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Martedì, 13 Febbraio 2018
Pubblicato in Interviste

Vittorio Biagi nasce a Viareggio (Lucca). Dapprima studia con Ugo Dell'Ara, nel 1958 entra al Teatro alla Scala di Milano, nel 1960 al Ballet du XXème siècle di Maurice Béjart. Negli anni 1967-68 è danseur étoile al Balletto dell'Opéra di Parigi. Dal 1969 al 1977 dirige il balletto dell'Opéra di Lione, nel 1977/1978 dirige l'Aterballetto, nel 1979 fonda la compagnia Danza Prospettiva, nel 1983/1984 dirige il Corpo di ballo del Teatro Massimo di Palermo. Tra le sue più importanti coreografie "Pulsazione", da cui l'omonimo dvd del 2007, "VII Sinfonia di Beethoven", "Romeo e Giulietta" e "Alexander Niewsky". Ha lavorato anche per la Rai, France 2 e Tve spagnola. Con la "Compagnia Vittorio Biagi" ha portato in scena oltre trecento balletti/creazioni, trentacinque opere liriche, venticinque spettacoli, dodici operette, due commedie musicali. Attualmente è uno stimato docente di danza, tiene stage e masterclass di alto livello tersicoreo, siede nelle Giurie e Commissioni dei più rinomati Concorsi ed eventi di danza nazionali ed internazionali.

Carissimo Vittorio, chi ti conosce bene sa che sei nato per la danza e la danza vive in te?
Hai ragione Michele, sono nato ballerino! Fin da piccolissimo ogni occasione era buona per danzare, mi piaceva ballare il tip tap perché lo imitavo vedendo le pellicole con Gene Kelly e Fred Astaire. Ricordo di aver vinto anche un premio di Charleston e poi un altro di Rock and Roll a Genova!

Com'è stato il periodo della tua formazione, a chi ti sei affidato per diventare poi uno tra i più internazionali danzatori e coreografi italiani?
Un giorno a Genova, mia città di adozione, ho incontrato Paolo Bortoluzzi, sicuramente il più grande ballerino italiano. Vedendomi ballare mi ha proposto di prendere lezioni di danza classica ma io non ne ho voluto sentir parlare. In seguito, verso i 13/14 anni, il noto sindacalista televisivo Domenico del Prete mi ha proposto anche lui di dedicarmi alla disciplina classica. Così mi sono iscritto alla Scuola diretta da Ugo Dell'Ara (coreografo e direttore del Corpo di ballo al Teatro alla Scala per sette stagioni) e di Mario Porcile (fondatore e direttore del Festival Internazionale del balletto di Nervi) in via Luccoli e ho incominciato a studiare con la maestra Maria Molina, già allieva del Maestro Enrico Cecchetti, che ai quei tempi era in Scala. Ho imparato più velocemente degli altri e il mio corpo era attitudinalmente predisposto ai canoni accademici, così ha avuto inizio la mia carriera. In breve sono entrato a far parte del gruppo di Ugo Dell'Ara, Paolo Bortoluzzi, Riccardo Duse, Olga Amati e altri ballerini portando in giro diversi spettacoli. In seguito mi sono trasferito alla Scala di Milano e dopo l'audizione sono stato inserito subito all'ottavo corso, pur avendo solo tre anni di danza alle spalle, e quindi ho imparato la professione a pieno titolo.

Che aria si respirava alla Scala di Milano in quegli anni?
Ho studiato con impegno e dedizione dalla mattina alla sera in quel meraviglioso teatro alla Scala, che all'epoca era popolato dal gotha artistico mondiale... ricordo Maria Callas, Renata Tebaldi, Giuseppe Di Stefano, Franco Corelli e poi tanti celebri registi, ballerini e direttori d'orchestra. Appena potevo mi intrufolavo tra le quinte a guardare, ad ascoltare e a curiosare quel mondo così magico! Perciò oltre agli studi mi sono formato anche come artista, proprio perché mi sono nutrito quotidianamente di "teatro"!

Raccontami del tuo periodo milanese e di quando Balanchine ti scelse personalmente per una sua creazione?
Ho sostenuto vari ruoli da Solista alla Scala pur essendo ancora allievo della Scuola. Un giorno il Maestro Balanchine, in sala prove, disse senza esitazione "voglio lui" indicando me – ero il quinto sostituto posizionato in fondo alla sala – per il "Palazzo di Cristallo". La direzione replicò negativamente dicendo che ero ancora un semplice allievo ma Balanchine disse "è un ruolo che può fare"... e in effetti fu un'esperienza molto intensa. La stessa cosa accadde anche con Massine, quando un Solista nominato del Corpo di Ballo si infortunò, mentre provava il suo "Romeo e Giulietta": tutti rimasero spiazzati perché non c'era un sostituto in grado di interpretare il ruolo e così mi feci avanti e mi proposi. Mi misi in posizione, eseguii subito i passi ed ebbi il mio secondo ruolo da Solista ottenendo anche un supplemento di cachet e sui manifesti apparve il mio nome in qualità di Solista, al mio fianco danzavano étoile del calibro di Liliana Cosi e Carla Fracci e il compianto Mario Pistoni... Malgrado ciò però non fui nominato ufficialmente nella gerarchia dell'organico, mentre oggi tutto è cambiato, molte star acclamate di questi tempi hanno ricevuto la nomina appena maggiorenni, mentre allora in Scala era impossibile! Piuttosto ti aumentavano la paga ma non ti nominavano ufficialmente. Tra l'altro mi ero creato anche molti nemici per la mia cristallina tecnica, come succede spesso dentro ai grandi enti lirici. A quell'epoca un giovane che nutriva grandi speranze si cercava di frenarlo, per tenerlo maggiormente sotto controllo. Così decisi, visto anche il mio temperamento "moderno" e un po' ribelle alle regole, di andarmene cogliendo al volo l'occasione di recarmi a Bruxelles da Maurice Béjart, lasciando in Scala alcuni cari amici tra cui Amedeo Amodio con il quale si era instaurata un'ottima intesa artistica... non smettevamo di lavorare, sempre dietro agli altri, da soli ma mossi da un'inesauribile passione ed entusiasmo!

Come si presentò, bene appunto, l'occasione di conoscere Béjart?
Mentre ero a Milano in Scala accadde una novità nel mondo della danza... una Compagnia diretta da uno sconosciuto di nome Maurice Béjart venne a Milano, portando in scena uno spettacolo al Teatro Orfeo, ed io con alcuni amici danzatori - tra cui un ballerino jugoslavo che conosceva alcuni elementi della compagnia - decidemmo di andare all'evento e al termine mi fu proposto di entrare in Compagnia. Al momento rimasi sorpreso e confuso perché mi ero dedicato al balletto classico pur nascendo come vocazione modern, però vinti i primi dubbi risposi che ci avrei pensato... dopo solo tre mesi ero già nella Compagnia di Béjart. Rammento di aver accompagnato l'amico Paolo Bortoluzzi a Bruxelles dove era stato preso tramite audizione, e Béjart dopo avermi visto a lezione con la compagnia mi disse: "Se vuoi rimanere c'è posto anche per te". Ero al settimo cielo per la gioia e così rimasi senza rientrare più in Italia. Era il 1960, tornai solamente nel 1978 per dirigere il nascente Aterballetto a Reggio Emilia. Ormai parlavo quasi esclusivamente il francese!

E "passo dopo passo" sei diventato una punta di diamante al fianco di Béjart?
Béjart allora aveva trentasei anni, aveva già fatto alcune cose importanti, ma soprattutto aveva avuto l'occasione di formare una Compagnia Internazionale in Belgio scritturando ballerini da ogni parte del mondo. Grazie al suo intuito, parlò con il direttore del Teatro Reale della Monnaie, ed ebbe l'idea straordinaria di far scritturare Assaf Messerer, il più grande maestro del Teatro Bolshoi di Mosca e fu questo principalmente il motivo perché io e Bortoluzzi accettammo di recarci a Bruxelles, per poter studiare con uno tra i più immensi maestri del mondo. Avevo diciotto anni mentre Paolo ne aveva ventuno, logicamente poi una volta conosciuto anche il genio e l'estro creativo di Béjart ci siamo immediatamente innamorati del suo modo di lavorare... un metodo personale che partiva sempre dalla base classica! Quindi al Ballet du XXe siècle ho avuto la fortuna di studiare con il più grande maestro del teatro moscovita, costruendomi per tre anni una tecnica ed uno stile ad altissimo livello coreico. Tanto che poi sono stato Étoile all'Opéra di Parigi in qualità di Guest Artist. Dopo gli anni di studio con Messarer sono seguiti tre anni con Victor Zowskic e Tatiana Grantzeva... dalla grande Scuola del Bolshoi alla grande Scuola di Leningrado. Un'occasione quotidiana di formazione unica con eccezionali maestri unitamente alle creazioni del geniale e carismatico Maurice Béjart, il quale in seguito mi offrì anche l'occasione di coreografare perché credeva nel mio talento. Io sono un percussionista jazz, prima ancora di essere ballerino, e quindi proposi delle creazioni su questo genere musicale con un occhio classico! Nacque così "Jazz impressions" che nel 1964 andò in scena al Teatro Reale della Monnaie: un successo trionfale che nessuno si aspettava ma che Béjart aveva già intuito. E da quel momento non fui soltanto ballerino ma anche coreografo e la mia vita cambiò diventando straordinaria. Sarò sempre riconoscente all'impareggiabile amico e maestro Maurice Béjart!

Cosa ti spinse ad accettare la direzione dell'A.T.E.R.?
L'interesse di Aterballetto nei miei confronti fu dettato inizialmente dalla mia carriera internazionale, e dal mio stile, ma anche per ciò che rappresentavo artisticamente in quegli anni in Francia. Ricordo che il Ministero della Cultura francese, nel 1975, mi finanziò per la creazione della "Divina Commedia" di Dante Alighieri: un evento mondiale. Perciò i dirigenti dell'Ater furono incuriositi dal mio essere coreografo e vennero in Francia chiedendomi di poter portare in Italia quella produzione, che contava più di ottanta artisti, una complessa macchina scenica, musiche elettroniche e da quel momento in Italia si iniziò a parlare di Vittorio Biagi. Poi mi fecero la proposta di trasferirmi a Reggio Emilia per fondare Aterballetto - la prima compagnia indipendente di danza - vista anche la mia decennale esperienza alla direzione con una fattiva e costruttiva conoscenza della professione... nacque così la Compagnia. Allora era formata da quaranta ballerini e un repertorio internazionale. Ringrazierò per sempre l'Aterballetto per avermi offerto quest'opportunità, ma abituato alle grandi capitali europee mi stava stretta la provincia italiana ed in seguito mi dimisi e trasferii a Roma dove fondai "Danza Prospettiva" grazie ad una sovvenzione elargita per il nome che mi ero fatto. Nel mezzo fui invitato dai più grandi teatri del mondo, staccavo magari per una ventina di giorni lasciando in mia vece l'assistente (come accadde spesso mentre dirigevo il Ballet de Lyon) e mi recavo, ad esempio, a Buenos Aires oppure all'Opera in Grecia o negli Stati Uniti... sentivo proprio la necessità di viaggiare e di relazionarmi con nuove realtà in cerca di stimoli. Non ho mai amato particolarmente rimanere in un luogo fisso per troppo tempo.

Infatti oltre a Danza Prospettiva e al Ballet de Lyon hai diretto anche il Corpo di Ballo del Teatro Massimo di Palermo e hai fatto parecchia televisione in Rai?
La televisione arrivò nel 1980, grazie al critico di danza Vittoria Ottolenghi la quale mi presentò al compianto regista Antonello Falqui che in seguito mi diede molto spazio per il balletto. Per questi grandi show, soprattutto del sabato sera, creai ad esempio la "Settima Sinfonia" di Beethoven, arrivando a montare dodici balletti a serata con allestimenti fastosi, non certo gli stacchetti del giorno d'oggi ma degli autentici balletti, esattamente come si preparavano nei grandi teatri. Nel 1983 mi venne proposta la direzione del Teatro Massimo di Palermo così mi alternai tra i miei ballerini di "Danza Prospettiva" e il Corpo di Ballo di Palermo. Per il Massimo creai dei balletti meravigliosi grazie anche al supporto della Direzione del Teatro al fianco di ottimi collaboratori... Ma dopo tre anni di notevole lavoro il Sindacato non permise di far partire la compagnia in giro per il mondo perché ritenevano le mie creazioni un'esclusiva loro e così diedi le dimissioni perché era venuta a mancare la mia idea di "movimento culturale" come invece fu possibile a Lione o a Reggio Emilia. Fui dispiaciuto nell'andare via più che altro perché consideravo Palermo una splendida città ricca di arte e di spunti... ancora oggi conservo dei meravigliosi ricordi di quel periodo siciliano. Così ripresi in mano totalmente la mia compagnia "Danza Prospettiva" e ripartii anche con la televisione prendendo parte a storici programmi, sempre con Antonello Falqui, avendo nuovamente la possibilità di portare la "mia" danza al vasto pubblico da casa, alternando la professione di coreografo internazionale in giro per il mondo. Poi fondai e diressi anche il "Nuovo Balletto di Roma" per permettere ai ballerini di avere una continuità lavorativa, portando in scena eccellenti creazioni con tournée in Italia e all'estero attraverso storici Festival. Ricordo con piacere anche la collaborazione con Alicia Alonso alla quale gli dedicai un balletto "La morte di Cleopatra" e poi rimontai anche la mia più celebre coreografia "Pulsazione" con i suoi straordinari e talentuosi danzatori. In seguito scoprii, dandogli il ruolo di Mercuzio nel mio "Romeo e Giulietta" un giovanissimo Julio Bocca mentre mi trovavo a lavorare in teatro a Buenos Aires. Insomma tante significative esperienze e soddisfazioni artistiche e personali.

Dopo questa esperienza hai avuto l'onore di ricoprire ruoli da Étoile al Balletto dell'Opéra di Parigi?
Andavo spesso a Parigi con la Compagnia di Béjart, i direttori del teatro dell'Opéra mi conoscevano, mi vedevano e mi fecero la proposta di diventare Guest Artist, non propriamente étoile, perché non mi ero formato scalando la gerarchia del Corpo di Ballo parigino e soprattutto perché non ero "assunto fisso" all'interno del Teatro. Mi fecero un contratto per tre anni dovendo eseguire venti spettacoli all'anno, però in realtà ne facevo in media otto al mese perché una volta entrato all'Opéra e all'Opéra Comique presi parte a numerose produzioni. Mi feci questa esperienza triennale in veste di Étoile che mi permise di danzare con grandi ballerine come Claude Bessy, Josette Amiel, Noelle Pontois e tante altre. Essendo già coreografo e non impiegato stabile ricoprii sempre il ruolo di ospite.

Mentre a Lione?
A Lione mi sono recato nel 1969 rimanendoci per ben sette anni. In quel luogo ho creato più di sessanta balletti, di cui alcuni tra i più importanti della mia carriera come "Romeo e Giulietta" e "Pulsazione" che attualmente è in repertorio al Balletto Nazionale di Cuba, al Teatro di Buenos Aires, ad Amburgo e in molti altri teatri.

Hai lavorato anche con Paolo Grassi e Giorgio Strehler, fondatori del Piccolo Teatro di Milano?
Sì, ricordo che in Francia vennero molte persone ad ammirare "questo giovane italiano" tra cui anche Paolo Grassi che allora era Sovrintendente al Teatro alla Scala di Milano. Negli anni 1976/77 mi scritturò per creare le coreografie, allo spettacolo d'inaugurazione della stagione scaligera, con la regia di Giorgio Strehler, nell'opera lirica "Macbeth" di Giuseppe Verdi.

E Vittoria Ottolenghi?
L'insostituibile ed unica Vittoria Ottolenghi parlava sempre molto bene di me. Rammento che durante una mia tournée in Italia ebbe modo di scrivere su un autorevole quotidiano: "Questo italiano è talmente bravo... ma perché non viene in Italia a lavorare?"

Vittorio nelle tue creazioni ti sei lasciato spesso ispirare dal Sacro, giusto?
Ho creato dei balletti religiosi splendidi come la "Passione di San Giovanni". Sono stato il primo a portare in scena una cosa del genere perché in passato erano state messe in scena solo qualche Cantata ma tutto lo spettacolo per intero con orchestra, coro, solisti e una scenografia straordinaria è stato ad appannaggio mio. Sono l'unico coreografo al mondo che ha creato più di quattro "Requiem" tradotti in coreografie tra cui il "Requiem senza parole" di Alberto Bruni Tedeschi e il "Requiem" di Berlioz, il "Requiem" di Mozart e il "Requiem" di Verdi. Sono molto legato a questi titoli perché, a mio avviso, la danza è un rituale pulito, sincero, profondo e certamente non solo estetico!

Come vivi la tua popolarità?
Michele io non sono popolare! Certamente sono conosciuto dai grandi, sono sulle Enciclopedie, sono annoverato come un personaggio storico della danza e del balletto internazionale ma come tu ben sai in Italia, oggi come oggi, bisogna apparire in televisione per essere popolari. L'arte vive anche di paradossi!

Tra i coreografi contemporanei della scena attuale a chi va il tuo plauso?
Mi piace e guardo con grande interesse Jiri Kylián, Nacho Duato, John Neumaier e altri nomi internazionali. Comunque parliamo di coreografi e non di passettari come li chiamano i romani, anche perché in giro ne vedo anche fin troppi appartenenti a questa "categoria"... portano in scena passi passi passi senza un briciolo di cultura, di storia, di stile e soprattutto dimenticando totalmente l'aspetto musicale.

Come definire la tua danza e la tua personalità artistica, caro Vittorio?
Sicuramente sono nato jazz ma ho lavorato talmente tanto sulla disciplina classica che assistendo alle mie coreografie si percepisce un sottile filo che lega questi due stili. Mi sono in qualche modo sentito l'erede di Robbins, perché dentro di me convive il jazz, arricchito da una forte componente religiosa.

Michele Olivieri

Giovedì, 03 Febbraio 2011
Pubblicato in Ballerini A - B

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