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Domenica, 05 Febbraio 2017
Pubblicato in Interviste

La dissoluzione della famiglia, le relazioni familiari come un inferno, una madre che succhia il sangue dei suoi figli per dare linfa ai propri sogni... Questo è Il pellicano, questo è il terribile August Strindberg.. Questa sera (ore 21) al san Domenico, Il pellicano del drammaturgo svedese andrà in scena in prima nazionale nella versione curata dal regista Walter Pagliaro  che avrà come protagonista Micaela Esdra. Walter Pagliaro è un habitué del teatro fra '800 e '900, quindi la scelta non stupisce più di tanto, ma per il regista la decisione di affrontare  Il Pellicano ha due motivazioni. 
«Il Pellicano era un testo di cui parlava in continuazione Orazio Costa, il mio maestro, da cui ho imparato a lavorare sulla drammaturgia — afferma il regista architetto —. L'altro motivo per cui ho deciso di mettere in scena Strindberg è l'amico Franco Perrelli, esperto di teatro e letteratura scandinave».
 

Come ha affrontato il testo?
«Sono andato a Stoccolma per vedere dove abitava Strindberg, per visitare il suo Intima Teater».
 Perché questa esigenza?
«Quasi per respirare l'aria che respirava Strindberg, oltre ad aver letto le sue opere narrative e il  Teatro da camera di cui fa parte Il pellicano».
 

Un'immersione dolorosa e a tratti crudele?

«Come solo lo sa essere August Strindberg che con il suo teatro scoperchia la crudeltà dei legami familiari, ma fa di più, ci svela che in realtà siamo morti e non ce ne accorgiamo».
 

Un po' estremo?

«Un estremismo che August Strindberg prende da un mistico svedese Immanuel Swedenborg che immaginava che una volta morti fossimo trasportati su una barca bianca, per essere messi davanti ai nostri misfatti e poi depurati per rinascere nuovamente».
 

E' questo che accade nel testo?

«Tutto nasce dalla morte del capofamiglia e dal disgregarsi delle relazioni. La protagonista rincorre il suo passato di donna seducente, i figli inutilmente tentano di rifarsi una vita. Ciò che emerge chiaro e terribile è che tutte le famiglie sono un inferno, una verità che nel caso del Pellicano emerge prepotente dopo la morte del capofamiglia che teneva le redini e le convenzioni della comunità parentale».
 

Una consapevolezza infernale che presuppone due piani narrativi differenti...

«E anche scenici. C'è una parte realistica ed una legata all'inconscio e a quell'inferno che qui si trasforma in una porcilaia, ma di più non mi sembra giusto svelare». 


Curioso il fatto che lei affronti questo lavoro, affidando il ruolo della protagonista a sua moglie, Micaela Esdra?
«Diciamo che dopo tanti anni di matrimonio e di lavoro insieme sabbiamo calibrare inferni e paradisi. Certo per me lavorare con Micaela è sempre un invito a non dare nulla per scontato, ad approfondire a coniugare lo spirito dell'autore con le esigenze della messinscena».

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