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IL TEATRO DIGITALE IN GRAN BRETAGNA - Parte terza. -di Beatrice Tavecchio

Jude Law in "The third day", regia Foto Liam Daniel Jude Law in "The third day", regia Foto Liam Daniel

Cosa succede tra spettatori ed attori nel teatro digitale?
Per poter risponder a questa domanda bisogna considerare una realtà che è affiorata nel secolo scorso e si è ampliata negli ultimi vent’anni. È diventato manifesto, palese, il ruolo del pubblico. Lo “spettatore” che Bertolt Brecht voleva scuotere dal torpore dell’inattività intellettiva e che Dario Fo chiamava sul palco a discutere dei suoi spettacoli.
In seguito alle ricerche di studiosi come Iser, Eco, Jauss, Fish, Roland Barthes sulla ricezione dei testi letterari è stato appurato che, come il ‘lettore’, il pubblico teatrale recepisce il messaggio dal palco e reagisce mettendo in funzione l’universo delle sue conoscenze, delle sue credenze politiche e personali, della sua epoca, della sua area geografica ed etnica.
A questi studi si aggiungono le ricerche sulle cellule neurali. Questi studi notano un’attivazione dei neuroni della corteccia celebrale che rispondono in riconoscimento e riflettono per empatia le sensazioni basilari espresse da altri.
Per cui, applicando questi ritrovamenti al pubblico teatrale, si può dire che lo spettatore è intellettualmente e psicologicamente attivato dalla scena. Il livello di attivazione dipende logicamente dallo spettacolo, come Brecht ha insegnato. Ma se un’attivazione dal palco è insuperabile per la vicinanza attore-spettatore, cosa succede al digitale?
Andiamo per gradi. L’evidenza del desiderio di attivazione da parte del pubblico è stata via via sempre più registrata in questo secolo. Infatti la sete di partecipazione all’ ‘evento’ teatrale, captata da produttori di teatro come Les Enfants Terribles, Secret Cinema, Hartshorn-Hook per esempio, ha prodotto specie nella seconda decade del nuovo millennio una crescita esponenziale di teatro interattivo. Il fenomeno affiorato non solo in Gran Bretagna è stato chiamato immersive theatre dai critici nel primo decennio del 2000 per indicare quelle compagnie che immergono il pubblico nelle loro rappresentazioni, dando agli spettatori una vicinanza tattile col palco e gli attori, nella realizzazione di spettacoli interattivi come The Great Gatsby prodotto da Louis Hartshorn e Brian Hook, il più longevo immersive theatre di Londra.

Naomie Harris in "The third day". Foto Liam Daniel

Quello che succede quando questo teatro deve vivere, a causa del lockdown, al digitale, è illustrato dallo spettacolo The Third Day (Il terzo giorno) trasmesso lo scorso 3 ottobre della compagnia Punchdrunk in collaborazione con la rete televisiva statunitense HBO (Home Box Office) e Sky Arts.
Famosa per aver dato inizio alla categoria immersive theatre in Gran Bretagna, Punchdrunk, fondata nel 2000, è diretta da Felix Barrett. Ispirato dal fatto che Woyzeck, opera espressionistica del tedesco Georg Buchner, fosse incompleta e senza l’ordine delle scene, Barrett ebbe l’idea di rappresentare le scene chiave contemporaneamente in uno spazio teatrale in cui gli spettatori potessero muoversi tra le scene rappresentate e costruire il loro Woyzeck in una sequenza di loro scelta. Gli spettacoli avvengono di solito in edifici derelitti o disusati, reinventati per l’occasione. Sono illuminati dal bagliore delle candele o da luci soffuse - usate anche da Tadeusz Kantor ne La Classe Morta per esempio-, tesi a creare quell’atmosfera densa di significato che Edward Gordon Craig insieme alle sue strutture architettoniche aveva indicato come fondamentale al dramma. I suoni agiscono allo stesso modo e sono sia derivati che creati, classici o da colonne di film; a loro si associa il realismo meticoloso dei costumi e degli arredamenti di scena, fatti per essere toccati, e l’uso di odori che forniscono il contesto. Al pubblico, l’elemento innovativo e fondamentale per l’inter-azione, viene data una maschera che copre anche la bocca, - il che evita che si parli ed invita ad agire singolarmente - e viene assegnato un ruolo, - così come aveva fatto Jerzy Grotowski in Faust (1960) sedendo gli spettatori intorno alla tavola di Faust, poi in Kordian (1962) dove erano pazienti di una clinica psichiatrica e in Akropolis (1962) in cui erano sopravvissuti delle camere a gas - ben definito e circoscritto, che tenga sotto controllo la narrazione così come l’interazione e che eviti incidenti. Tra i suoi più famosi spettacoli sono Sleep No More (Non dormire più) del 2003, The Drowned Man (L’annegato) del 2013-14, The Masque of the Red Death (La maschera della morte rossa) del 2007-2008.
La compagnia Punchdrunk (Inebriato) aveva accettato di lavorare con le reti televisive HBO e Sky, con l’idea di produrre due racconti, separati da una reale interazione teatrale sull’isola di Osea in Essex dove è ambientata la storia, per cui più di 1000 spettatori, scelti a sorte, portati sull’isola, avrebbero partecipato all’evento teatrale e preso parte ai vari ‘giochi’ interattivi. Il progetto sembrava destinato ad essere cancellato a causa dell’epidemia. Invece Barrett ha prodotto Summer con Jude Law e Winter con Naomie Harris, i due racconti sandwich, mandati in onda lo scorso settembre ed ha sostituito l’esperienza teatrale immersive, con 12 ore di ripresa televisiva in tempo reale, intitolata The Third Day (Il terzo giorno). Mandata in onda il 3 ottobre scorso dalle 9.30 del mattino, filmata con solo una telecamera per dare una visione d’insieme più vicina all’esperienza teatrale, gli spettatori a casa hanno seguito le carismatiche e provanti vicende di Jude Law, immerso in un paesaggio angoscioso, animato dalle primitive credenze degli isolani, ambiente quasi privo di parole ma non di suoni, e a volte annoiati, ma attanagliati dalla vicenda, hanno visto Jude Law scavare una fossa, nel tempo reale di un’ora, esausto nel fango, e poi abbarbicato su un pilone in mezzo il mare per tempo immemore, insieme ad altri scorci sulla vita degli isolani.
The Third Day è teatro? È simile al teatro in quanto dà agli spettatori il fluire del tempo ed il ritmo dell’azione in tempo reale, ma per il misto di distacco dato dallo schermo e di suprema intensità fornita dai primi piani e in generale dall’avvicinamento all’azione attuato dalla cinepresa che rafforza l’empatia, è forse più vicino a quanto lo spettatore prova durante un ‘evento’ della performance art, di Marina Abramović, per esempio.

Con Barrett si assiste quindi ad una evoluzione che è un incrocio, un’interazione, dettata dai modi di produzione, tra teatro, ripresa televisiva dal vivo, evento tipo performance art, e, se si considera il progetto immersive che Barrett ha dovuto abbandonare, tecniche di videogiochi. Cadono quindi le barriere tra generi diversi e emergono nuovi ibridi modi di rappresentazione.

Ci sono altri esperimenti in UK che pur usando media digitali calcano vie più tradizionalmente teatrali. Ultima è la serie televisiva Staged (In scena) di quindici minuti in prima serata sulla BBC One ogni sera in cui due attori di fama, David Tennant (Doctor Who) e Michael Sheen, appaiono in Zoom dalle loro case e commentandosi a vicenda riescono a costruire, improvvisando sul copione, una loro commedia, così coinvolgente da essere ora, alla sua seconda serie, ampliata con famosi attori americani che interagiscono in Zoom con loro.

In essenza la difficoltà sta nell’integrazione di teatro e media. Attias Daphna, fondatrice e produttrice con Terry O’Donovan della compagnia Dante or Die, ha asserito: “La tecnologia accresce la nostra connessione con altri”. Ma ha anche indicato il vero problema: “Come si umanizza uno schermo?”
La loro compagnia ci è riuscita. Dante or Die (Dante o muori) -titolo preso da una scritta su un pannello in Kennington Park- ha modificato User Not Found (Utente non trovato), presentato come spettacolo fringe a Edinburgo nel 2018 facendolo diventare un immersive video podcast. Originariamente metà rappresentato, metà da vedere sul cellulare, è ora interamente fruibile sul telefonino, con l’aiuto di auricolari. Lo si può vedere ancora su You Tube https://www.youtube.com/watch?v=kcCvR4y2yk8
L’idea è originale, perché fa agire la potenzialità del digitale, cioè dà al cellulare un ruolo nel racconto. L’amico del cuore di Terry, Luka, è morto ed ha lasciato al protagonista il suo cellulare con la facoltà di poter cancellare o di ritenere, se vuole, tutta la sua memoria che vi è contenuta. Ponendo il cellulare come sede della memoria di un individuo, si pongono questioni etiche, personali, e immersive cioè coinvolgenti sia per il protagonista che per il pubblico che si trova o troverà ad affrontare lo stesso problema. Gli spettatori si sono detti così coinvolti da sentirsi spinti, mentre vedevano la schermata di messaggi di Luka, a messaggiare il protagonista Terry dal proprio cellulare, che funzionava quindi sia da destinatario della storia che da mittente .
In questo caso il mass media digitale è diventato agente primo del pezzo essendo al tempo stesso mezzo e protagonista e come tale in grado di attivare la partecipazione del pubblico che dipendendo dal cellulare personale dello spettatore, consentiva una risposta emotiva ed intellettuale attiva ed individuale.
Così come in The Third Day, in User Not Found il mezzo digitale dà una dimensione temporale teatrale al lavoro.

Quindi il lavoro teatrale si arricchisce quando il digitale diventa parte della narrazione e nel caso sopraccitato tema della narrazione dello spettacolo. Dopotutto l’era digitale è tutta da esplorare e da analizzare.
Mi associo al critico Howard Sherman che nel novembre 2020 esortava “nuove indipendenti opere teatrali che mantenessero la centralità dello spettacolo dal vivo, ma che offrissero più scelte attraverso una varietà di modi”. Spettacoli che si riappropriassero dell’uso di ogni tecnologia, e che invece di dire che film, televisione e radio sono separate, abbracciassero quelle forme creative, esse stesse derivate dal teatro un secolo fa".

Ultima modifica il Sabato, 23 Gennaio 2021 18:51

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