?
«In programma abbiamo la realizzazione di una coproduzione che porterà alla messinscena della Tempesta di Shakespeare col coreografo Giuseppe Spota. L'idea è quella – quando possibile – di esplorare il rapporto fra danza e teatro, tendendo conto che oggi stabili e tric hanno la possibilità di aprire sezioni dedicate alla danza, in una prospettiva di diversificazione dei pubblici, nella consapevolezza che sempre più spesso la scena contemporanea vede la coesistenza di danza e teatro. Nel segno di una memoria della contemporaneità si pone la coproduzione col teatro Bellini di Tango Glaciale di Mario Martone, spettacolo del 1982 che il regista napoletano realizzò con la sua compagnia Falso movimento mostrando le strette connessioni possibili fra teatro e danza. A distanza di tanto tempo riproporre Tango glaciale è un modo per documentare ciò che è stato non per nostalgia ma per meglio comprendere quello che accade oggi o come siamo arrivati a fare quello che oggi si fa in scena».

Tutto questo con che obiettivo?
«Teatro e danza hanno una loro complementarietà, i rapporti fra i due linguaggi sono spesso materia degli allestimenti contemporanei, di questo bisogna tener conto e bisognerà farlo sempre di più. Ciò ha una sua influenza non solo sulle programmazioni, ma anche sul pubblico. Tenendo conto di questo scenario il mio obiettivo è mettere in atto ogni possibile strategia per favorire una promozione della cultura della danza sul territorio e in Italia».

In che modo?
«Reggio Emilia è sede della Fondazione Nazionale della Danza che credo possa avere tutte le potenzialità necessarie per avviare una promozione della cultura della danza che non si limiti alla produzione di spettacoli, ma possa offrirsi come punto di riferimento per chi vuole programmare, diffondere, far conoscere il linguaggio della danza».

Concretamente questo come si può realizzare?
«Con la capacità di creare reti e azioni comuni. L'aspetto produttivo è importante, ma non è l'unico, soprattutto per un soggetto pubblico come è la Fondazione Nazionale della Danza in cui forte è la partecipazione del Comune di Reggio Emilia e della Regione Emilia Romagna. Per questo motivo ho avviato una serie di incontri con Platea dell'Agis, il network che riunisce tutti i teatri nazionali e i Tric con l'obiettivo di metterci al servizio di quelle realtà teatrali italiane che vorrebbero avere un cartellone di danza, ma non hanno competenze al loro interno, oppure vogliono appoggiarsi alle competenze maturate in fondazione. La Fondazione Nazionale della Danza potrebbe contribuire a diffondere la danza contemporanea nei teatri italiani con in più la possibilità di offrire pacchetti formativi e informativi che contribuiscano a costruire un tessuto di informazioni atte a rendere lo spettatore sempre più consapevole. A questo sguardo di promozione e diffusione della cultura della danza in Italia si deve, poi, inevitabilmente affiancare uno sguardo all'estero».

E come?
«Da un lato è sempre più necessario costruire relazioni internazionali, avere partner europei che permettano di costruire occasioni di incontro e confronto, che siano da stimolo a chi fa danza in Italia ma che rappresentino anche un'occasione per allargare lo sguardo dello spettatore. Si tratta di coltivare un respiro sempre più internazionale attraverso momenti di programmazione (la Nid- piattaforma della danza italiana, sarà a Reggio nel 2019) e di promuovere e far conoscere quanto la danza italiana può offrire anche oltreconfine. Non solo Aterballetto, naturalmente».

In tutto ciò la Fondazione Nazionale della Danza avrà un ruolo centrale?
«Lo dice il suo stesso nome. Mi piacerebbe che Reggio Emilia e Fondazione Nazionale della Danza sempre più fossero il punto di riferimento nazionale per la danza contemporanea, sia per conoscere le tendenze europee e internazionali, sia permettendo a chi viene da fuori di avere contatti concreti con il panorama e gli artisti della danza italiana. Devo dire che questa vocazione internazionale e la capacità di lavorare in modo flessibile e interattivo è già connaturato in Aterballetto piuttosto che in fondazione. Si tratta di un buon segno, di una predisposizione importante che permette veramente di lavorare in una direzione volta a potenziare la capacità non solo produttiva ma anche culturale della danza nell'ambito dello spettacolo dal vivo. Insomma le premesse ci sono, ora bisogna lavorare perché tutto ciò si realizzi pian piano, ma con l'idea che fare danza oggi vuol dire fare nuove creazioni, ma anche lavorare nella direzione di una consapevolezza culturale.».

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