The Employees (Gli Impiegati) di Lukasz Twarkowski
Dal libro di Olga Ravn
Regia di Lukasz Twarkowski
Scenografia di Fabien Lédé, video di Jakub Lech, luci di Bartosz Nalazek e Svenja Gassen
musiche di Lubomir Grzelak.
Con Dominika Biernat, Daniel Dobosz, Maja Pankiewicz, Sonia Roszczuk, Miron Smagała video, Paweł Smagała, Rob Wasiewicz.
Southbank Centre, London, 16-19 gennaio 2025
Visivamente nelle orme di Ivo van Hove, uno spettacolo interessante, contemporaneo e nuovo.
Una scatola di sei metri per sei, un cubo che racchiude e protegge l’azione e gli interpreti, circondata su tre lati da poche file di panchetti su cui gli spettatori possono sedere, posta sul palcoscenico della Queen Elisabeth Hall di fronte al suo vasto auditorio di 900 persone. Gli spettatori sono invitati a circolare, fotografare e fare riprese video. Possono sedere, stare in piedi, girare e sedersi dove vogliono durante i tre spezzoni dello spettacolo intercalati da tre minuti di sosta, col conto alla rovescia digitalmente espresso e accompagnato da musica assordante a segnalare i cambiamenti di scena e posizione del pubblico.
Uno spettacolo in polacco con soprattitoli sui quattro lati del cubo dell’eminente regista polacco Lukasz Twarkowski, premiato anche in Italia con un premio UBU per Rohtko il miglior spettacolo straniero 2024.
Il regista è emerso come uno degli innovatori dello spettacolo teatrale. Partendo da immagini video mischia mezzi cinematografici come la ripresa in diretta - due i cameramen che dal vivo seguono gli artisti riprendendoli in questo spettacolo -, il mix di immagini preregistrate e dal vivo, il taglio angolare delle immagini, schermi piccoli e grandi su cui proiettare l’azione - il cubo è diviso orizzontalmente in un’area più grande superiore su cui si proietta l’azione in un continuum, e in un’area inferiore su cui l’azione è proiettata spezzata in multipli piccoli schermi - mezzi filmici, dicevo, che si incrociano con quelli propri del teatro, con attori che dal vivo portano avanti l’azione attraverso i loro dialoghi.
Employees. Foto Natalia Kabanow
Luci stroboscopiche, rosse, verdi, di un agghiacciante bianco, tagliano continuamente l’azione come volessero animare e allo stesso tempo allucinare l’azione. Perchè questa ci dà la visionaria, distopica visione di un futuro non troppo lontano dato l’avanzare dell’Intelligenza Artificiale in cui Umani e Umanoidi in una capsula spaziale, sono Gli Impiegati che devono curare gli Oggetti. Oggetti non bene precisati, un cuore forse tenuto in un liquido, un po’ di prato, resti di una Terra lontana.
Il nodo dello spettacolo è la relazione tra Umani e Umanoidi e si centra sulle sensazioni e i sentimenti degli uni per gli altri e viceversa. In un percorso che porta lo spettatore a srotolare passo per passo le parole e le sensazioni dei personaggi come in un giallo, Lukasz Twarkowski ci presenta dapprima i personaggi, per poi mostrare come differenti Umani hanno reazioni diverse verso gli Umanoidi, dovute alle domande invadenti e inarrestabili che questi pongono, così da indurre gli Umani ad azioni contraddittorie, come spegnere l’Umanoide: “per me è come uno spazzolino elettrico”, per poi essere da lei attratto fisicamente. In un terzo momento, gli Umanoidi cominciano ad avere sensazioni “umane” sempre dovute al contatto fisico, intimo, con gli Umani.
Quando questo viene riportato al controllore del sistema - si sente solo la sua voce: “ Non sarete puniti per questo... si deve trattare di uno sbaglio nell’inserimento dati” - gli abitanti della capsula sono “biologicamente terminati”, e gli Umanoidi verranno riprogrammati nel futuro.
La tensione drammatica si instaura sull’intreccio, sulla possibile fusione di Umani e Umanoidi e infine sulla programmazione dei dati da inserire nei robot.
Nonostante la limitazione dello spazio performativo e lo spezzettamento visivo multiplo dell’azione, il filo conduttore dello spettacolo rimane chiaro, visibile sia nei dialoghi che nell’aspetto visivo dell’azione. Questo grazie ad un ritmo narrativo moderato, regolare, che dà tempo al pubblico di immagazzinare lo spettacolo, e a un contenuto, una storia alla fine “romantica” di risveglio degli Umanoidi a sentimenti, passioni terrestri. Un passaggio che avviene attraverso sensazioni, il toccare che eccita e sorprende, e che fa dire: “ Il mio conscio è come una mano. Sono cosciente di quello che provo”. La coscienza di sentire e quella di ricordare anche dopo esser stati spenti, rende gli Umanoidi coscienti che qualcosa si sta muovendo in loro, e agli Umani dona la coscienza che “loro ci appartengono”, perché sono come noi.
L’apocalisse dell’ultima mezzora dello spettacolo (due ore e mezzo in tutto), a significare l’eliminazione degli abitanti della cellula spaziale, quando un sovraccarico di luci stroboscopiche in tutte le direzioni unite a spezzate immagini di corpi nudi dal vivo e proiettate, insieme a musiche ad altissimo volume tipo 2001: Odissea nello Spazio, risulta lunga e ripetitiva. Rimane memorabile l’ultima frase dell’Umanoide : “Quando sarò riprogrammata, non ci sarà più memoria del prato.”
Employees. Foto Natalia Kabanow
Uno spettacolo quindi che per quanto concerne la scenografia è nelle orme delle innovazioni viste negli spettacoli del regista belga Ivo van Hove: la proliferazione degli spazi performativi, l’uso multimediale di immagini unite all’azione dal vivo, le riprese in scena dal vivo, un teatro immersivo dove il pubblico deve diventare parte dell’azione scenica, l’uso dell’orologio digitale per scandire i tempi, le luci e i suoni espressionistici. Come Ivo van Hove, Lukasz Twarkowski, ha usato grandi spazi scenici nei suoi altri lavori, e al contrario come in questo spettacolo ha volutamente rimpicciolito la scena, senza però rinunciare alla molteplicità di immagini.
Il tema dello spettacolo è interessante, contemporaneo e nuovo. Il dilungare del finale appesantisce la tensione drammatica e per la verità la interrompe. Qui i riferimenti alle musiche del film di fantascienza detraggono da quello che è uno spettacolo teatrale eccellente. Il pubblico di giovani, folto ed entusiasta ha acclamato il regista Lukasz Twarkowski e la compagnia.
Beatrice Tavecchio