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Phaedra. Sperimentando con la tragedia, di Simon Stone. -di Beatrice Tavecchio

Janet McTeer in "Phaedra", National Theatre. Foto Johan Persson. Janet McTeer in "Phaedra", National Theatre. Foto Johan Persson.

Phaedra. Sperimentando con la tragedia.
di Simon Stone
Regia di Simon Stone, scenografia di Chloe Lamford
Con Janet McTeer (Helen), Mackenzie Davis (Isolde), Paul Chahidi (Hugo), Assaad Bouab (Sofiane), Akiya Henry (Omolara). Lyttelton, National Theatre, Londra, dal 1 febbraio all’8 aprile 2023.
di Beatrice Tavecchio 

Sul frontespizio del programma il regista e drammaturgo australiano Simon Stone, - premiato con l’Olivier per il suo adattamento di Yerma di F.G. Lorca all’Young Vic, ora in streaming- subito chiarisce che questa è ‘una nuova drammaturgia tratta da Euripide, Seneca e Racine’, e nell’intervista che segue, asserisce di aver voluto mettere in scena un soggetto tabù, e cioè la sessualità di una donna anziana. “Che cos’è sentirsi sessualmente emotivamente prese in un modo nuovo ad un’età quando senti, in certa misura, di essere invisibile come agente sessuale? È da lì che volevo iniziare ad esplorare la storia.”
Una drammaturgia scritta a ridosso e improntata anche dall’interpretazione degli attori in un lavoro che sembra ancora non ben definito, con scene lodevoli ed altre ridondanti, con un’ evoluzione dell’azione a volte chiara, ma specie nel finale decisamente confusa e pasticciata.
Sarah Bernhardt, Glenda Jackson, Diana Rigg, Isabella Huppert, Janet Suzman e Helen Mirren hanno interpretato la tragica regina, che perdutamente s’innamora del figlio di primo letto del marito Teseo e che rifiutata, ne provoca la morte ed eventualmente la propria. Questo con variazioni è il nocciolo della storia messa in scena nei capolavori della drammaturgia greca, latina e francese, e cioè nell’’Ippolito di Euridice, nella Fedra di Seneca e nella Phèdre di Racine.
La versione di Simon Stone è decisamente aggiornata. Fedra qui si chiama Helen, è deputata del Consiglio del Partito d’Opposizione, ha una figlia Isolde sposata, ma infelice, un figlio adolescente, un marito d’origine iraniana, ora diplomatico. Quando il figlio, Sofiane, dell’amante marocchino, ucciso in un incidente d’auto, viene a farle visita, se ne innamora perdutamente. Ma Sofiane, ora rifugiato politico, ha le sue ragioni per andare a trovarla: un misto di rabbia contro il padre distaccato e dominante ed un desiderio sessuale represso verso la donna che aveva visto abbracciarsi col padre e che era con lui sull’auto alla sua morte. La storia si complica: Sofiane s’innamora di Isolde, che si separa dal marito e rimane incinta. Helen, disperata, impreca contro la figlia e fa deportare Sofiane che rimpatriato in Marocco, dove ha una moglie libanese ed un figlioletto che muore perpetuando la tragedia famigliare anche lui in un incidente d’auto, finisce in prigione dove viene ucciso. Helen che pentita l’ha seguito, si taglia la gola.
Simon Stone ha voluto spiegare questa evoluzione dettagliatamente, cercando di dar peso e ragioni a tutti i personaggi. Così facendo ha però appesantito l’azione, facendola finire in rivoletti d’azione secondaria, invece che nel fiume della tragedia. L’esposizione iniziale che dipinge le personalità dei famigliari si dilunga, gioca sul comico -bravo l’attore Paul Chahidi, il marito iraniano-, ma serve relativamente poco a costruire la personalità di Helen e dei suoi famigliari. Quando Sofiane appare, la scena sembra acquistare un pò di più di consistenza, ma sempre il personaggio di Helen rimane freddo, nonostante la bravura di Janet McTeer nel caratterizzare, non mostra profondità d’emozioni umane, forse perché giocato solo su un timbro, quello di un’isterica egoista.  La scena ‘sessuale’ tra i due è anch’essa di routine e non emana concomitanza d’affetti o anche di passione. Dobbiamo così solo credere alle parole di Helen quando descrive di essere rinata e di aver riscoperto sessualmente il proprio corpo, senza esserne veramente convinti. Nella seconda parte ragioni e personaggi acquistano più rilevanza. Una bella scena in campi di erba alta dove Helen s’incontra con la collega Omolara, la bravissima Akiya Henry, che con la voce ed il ritmo del discorso alza l’efficacia dell’azione e così è ogni volta che riappare in scena. Altra scena parzialmente felice è quando alla sua festa di compleanno, Helen scoprendo che Isolde, la figlia è incinta  si scaglia contro di lei, mentre l’ex-marito, all’annuncio della gravidanza, rendendosi conto della propria infertilità, fa rovinare tutto quello che c’è dalla tavola imbandita. Come si può intuire la scena sembra giocata a livello di melodramma famigliare perché i troppi personaggi secondari e le loro ragioni smorzano l’impatto della tragedia che si vorrebbe vedere di un verosimile ritratto di divampante gelosia e cieca passione.
Così dopo due ore di spettacolo si giunge alla scena finale, che in un quarto d’ora, in una grande carrellata di rivelazioni e personaggi nuovi - la moglie, l’amica, il figlioletto che muore-, e conosciuti -Helen ed il marito-, portano alla tragica soluzione. Da rilevare che il ritmo frenetico della scena non permette allo spettatore di farsi inondare dalla compassione catartica di solito associata alla tragedia.

Sirine Saba and Assaad Bouab in Phaedra at the National Theatre. Photo by Johan Persson 24229
Sirine Saba and Assaad Bouab in Phaedra at the National Theatre. Foto Johan Persson.

I problemi di questa produzione sono vari come si è visto, ma allo stesso tempo si percepiscono errori nella scelta dell’azione che equivalgono a opportunità tralasciate. Soprattutto nella decisione di dar vita al padre morto di Sofiane solo in soprattitoli e sottotitoli che mettono per iscritto quanto la sua voce declama, in inglese ed in arabo, a sipario calato.  A questo padre che origina i sentimenti tragici di rabbia e di gelosia del figlio, e d’amore in Helen, non viene dato modo di vivere scenicamente, se non in modo parziale, a cui si unisce la difficoltà di vedere e leggere lunghe, e nella scena finale, troppo veloci scritture, troppo in alto o troppo in basso e laterali.
Il personaggio di Sofiane, interpretato dall’attore Assaad Bouab (ottimo come il mellifluo imprenditore che compra l’agenzia nella serie francese Call My Agent!), è giocato su toni calmi, ragionevoli, come da asceta, che ben contrastano l’egoismo isterico di Helen; ma che fanno sparire il personaggio dalla scena del compleanno in poi, quando resta sullo sfondo e non prende posizione nel difendere Isolde incinta. Psicologicamente incongruente col personaggio, è da quel momento perso all’azione, visto solo come figura evocativa.

Assaad Bouab in Phaedra at the National Theatre. Photo by Johan Persson 15635
Assaad Bouab in Phaedra at the National Theatre. Foto Johan Persson.

L’interazione linguistica di un’attrice inglese con un attore francese - l’inglese di Assaad Bouab è ineccepibile, ma parla anche in francese- è felice. L’esotismo della lingua araba del padre, il francese della moglie libanese, arricchiscono il discorso scenico - si ricordi Peter Brook- ma quando velocemente affastellati come nel finale, contribuiscono a offuscare il discorso. 
La scenografia di Chloe Lamford è un’enorme scatola rotante, trasparente e tagliata verticalmente da righe nere, che oscurano la scena dall’angolo di visione di qualsiasi spettatore, dato che sono ripetute a brevi intervalli. Forse trovano la loro spiegazione nella scena finale dove potrebbero riferirsi alla morte di Sofiane in prigione o forse il cubo suggerisce un’esistenza  dei personaggi come in un acquario. O forse si adegua all’estetica scenografica imperante. Resta l’indimenticabile visione dei campi d’erba alta.

Ultima modifica il Lunedì, 20 Febbraio 2023 21:52

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