RIII - RICCARDO TERZO La decisione di affrontare, per la prima volta anche da regista, un capolavoro di William Shakespeare non è disgiunta dal felice incontro artistico con Vitaliano Trevisan. Ho sempre avuto nei riguardi del Bardo, forse per l’incombenza di gigantesche ombre familiari, un certo distacco, un approccio timoroso; le messe in scena dei suoi capolavori, lo confesso, non sono mai riuscite a coinvolgermi del tutto, forse per la difficile sintonia con un linguaggio così complesso e articolato ma anche, in molte traduzioni, oscuro e arcaico. La lettura di un adattamento di un testo “minore” di Goldoni curato da Trevisan, sorprendentemente moderno e originale ma al tempo stesso accurato e rispettoso dell’autore, ha fatto scattare in me l’idea che quel tipo di approccio potesse essere non solo possibile ma altrettanto efficace nei riguardi dell’opera di Shakespeare che da anni sognavo di rappresentare: Riccardo III. Il “nostro” Riccardo, col suo violento furore, la sua feroce brama di potere, la sua follia omicida, la sua “diversità”, dovrà colpire al cuore, emozionare e coinvolgere il pubblico di oggi (mi auguro in gran parte formato da giovani), trasportandolo in un viaggio, affascinante e tragico, attraverso le pieghe oscure dell’inconscio e nelle “deformità” congenite dell’animo umano. |
CALORE Calore, titolo del primo lavoro coreografico di Enzo Cosimi, debutta a Roma nel settembre del 1982 con il suo ensemble Gruppo Occhèsc. Il pezzo, impostato su un’energia vigorosa e ritmi serratissimi, era nato per interpreti non-danzatori, pur riconoscendosi in pieno in una scrittura di danza. Nel primo breve scritto sullo spettacolo Cosimi scriveva: la realtà è devastata da gelide atmosfere, pensiamo di voler “annusare” una nuova aria, un nuovo vento in cui l’energia nel suo ritornare al nulla senza illusione, abbia come qualità un senso di profonda serenità, di caldo, di calma relativa. Lo spettacolo è un viaggio visionario dove all’interprete è richiesto un processo di regressione che serve come traccia per disegnare un’età dell’infanzia e dell’adolescenza infinita. Giuseppe Bartolucci, teorico del nuovo teatro mai dimenticato, scriveva sullo spettacolo: qui la ginnastica e la danza si fanno avanti e vengono corrose, il sudore è accettato come passaggio, la fisicità è fatta pervadere di accensioni a catena e senza fine, la risorsa del riposo e dell’intervallo non viene accettata di principio. Quindi ben venga un progetto illuminante di recupero del repertorio della coreografia contemporanea italiana, auspicando che le nuove generazioni di autori e di spettatori possano dare un nuovo sguardo alla nostra memoria storica coreografica. |
IL NIPOTE DI RAMEAU Il nipote di Rameau di Denis Diderot, capolavoro satirico della seconda metà del Settecento, è la parabola grottesca di un musico fallito, cortigiano convinto, amorale per vocazione avvolto in un lucido cupio dissolvi. |
DISPLAY Questo progetto fa parte di un percorso di ricerca sulle possibilità di interazione tra immagine video e movimento. Display racconta l’inadeguatezza e l’isolamento dell’uomo contemporaneo, che da dietro una finestra, osserva e descrive il mondo. La finestra è lo schermo/monitor su cui ci affacciamo quotidianamente, il limite che distorce e deforma la visione. Attraverso il collage e l’accostamento di immagini video, il personaggio in scena racconta il bisogno di qualunque essere vivente di tenere stretto qualcosa nelle mani mentre tutto gli sfugge; una cosa in cui placare l’angoscia dell’isolamento, che gli possa aprire uno spiraglio e che gli consenta di riconoscere e riconoscersi nei segni. Dal dentro al fuori, da una cornice che chiude un’immagine a un’immagine che dischiude. |
JOSEPH In Joseph in scena c’è un uomo, solo, di spalle al pubblico per l’intera durata della sua performance, mentre cerca la sua immagine in tutto ciò che il suo sguardo tocca. L’autore della performance prende in prestito il nome da colui che assume su di sé la paternità dell’uomo che nasconde il divino, ma non ci è dato sapere chi sia Joseph, né dove sia. Non sappiamo se si tratti dell’uomo che vediamo in scena oppure di uno di quegli occhi sconosciuti capitati per caso all’interno del sistema rappresentativo. Il solo perde la sua connotazione di evento performato da un esecutore unico e si riempie di sguardi meravigliati, deformati, raddoppiati e amplificati. Di corpi esposti e pronti all’esposizione, là fuori, chissà dove, dall’altra parte del mondo, ma nel medesimo istante. Fiat lux: come per il cilindro del prestigiatore, al quale si conferisca l’autorità di generare conigli bianchi. |