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Una nuova scrittura teatrale al Royal Court Theatre: "Baghdaddy" di Jasmine Naziha Jones. -di Beatrice Tavecchio

Philip Arditti in "Baghdaddy", regia Milli Bhatia. RC Production. Foto Helen Murray Philip Arditti in "Baghdaddy", regia Milli Bhatia. RC Production. Foto Helen Murray

Regia di Milli Bhatia
con Philip Arditti (il padre), Jasmine Naziha Jones (la figlia),
e gli spiriti: Souad Faress (la vecchia Quareen), Hayat Kamille  (la giovane Quareen) e Noof Ousellam (Jinn).
Al Royal Court Theatre fino al 17 dicembre 2022.

È tutto nel titolo: il riferimento a Baghdad e a Papà (Daddy). Un babbo immigrato iracheno in UK, coinvolto e sconvolto dalla guerra del Golfo del1991, visto dagli occhi della figlia, bambina e adolescente, a metà iraniana, di seconda generazione, che riesamina la loro storia per confrontarsi coi propri sentimenti per il padre.
Sono temi scottanti e attuali. La distruzione delle guerre, la paura di perdere i propri cari, il desiderio, frustrato, di voler aiutare in qualche modo, il senso di impotenza e di amarezza nel seguire la guerra a trecentomila trecento venti miglia di distanza -il padre è eternamente incollato ai notiziari televisivi-, risuonano vivi, risvegliati dal conflitto in Ucraina.
Ma come trattare drammaticamente un contenuto così tragico senza cadere nel documentaristico? La scelta è stata di unirlo al comico, prendendo spunto dal personaggio della figlia su cui si è riversata l’esperienza del padre.
Un andamento dello spettacolo quindi che segue il ricordo della giovane, dagli otto ai vent’anni, che ora vuole cercare di capire i propri sentimenti, dall’amore al risentimento per quel padre preso da vicende e parenti così lontani da lei e dal suo sentire. Una storia intima dunque, un’indagine psicologica. E per questo la drammaturga, che anche impersona la figlia, ha immesso nella storia tre figure di - e qui esito su come definirle- clown psicologi, che commentano e la incoraggiano e a volte la scoraggiano nella sua indagine introspettiva. Loro però, gli spiritelli sono ben visibili al pubblico, ma non al padre, in abiti sgargianti e gestualità istrionica specie in Jinn lo spirito cattivello, un malevolo Puck che si trasforma anche in grottesco omicida strappando il cuore al padre per gettarlo ai piedi della figlia, in una non tanto ben riuscita scena della metafora dei sentimenti.
Il connubio tragico-comico pende visibilmente verso il comico per tre quarti del lavoro, un comico pantomimico e clownesco con il vivace Noof Ousellam che diventa tassista di macchine di cartone per esempio, che porta il lavoro al limite dopo il quale la clownerie senz’altro scopo non avrebbe potuto ricongiungersi al tragico. Ma lo evita in estremo, ed il quarto d’ora finale in cui il monologo della figlia e quello del padre si susseguono, sono di ottima scrittura teatrale. È significativo che il discorso del padre sia in rima, perché il rigore e la sintesi poetica riescono a convogliare il dolore e la rabbia per quanto la sua terra d’origine soffre ancora oggi. La figlia denuncia l’incomprensione dell’Occidente e della politica americana nel muovere guerra all’Iraq - ma c’è anche un richiamo all’ex primo ministro britannico Tony Blair che aveva approvato l’invasione, coi i tre spiriti che muti portano la sua maschera- e condanna le sanzioni che ancora paralizzano ed opprimono il Paese decurtando beni di prima necessità come alimenti e medicine.
È il primo lavoro teatrale di Jasmine Naziha Jones e come tale è promettente. Le sue capacità interpretative lo sono ancora di più. Brava nei toni comici, ma più convincente in quelli intensamente drammatici della denuncia. Philip Arditti, il padre, è eccezionale, non una sbavatura o un cedimento nella rappresentazione del suo personaggio. Dei tre spiritelli, il malevolo Jinn, Noof Ousellam, ha notevoli capacità clownistiche, ma molte volte troppo istrioniche e solo dirette agli applausi del pubblico e non alla costruzione del personaggio.
Il Royal Court Theatre, come sempre antesignano di nuove scritture teatrali, coraggiosamente nutre nuovi emergenti drammaturghi. Non è importante che il lavoro non sia uniformemente perfetto, ma che rifletta sul mondo così come lo viviamo. In questo momento in cui è facile optare per l’intrattenimento leggero, cercare di dare cibo alle menti su cui riflettere e costruirsi, è vitale. Bisogna anche dire del pubblico del Royal Court Theatre: ieri sera con una maggioranza di giovani, ma anche con spettatori di ogni età e di tutti i colori. Un pubblico variopinto, vitale, pronto a rispondere a quello che dal palco proviene. Per quest’opera con un’entusiastica approvazione.

Ultima modifica il Martedì, 13 Dicembre 2022 21:35

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