Adattamento di Duncan Macmillan e Thomas Ostermeier
Regia di T. Ostermeir, scenografia di Magda Willi, costumi di Marg Horwell
Con Cate Blanchett (Irina Arkadina), Tom Burke (Trigorin),
Emma Corrin (Nina), Kodi Smit-McPhee (Costantin), Jason Watkins (Sorin)
Londra, Barbican Theatre, 26 febbraio al 5 aprile 2025
Kate Blanchett regna suprema ne Il gabbiano di Checov, in un adattamento di Duncan Macmillan e Thomas Ostermeier. È Irina Arkadina che balza sulla scena e con l’istrionismo dell’arrivata e glorificata attrice domina immediatamente per la malleabilità del suo corpo in cui braccia, gambe, torso assumono posizioni sempre in evoluzione, disegnando come uno spazio performativo intorno al suo corpo. Anima la scena arrivando a fare alcuni passi di tip-tap ed anche una spaccata - respiro trattenuto del pubblico - per illustrare che la sua giovinezza non è tramontata. Cate Blanchett scava man mano sempre più nel personaggio e sempre ritenendo la forza dell’azione e del movimento, magistralmente illustra psicologicamente gli alternanti sentimenti che la posseggono. Si passa dalla rappresentazione del narcisismo di Irina - sempre prima donna, incapace di non essere al centro dell’attenzione -; al noncurante disinteresse per il tentativi di emergere nel mondo del teatro creando un nuovo modo d’espressione drammaturgica del figlio Constantin; all’egoistica avarizia che vede solo il proprio bisogno. È nel ritrarre l’ambivalenza del carattere di Irina Arkadina che Cate Blanchett eccelle: nella scena della lite col figlio, sul pontile che dalla scena si protende nella platea, abbraccia il figlio, seduta, stringendolo al petto con mani e braccia e gambe, come se fosse ancora un bambino da svezzare, per poi un istante dopo insultarlo nella sua rabbia nel vederlo perso dietro quello che lei considera un sogno infantile di creazione effimera. Il suo magnetismo è ulteriormente evidente nella scena con l’amante, scrittore di successo Trigorin attratto ora dalla giovane Nina. Kate Blanchett lo circonda, lo sfiora, striscia senza mai toccarlo contro di lui, nel tentativo di catturalo e riconquistarlo. Oltre la duttilità del suo svelto e sottile corpo e la capacità di rappresentazione psicologica, è da sottolineare la capacità espressiva del suo viso dove gli alti zigomi, la fronte, gli occhi e la bocca possono rapidamente trasmettere contrastanti sentimenti. Lo stesso avviene con le variazioni della voce, dal sussurro al violento, al baritonale grottesco. La sua rappresentazione è quindi sfaccettata, multipla, così che a Irina Arkadina viene data una pienezza di caratteristiche fisiche e mentali che la fanno vivere e danno colore e sostanza al personaggio di Cechov.
Cate Blanchett (Arkadina), Zachary Hart (Medvedenko) in "The Seagull", regia Thomas Ostermeier. Foto Marc Brenner
Consistente e ottimo nella naturalezza delle sue battute comiche è l’attore Jason Watkins, in Sorin, il fratello di Arkadina. Con questa eccezione, accanto a Cate Blanchett gli altri personaggi svaniscono. Non totalmente, ma a sprazzi. Constantin (Kodi Smit-McPhee) è vivace, ispirato, convincente come giovane drammaturgo di un dramma simbolista, puro sia nel suo desiderio per un teatro diverso da quello tradizionale della madre e privo della sentimentalità con cui Trigorin scrive, che nel suo amore reciprocato per Nina; ma decade nella rappresentazione del dolore per la perdita dell’amata e di sfiducia nelle proprie capacità che lo condurranno al suicidio. Infatti il Constantin in scena sembra intristito e un pò depresso, non è il poeta drammaturgo a cui Cechov dà potenti parole d’amore per la ritrovata Nina, che lo lascia una seconda volta ribadendo il suo amore nonostante tutto per Trigorin, che spiega il suicidio del giovane.
È soprattutto la mancanza di vivacità e carisma in Trigorin, il personaggio meglio caratterizzato de Il gabbiano di Cechov, che priva lo spettacolo della controparte sia di Irina Arkadina che di Constantin. Il vanaglorioso romanziere e drammaturgo di successo di Cechov è qui insipido, troppo recitativo nel declamare la propria arte che sta nell’appropriarsi di ogni sentimento altrui come un ‘vampiro”. La meschinità con cui avvince Nina, la usa, le fa avere un figlio che poi muore, e l’abbandona per tornare alla grande diva, non è espressa dalla sua interpretazione. Questo si ripercuote, privandoci di una maggiore intensità, non solo su Irina e Constantin, ma anche su Nina, l’attrice Emma Corrin, il cui afflato lirico, la cui dizione riescono comunque a dar vita nel primo atto al dramma simbolista di Costantin e nel secondo atto, quando disperata ritorna, a rivestirci della miseria e pena in cui Trigorin l’ha lasciata.
L’adattamento di Duncan Macmillan e Thomas Ostermeier vuole attualizzare il dramma di Cechov.
Per far questo gran parte dei dialoghi sono stati tagliati e riscritti sintetizzando avvenimenti e pensieri, con una caduta nei confronti dell’originale che con grande potenza di scrittura solo suggeriva sentimenti e opinioni che lasciavano allo spettatore il piacere di collegare e rintracciare i diversi temi. Infatti la riscrittura spezza e impoverisce l’opera teatrale di Cechov che si dipana con la stessa fluidità e profondità di un romanzo di Tolstoy o di Dostoieski. Un’opera d’insieme dove ogni personaggio ha una sua individualità, ritratta anche per i personaggi minori in poche ma acute righe. I personaggi di Cechov rispecchiano le sue considerazioni sul mondo del teatro: l’attrice prima donna, il drammaturgo romanziere, l’afflato verso un nuovo tipo di teatro, il tutto immerso nell’ ambiente rurale della Russia a lui contemporanea. Nell’adattamento di Duncan Macmillan e Thomas Ostermeier è questo aspetto che si vuole attualizzare. Attraverso Irina Arkadina si dice del teatro dove bouquet di fiori vengono gettati in sacchi di plastica neri, e attraverso Nina apprendiamo della difficoltà della vita che essere attore comporta, pur restando lo sprono dell’impulso creativo. Attraverso Trigorin della difficoltà dello scrivere, attraverso Constantin del desiderio di un teatro diverso dal contemporaneo dove tutto è trito e irrilevante.
Cate Blanchett (Arkadina), Tom Burke (Trigorin) in "The Seagull", regia Thomas Ostermeier. Foto Marc Brenner
Le considerazioni sono riferibili al teatro anglosassone e non, e sono riconoscibili, ma generiche. Debole risulta l’aspirazione verso un teatro nuovo, diverso, rispecchiato nel teatro simbolista di Costantin e di Nina.
Per la rappresentazione scenica i costumi sono moderni, e i personaggi sono attualizzati in mansioni del nostro secolo: una Masha che svapa; un factotum che guida una piccola quattro-ruote con cui apre lo spettacolo e che trova una chitarra con cui si accompagna cantando alcune strofe delle canzoni di Billy Bragg per poi rivolgersi direttamente al pubblico con alcune domande per riscaldarlo; due microfoni in scena che a turno vengono usati per far rimbombare le frasi portanti; una Nina che nella declamazione del dramma viene alzata tra due cavi tipo Matrix e fa una piroetta.
Mezzi per attualizzare, ma che per funzionare devono trovare un affiatamento col dramma e non solamente sommarvisi artificialmente.
La scenografia è interessante, un boschetto di canne lacustri nel mezzo della scena da cui escono e entrano gli attori. Intrigante e nuovo.
Beatrice Tavecchio