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Lunedì, 14 Novembre 2011
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IL RACCONTO D'INVERNO

Talmente eterogeneo nella trama da sembrare quasi due drammi in uno, il Racconto d’Inverno è dedicato al tema della Morte e della Rinascita. Una grande favola in cui il Tempo crea e svela l’errore, mette tutti alla prova e dà senso ad eventi lontani. Racconto o Favola che dir si voglia, qui si intende alludere alla natura del Mito, non solo perché nel testo c’è riferimento esplicito ad uno dei miti più antichi legati ai misteri eleusini, quello delle stagioni di Demetra e sua figlia Persefone, ma anche a livello drammaturgico e strutturale: se abbiamo a che fare con un mito, tutto può succedere in un mito, in esso la successione degli avvenimenti non è subordinata a nessuna regola di logica o continuità. Un mito non cerca di dipingere il reale, ma di oltrepassare la soluzione di compromesso in cui esso consiste, implica l’ammissione (ma nel linguaggio dissimulato del mito) che la realtà, in esso approfondita, sia contaminata dal mondo della contraddizione. E la contraddizione diventa palese quando usiamo il linguaggio per raccontarla: il mito è simultaneamente nel linguaggio e al di là del linguaggio. Una storia che genera al suo interno altre storie, come un sasso gettato in uno stagno: i cerchi che si allargano all’infinito. Storie che non accaddero mai anche se accadono sempre. Elementi della trama esteriore eterogenei, ma anche un gioco dialettico che prende vita nei corpi degli attori e che trapassa di tema in tema formando una struttura fortemente unitaria che tesse il lavoro attoriale, nutre i corpi degli attori, dischiude l’orizzonte dei significati in cui il pubblico viene sapientemente guidato dalla grande scrittura shakespeariana. Ancora una volta un percorso di conoscenza, dunque, che avvicina il protagonista del Racconto, Leonte, ad Otello e in un certo senso ad Amleto. La regia sceglie ampi spazi e atmosfere fortemente in contrasto, evocate principalmente dal gioco scenico e dalla presenza degli attori. Lo spettacolo si avvale della scelta di una compagnia giovane che lavora in ensemble e si scambia i ruoli di sera in sera, non separa la platea dall’azione scenica, invita spesso lo spettatore ad entrare nel gioco, non sacrificando la poesia di Shakespeare a vivere di pura rappresentazione.

“Kohlhaas, tu che ti spacci per inviato a brandire la spada della giustizia, che cosa mai ardisci, temerario, nel delirio di una cieca passione, tu che di ingiustizia sei colmo dalla punta dei capelli alle piante?” Heinrich Von Kleist
Lunedì, 14 Novembre 2011
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KOHLHAAS

"Tanti anni fa in terra di Germania viveva un uomo a nome Michele Kohlhaas. Era allevatore di cavalli e come lui lo erano stati il padre e il nonno". Comincia così l'affascinante racconto di Marco Baliani, nativo di Verbania, professione "raccontatore di storie". Attore, regista e drammaturgo tra i più originali nel panorama teatrale italiano. Baliani, solo sulla scena, seduto in una sedia, vestito di nero, per circa 90 minuti, incanta un pubblico di ogni età, narrando la storia realmente accaduta, nella Germania del 1500, di un mercante di cavalli, vittima della corruzione dominante della giustizia statale. La spirale di violenza generata dal sopruso subito dal protagonista offre lo spunto per una riflessione sulla questione della giustizia e sulle conseguenze morali che la reazione dell'individuo all'ingiustizia può comportare. Baliani, attraverso la sua mimica, la sua gestualità, riesce a coinvolgere anche lo spettatore più distratto, facendogli immaginare i cavalli del protagonista, le sue paure, la sua sete, la sua vana attesa di giustizia e la decisione finale di scegliere il cappio di una forca.

Le domande senza risposta - dice l’autore - che solleva la storia di Kohlhaas (cos’è la giustizia, quella umana e quella divina, e come può l’individuo ricomporre l’ingiustizia) fanno parte, profondamente, dei percorsi della mia generazione, quella segnata dal numero di riconoscimento ’68.
Lunedì, 14 Novembre 2011
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VOCI DI DONNA

grandi personaggi femminili nella musica e nella letteratura

Il programma studia e propone delle connessioni e delle riflessioni fra alcuni personaggi chiave della musica barocca e le loro corrispondenti nelle pagine più varie della letteratura mondiale. Tema portante di questo spettacolo sono le donne, le loro voci, il loro grande mondo di sentimenti. Caratteri contrastanti, donne sante, dee, esseri mitologici, dolci e crudeli, con in comune una cosa per tutte: la passione, l’amore per la vita, l’amore per l’amore stesso. Maria canta al suo bambino con la visione della croce che ritroviamo in Jacopone da Todi; Maddalena, la mirrifora, mischia sotto la croce il suo pianto al sangue di Gesù e, in Giovanni, ne testimonia la resurrezione. Ed ecco Minerva, la forte, donna e Dea di grande ingegno protettrice di eroi, guidare Ulisse nel suo ritorno e assisterlo nell’ultima prova. Cos’hanno in comune Ottavia e Didone che si preparano alla morte, raccontata da Tacito l’una e da Virgilio l’altra? E la bella, intelligente, sensuale Cleopatra? Infine lei, Arianna, passione rabbia abbandono, che sempre sceglie di amare. Sono in noi questi miti, queste donne. La musica ne descrive i caratteri profondi, i testi, mirabilmente, ne riportano la storia affinché nulla sia dimenticato.

“Una volta lessi una frase, sicuramente di un autore famoso, che diceva qualcosa del tipo che la vita è fatta della stessa materia dei sogni. Io dico che la vita può benissimo essere fatta della stessa materia dei film. Raccontare un film è come raccontare un sogno. Raccontare una vita è come raccontare un sogno oppure un film” Hérnan Rivera Letelier
Lunedì, 14 Novembre 2011
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FATA DELCINE
liberamente tratto dal romanzo di Hèrnan Rivera Letelier “La bambina che raccontava i film

Fata Delcine racconta la storia di una bambina, Maria Margherita,di un povero villaggio di minatori nel deserto di Atacama. Solo uno, tra i cinque fratelli della sua famiglia, sarà scelto in base ad una caratteristica specifica: chi riuscirà a narrare meglio il film conquisterà il diritto a vedere tutte le proiezioni. Vince la bambina battendo i quattro fratelli e dimostrando una bravura straordinaria nel raccontare i film: si immedesima nei personaggi, riesce a coinvolgere gli ascoltatori, mima, canta senza trascurare alcun dettaglio. È talmente brava che il padre decide di trasformare la povera casa attrezzandola come una sala cinematografica. L'idea si trasforma subito in un successo per la ragazzina che,inebriata dagli applausi, vede il suo dono trasformarsi in una vera e propria missione: raccontare un film è un modo di regalare attimi di felicità. Tutto questo è destinato a svanire quando nel villaggio compare la televisione.

“Vado a letto come a teatro, per sognare, scoperchiare i sepolcri delle stanze e bere dall’azzurro” Marina Ivanovna Cvetaeva
Lunedì, 14 Novembre 2011
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INDIZI TERRESTRI
dall’opera di Marina Ivanovna Cvetaeva

In uno spazio vuoto su cerchi concentrici di piccole candele accese, echeggia il pulsare del XX secolo, nei battiti di un cuore segnato dal dolore di un epoca. Una voce che si leva come un canto creando un flusso di immagini, sospese nel tempo in un luogo dell’anima.
 Clara galante scrive ed interpreta Indizi Terrestri dall'opera di Marina Cvetaeva, una delle voci più alte della poesia russa, stillando le tracce di un’esistenza terrestre breve ed intensa, delineando il percorso di un’avventura vibrante. Le lettere i diari e i versi infilati come perle al filo della passione, creano un teatro di voci, dalle cadenze nitide e chiare ai toni rauchi e profondi del linguaggio della magia e del folclore, dall’alta enfasi della poesia civile ad uno sfrenato e melodioso “lirismo zigano”

“Il desiderio di far rivivere è un gioco di memorie. Possiedo la volontà ma non il dono del ricordo, per questo la scena, la danza, mi danno la possibilità di perdermi in ciò che la mia mente non richiama ma che il mio corpo ha trattenuto” Domenico Cucinotta
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