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INTERVISTA a MARCO AGOSTINO - di Michele Olivieri

Marco Agostino. Foto Marco Brescia, Teatro alla Scala Marco Agostino. Foto Marco Brescia, Teatro alla Scala

Marco Agostino nato nel 1989, si diploma nel 2007 alla Scuola di Ballo dell'Accademia del Teatro alla Scala, dopo aver preso parte, come allievo della scuola, a "Bal des cadets" (Lichine), "Minuetto diabolico e Bach" (Olivieri), presentato anche ad "Arenzano in Danza", "Luminare Minus" (Tagliavia), "Electric Drums" (Bombana), "Bella addormentata" (Mats Ek, presentata anche al "Ravello Festival" nel 2008), "Esmeralda" (Perrot/Petipa), "Napoli" (Bournonville) e "Serenade" (Balanchine). Grazie a borse di studio ha approfondito con insegnanti dell'Accademia Vaganova (Rapallo), del Teatro alla Scala (ad Arenzano), dell'Escorial di Madrid (a Benicassim, in Spagna) e del Ballet Nacional de Cuba (a Vignale), e ha seguito corsi di perfezionamento a Vienna ("Im puls tanz" festival) e a Vis (Croazia) con gli insegnanti del Teatro alla Scala. Dal 2008, all'interno del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala, partecipa alle produzioni in stagione: "Il Lago dei cigni" (Bourmeister), "Gala Čajkovskij", "La Dame aux camélias" (Neumeier), "La bayadère" (Makarova), "Coppélia" (creazione di Derek Deane), "Trittico Novecento", "Pink Floyd Ballet" (Roland Petit). Nell'autunno 2009 ricopre il ruolo di Cavaliere di Titania in "Sogno di una notte di mezza estate" (George Balanchine) nelle recite in Scala e nel corso della tournée in Danimarca e in "Giselle" (Chauviré) il passo a due dei contadini e Hilarion. In "Serata Béjart" è interprete di "L'oiseau de feu" (sia L'uccello di Fuoco che La Fenice); in "Don Chisciotte" di Nureyev è il torero Espada; in "Trittico Novecento" è nel passo a tre di "Balletto Imperiale" di George Balanchine. Nel luglio 2010 debutta nel ruolo protagonista in "Romeo e Giulietta" di Kenneth MacMillan. Nel dicembre dello stesso anno interpreta il passo a tre ne "Il lago dei cigni" di Rudolf Nureyev. Ha inoltre preso parte ad un Gala presso il Theatre Kremlin di Mosca e al Dance Platform di Istanbul. Nel febbraio 2011 debutta nel ruolo di Des Grieux in "L'historie de Manon" di Kenneth MacMillan e successivamente nella coppia principale di "Emeralds" per "Jewels" di George Balanchine. Partecipa alle rappresentazioni di "Raymonda" (Petipa-Glazunov) in debutto alla Scala nell'ottobre 2011 e a quelle di "Onegin" di John Cranko dell'autunno 2012 dove debutta nel ruolo di Lenskij. Nella ripresa di "Notre-Dame de Paris" (febbraio-marzo 2013) debutta nel ruolo di Phoebus e nell'autunno è nel passo a tre del "Lago dei cigni" di Rudolf Nureyev. La ripresa del ruolo di Des Grieux in "L'histoire de Manon" lo porta alla promozione, dal dicembre 2013, a ballerino Solista. In "Serata Ratmansky" è interprete di "Concerto DSCH" (coppia principale). Nel 2014, per "Jewels" di George Balanchine è interprete della coppia principale di "Diamonds" e di "Emeralds" e nel "Lago dei cigni" di Rudolf Nureyev debutta nel ruolo di Wolfgang/Rothbart. Nello "Schiaccianoci" di Nacho Duato è interprete della danza francese ed è tra gli interpreti principali di "Cello Suites" di Heinz Spoerli. Nel mese di luglio, in "Excelsior", debutta nel ruolo dell'Oscurantismo. Per "La bella addormentata nel bosco" curata da Alexei Ratmansky debutta nel ruolo del principe Désiré e per "Cinderella" di Mauro Bigonzetti debutta nel ruolo del Principe. Nella ripresa di "Schiaccianoci" di Nacho Duato interpreta il Principe/Schiaccianoci. Per la creazione di Massimiliano Volpini "Il giardino degli amanti" interpreta il ruolo di Ferrando e per il "Lago dei cigni" curato da Alexei Ratmansky interpreta il ruolo di Benno, ruolo che riprende anche nel corso della tournée a Parigi presso il "Palais des Congrès" nel novembre 2016; nella ripresa del luglio 2017 interpreta anche il solista nella coppia ungherese. Nella tournée in Cina dell'autunno 2016 è in "Giselle" (in debutto nel ruolo di Albrecht e ancora nel ruolo di Hilarion) e "Cello Suites"; in Giappone è in "Don Chisciotte" (Espada). Nella "Serata Stravinskij" diretta da Zubin Mehta prende parte a "Le Sacre du Printemps" di Glen Tetley (due coppie) e "Petruška" di Michail Fokin (Il diavolo). È in scena nella coppia principale del quarto movimento, in altre recite nel secondo movimento, di "Symphony in C" di George Balanchine, all'interno del trittico di balletti comprendente anche "La Valse" e "Shéhérazade", creazione di Eugenio Scigliano in cui debutta nel ruolo di Zahman. Prende parte a "Progetto Händel", nuova creazione di Mauro Bigonzetti. Nella ripresa di "Sogno di una notte di mezza estate" di George Balanchine interpreta il ruolo del cavaliere di Titania e il passo a due del divertissement nel II atto. Nella ripresa di "Onegin" di John Cranko debutta nel ruolo protagonista. Per "La Dame aux camélias" di John Neumeier, titolo inaugurale della stagione 2017-2018, debutta nel ruolo di Des Grieux e in seguito anche in quello del Duca; in "Goldberg-Variationen" di Heinz Spoerli è tra gli interpreti principali. Nel trittico in scena tra marzo e aprile 2018 è tra i protagonisti di "Petite Mort" di Jiří Kylián ed è tra i quattro solisti in "Boléro" di Maurice Béjart. Per "Le Corsaire" di Anna-Marie Holmes debutta nel ruolo di Lankendem e in seguito in quello di Conrad. Nella ripresa di "Don Chisciotte" di Rudolf Nureyev debutta nel ruolo protagonista di Basilio, che ricoprirà anche nel corso del tour in Cina nell'autunno 2018. È fra gli interpreti di "Winterreise", creazione di Angelin Preljocaj per il Corpo di Ballo scaligero, che ha debuttato in prima assoluta il 24 gennaio 2019. Per il debutto nazionale di "Woolf Works" di Wayne McGregor è tra i protagonisti di "Becomings". Nella ripresa de "La Bella addormentata nel bosco" di Rudolf Nureyev interpreta il passo a cinque e uno dei quattro principi.

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Carissimo Marco, partiamo con un piccolo bilancio di questi ultimi anni trascorsi da protagonista nel Corpo di Ballo della Scala?
Questi ultimi quattro anni sono stati i più importanti per la mia crescita artistica perché mi sono cimentato in grandi balletti e grandi capolavori del repertorio classico, ma anche in creazioni moderne. Ho avuto la fortuna di lavorare con maestri e direttori che hanno creduto in me, dandomi la possibilità di migliorare negli anni, guidandomi attraverso i vari ruoli e le molteplici sfide che il repertorio classico e moderno offre ai danzatori di oggi, aiutandomi così a sviluppare l'artisticità a 360 gradi.

Per alcuni danza fa rima con rinunce. Per te è stato così in qualche momento del tuo cammino?
La danza per me è sempre stata un motore, una spinta verso l'alto, un modo per essere migliore del giorno prima, mi ha educato alla bellezza. Ha forgiato il mio carattere e la mia visuale verso la vita, mi ha reso esigente, curioso e mi ha insegnato ciò che conosco riguardo alla disciplina. In tutto questo ho sempre visto un'opportunità di crescita, non ho mai sentito il peso di nessuna rinuncia, anzi più che di rinuncia parlerei di priorità.

Qual è il tuo primo ricordo da bambino che ti ha portato poi a scegliere le mezze punte come possibile strumento di lavoro per un domani?
Quando avevo quattordici anni, mio padre (per farmi un regalo visto che avevo appena iniziato il corso di danza classica a Torino in una scuola privata) mi portò un dvd con un mix di registrazioni di passi a due di danza classica nel quale gli interpreti maschili erano Rudolf Nureyev ed Erick Bruhn. Rimasi folgorato da "Diana e Atteone" di Nureyev e da il "Cigno Nero" di Bruhn; mi impressionarono i loro salti e la loro velocità immersa nella musica. In quel momento decisi che avrei danzato per tutta la vita.

Nel corso degli anni sono cambiate le emozioni danzando o provi sempre le medesime suggestioni degli inizi?
Per me, le emozioni quando si va in scena sono molte e sono sempre particolarmente forti, ma in fondo è il bello del nostro mestiere: ci sono le emozioni da raccontare nel balletto in palcoscenico e ci sono le emozioni che arrivano prima dello spettacolo le quali sono un misto: dalla gioia alla paura, dall'eccitazione all'ansia. La sensazione che ho prima di andare in scena è l'emozione più forte che ho provato finora nella vita. Una cosa che cambia nel corso del tempo è il valore che si da ad ogni singolo ruolo in ogni singola prova: crescendo come artista si apprezza ogni momento di lavoro sul personaggio e non solo il momento dello spettacolo. Le emozioni più forti (nel bene e nel male) le ho provate in scena e nei momenti successivi agli spettacoli. Le più considerevoli soddisfazioni e le più grandi delusioni hanno alimentato il mio fuoco di perfezionamento.

Come ricordi il primo giorno alla sbarra e quali sono state le difficoltà maggiori riscontrate, sia a livello fisico che personale durante il periodo di formazione?
Il primo giorno alla sbarra è stato traumatico perché la mia insegnate di moderno, di una scuola privata di Torino, mi suggerì di inserire nel mio corso di studi anche la danza classica per cui non ero davvero convinto di essere nel posto giusto e non sapevo a che cosa sarei andato incontro: avevo tredici anni. In seguito mio padre mi portò il dvd e tutto cambiò.

Mentre i ricordi più belli legati agli anni presso la Scuola di Ballo del Teatro alla Scala?
Sono arrivato alla Accademia della Scala al 6° corso, avevo sedici anni ed ero nettamente più indietro rispetto agli altri compagni di corso per cui per me i tre anni di Accademia sono stati davvero tosti. Ricordo che il primo giorno in cui tenni l'audizione rimasi colpito dalla grandezza delle sale, dalla loro bellezza, da tutti quei ragazzi in divisa e soprattutto dalla musica: si sentivano melodie al pianoforte in ogni angolo della scuola. Mi colpì la musica dei maestri pianisti perché mi fece rendere conto di essere immerso nella bellezza, di essere privilegiato. Ricordo persino l'odore della pece e del legno. Adoravo tutto di quella scuola. È stato il periodo più bello della mia formazione nonostante sia stato il più duro perché ricordo che saltavo le prime ore di liceo serale per rimanere da solo nelle aule a continuare a provare per raggiungere i miei compagni e per diventare migliore di come ero. Conservo ricordi bellissimi dei miei insegnanti e ho stretto le amicizie più vere proprio in quei tre anni. È stato un periodo di crescita anche perché ero lontano da casa e per me era la prima volta, da solo in una città grande. Mi ha costretto a crescere e a capire in fretta cosa volevo fare. Sono stati anni meravigliosi.

Mi racconti il tuo momento subito prima di entrare in scena? Cosa fai, hai dei riti scaramantici, come stemperi la tensione?
Prima di andare in scena amo vestirmi da solo; abbiamo delle sarte che si occupano dei nostri costumi e ci aiutano a vestirci per essere più veloci ma io amo restare da solo in camerino per indossare il costume di scena. Per me significa entrare nel personaggio, per cui è un rito, devo essere isolato. Mi aiuta a concentrarmi. Dopodiché faccio mente locale sulle correzioni dei maestri, mi concentro sulla storia del balletto e sul personaggio che dovrò interpretare e vado in scena a provare le ultime cose.

Con il resto del Corpo di Ballo scaligero come sono i rapporti? Mentre dell'attuale direttore Fréderic Olivieri cosa apprezzi particolarmente a livello professionale?
I rapporti all'interno della compagnia sono buoni. C'è una sana competizione con gli altri ragazzi ma anche delle buone amicizie. Penso che sia un ottimo periodo per la compagnia perché sono presenti splendidi danzatori, sia maschi che femmine, per cui questo crea un ambiente stimolante. L'attuale direttore mi ha dato le più importanti opportunità artistiche della mia carriera recente per cui non posso che essergli riconoscente, e in più credo che sappia sapientemente gestire la compagnia, inserendo nelle stagioni balletti e creazioni che pongono in risalto le migliori qualità dei nostri danzatori.

Da torinese cosa ami della tua città e da milanese d'adozione cosa ti affascina del capoluogo lombardo?
Di Torino amo la qualità della vita e la calma generale che la pervade e inoltre risiede la mia famiglia per cui sarà sempre la mia casa, mentre di Milano amo il dinamismo, la creatività e la ventata di aria fresca che rappresenta in termini di idee, di internazionalità sotto tutti i punti di vista... dalla moda, alla cucina, dall'architettura ai teatri.

Tra tutti i ruoli danzati fino ad oggi quali o quale hai amato particolarmente e perché?
Sicuramente Onegin e Basilio sono due ruoli a cui sono molto legato perché sono risultati incredibili sfide seppur diametralmente opposte: uno sul piano interpretativo artistico e l'altro sul piano tecnico/artistico. Due ruoli che mi hanno dato tanto e ai quali ho dovuto dare tantissimo, tutto ciò che potevo, per poterne essere all'altezza ma che mi hanno ricambiato con incredibili soddisfazioni ed emozioni in scena.

C'è qualcuno, tra i grandi del passato, a cui ti sei ispirato o comunque che ritieni possa essere un modello valido?
Personalmente non ho un solo modello da cui traggo ispirazione ma cerco di apprendere da tutti i grandi che hanno danzato nel passato come Mikhail Baryšnikov, Vladimir Vasiliev, Julio Bocca, sia danzatori che maître e coreografi con cui ho la possibilità di lavorare. Ho avuto la fortuna di iniziare la mia carriera ammirando Roberto Bolle e Massimo Murru in classe ogni mattina al mio fianco e questa è stata un'immensa lezione sull'etica del lavoro, sulla cura dei dettagli, sull'importanza della dedizione con cui ci si approccia giornalmente alla sbarra.

Qual magia hai vissuto nel danzare presso il Theatre Kremlin di Mosca?
Danzare al Teatro Kremlin di Mosca con "Bayadere" lo scorso settembre è stato uno dei più grandi sogni che ha preso vita. Ho adorato il periodo di preparazione cominciato a ridosso dell'ultima tournée della Scala in Cina con "Le Corsaire" e "Giselle", verso fine luglio. Mi sono preparato al meglio con i maître della Scala per arrivare prontissimo. È uno dei palcoscenici più grandi del mondo, in termini di metratura, con seimila posti in platea, in uno dei paesi che ha una straordinaria cultura per il balletto. Siamo stati invitati insieme, io e Martina Arduino, e senza di lei non sarei riuscito ad affrontare così bene questa grande sfida. Prima di iniziare lo spettacolo e aprire il VII festival Internazionale di Mosca il direttore artistico ha tenuto un discorso annunciandoci e augurandoci buona fortuna. Sentire il mio nome, in quel contesto, con quel balletto mi ha scosso e commosso. Quando si è aperto il sipario avevo il cuore a mille e mi sono sentito un'energia inesauribile. Stavo camminando e ballando dentro un sogno.

Il momento dell'applauso come ti piace descriverlo, secondo la tua sensibilità?
È un momento relativamente importante perché il primo e più grande critico da soddisfare sono proprio io, per cui se penso di aver dato il massimo sono soddisfatto nel ricevere gli applausi altrimenti vorrei andare via il prima possibile. È un momento intenso, in ogni caso liberatorio.

Nel corso del tempo hai maturato una forte personalità che ti ha portato a crescere non solo tecnicamente. Su cosa hai lavorato per raggiungere questa nuova consapevolezza interpretativa?
La danza è un linguaggio, vuole dire qualcosa, per cui ho sempre pensato che possedere una tecnica sicura permettesse di lasciarsi andare completamente a livello artistico e ho cercato costantemente di lavorare fino a che non dovessi più preoccuparmi dell'esecuzione tecnica. Poi ho avuto la fortuna di lavorare e di osservare maître e artisti che mi hanno fatto intendere che dietro qualunque passo, qualunque gesto, c'è comunque un significato, un'emozione, un perché... altrimenti non varrebbe la pena farlo. Questa consapevolezza mi ha reso più interessato al significato dei passi, pur rimanendo esigente sull'esecuzione. Ciò mi ha permesso di sviluppare una personale sensibilità artistica stando molto tempo a pensare come un personaggio possa comportarsi o pensare all'interno del balletto, per sentire realmente le emozioni che si desidera trasmettere. Dal punto di vista artistico oggi cerco di farmi un'idea del carattere del ruolo che interpreto per dargli un'identità reale e non essere Marco che veste i panni di... un po' come fa un attore. Penso che questa sia una grande fortuna nel nostro lavoro.

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In questi giorni stai danzando nell'Onegin di Cranko, come ti sei preparato ad un ruolo così ricco di sfumature?
L'ho danzato già nel 2017 e lo preparai allora con Massimo Murru e Laura Contardi, entrambi maître alla Scala. Inoltre lessi il romanzo di Puškin e guardai il film con Ralph Fiennes. Cercai di delineare al massimo il personaggio di Puškin con il supporto di video con grandi interpreti, e poi cercai di dare la mia personale impronta. Questa volta ho seguito lo stesso percorso sia con il romanzo che con il film, ma ho cercato di rincorrere maggiormente attraverso la guida dei maître, la mia soggettiva sensibilità. Penso sia un ruolo a cui si può aggiungere di continuo qualcosa in termini di maturità e che ogni volta cresca di pari passo con quella dell'interprete. Per niente facile ma davvero affascinante!

Qual è il tuo libro preferito scritto per la danza e il balletto?
"La sua Danza" di Colum McCann. Biografia inventata su Nureyev, scritta sulla base dei post-it, appunti e foglietti, lasciati da lui. L'ho letto decine di volte. Lo lessi la prima volta a quindici anni e rimasi colpito dal fatto che lui tenesse una specie di diario in cui annotava correzioni, osservazioni, intuizioni relative al balletto. Rimasi colpito dal modo in cui scriveva che doveva migliorare e come, e dalla quantità di ore che trascorreva in sala ad allenarsi. Così colpito che adottai lo stesso metodo estremamente esigente di prove e annotazione delle correzioni.

Molte le creazioni danzate in Scala, una in particolare "Winterreise" di Angelin Preljocaj. Come ti ha arricchito?
"Winterreise" è stata un'esperienza totalizzante, senza pari a mio avviso. Assistere alla creazione, durata due mesi di un genio del balletto è stato incredibile. A volte Preljocaj era come una fontana inesauribile e coreografava per cinque ore di fila, altri giorni non riusciva a plasmare quello che voleva. Ogni giorno fino alla prima aggiunse o tolse o spostò un passo. Vedere come abbozzava qualche passo, poi lo cambiava, poi invertiva la sequenza, lo velocizzava, lo rallentava fino a quando non prendeva forma la sua idea. Incredibile! Siamo stati parte di qualcosa di vivo che cambiava e prendeva sempre più forma con il passare del tempo. Mi ha fatto sperimentare inediti modi di muovermi e di sentire la musica, nuovi modi di esprimere un'idea o di raccontare qualcosa. Ha sicuramente allargato i miei orizzonti in termini di balletto.

Nella tua carriera di ballerino hai ricevuto, un consiglio che è stato particolarmente significativo?
Quando ero al mio primo anno di scuola, avevo sedici anni, il mio maestro Leonid Nikonov mi guardò e mi disse: "devi essere come una spugna, imparare con gli occhi, con la testa, ascoltare e assorbire da tutto quello che puoi". Lui lo disse per incitarmi a migliorare velocemente, visto che ero indietro, ma questo consiglio ho continuato a metterlo in pratica in tutti gli aspetti del mio lavoro e della mia vita perché mi ha permesso di diventare curioso e aperto al mondo.

Hai impersonato differenti ruoli, c'è però un personaggio che più di tutti hai percepito tuo per affinità o per empatia?
Des Grieux in "L'histoire de Manon". Ho adorato la trasformazione del suo amore, la disperazione del suo amore. Un ruolo importante che mi è valsa la promozione a Solista del Teatro alla Scala dopo la mia ultima recita in palcoscenico.

C'è un coreografo con cui ti piacerebbe poter lavorare un domani?
Akram Khan. Ho visto alcuni suoi lavori a Londra e a Milano e ho trovato la sua "Giselle" davvero interessante.

E, invece, nell'ambito del repertorio classico c'è un ruolo con cui vorresti confrontarti?
Il 7 dicembre io e Martina avremo la fortuna di debuttare nel "Lago dei cigni" come artisti ospiti a Saratov, Russia, con il "Kremlin Ballet", la stessa compagnia con cui abbiamo danzato "Bayadere" a Mosca. È un grandissimo sogno che si avvera e posso dire che era assolutamente tra i primi posti dei balletti di repertorio con cui volevo confrontarmi.

Spesso si sente dire che è troppo tardi per iniziare a danzare, a tuo avviso quando è realmente "troppo tardi"?
È troppo tardi quando non si è più disposti a mettersi in discussione e non si ha più voglia di crescere e di ascoltare il proprio corpo. Se questi presupposti ci sono si può incominciare quando si vuole.

Quanto è importante calcare il palcoscenico nel periodo della formazione? E qual è il tuo primo ricordo in scena da allievo scaligero?
Nel periodo di formazione è indispensabile studiare molto ma anche avere la possibilità di confrontarsi con il palcoscenico perché poi sarà lì la vita vera del ballerino, il fine ultimo. Per cui credo che ci debbano essere della opportunità per gli allievi durante l'anno, ma penso che il segreto per arrivare pronti in scena sia sempre e solo lo studio.

A proposito di studio, quello relativo alla disciplina contemporanea per un ballerino classico accademico quanto conta?
È fondamentale. Non esistono più grandi compagnie solo classiche per cui ci si troverà a confrontarsi da professionista con i vari stili di danza. Credo che aiuti oltretutto ad aprire la mente, a mettersi in discussione e ad esplorare il proprio corpo in maniere differenti. Il modo di muoversi oggi nel balletto classico inoltre necessita della fluidità, della plasticità e dei cambi di ritmo che sono propri della danza contemporanea.

Cos'è il talento per Marco Agostino? Cos'è che in un ballerino fa la differenza?
Il talento per me è la capacità di continuare a mantenere vivo il fuoco che ci spinge a cominciare, anche e soprattutto quando le cose non vanno come vorremmo. Per me il talento non è la capacità di saper fare le cose con facilità ma il bisogno di essere meglio di ciò che si era il giorno prima, essere affamati di migliorare. La sola facilità non dura! In un ballerino fa la differenza il carattere: necessita essere resilienti, forti mentalmente e saper godere della scena per poter essere sé stessi sul palcoscenico e soprattutto non farsi condizionare da fattori esterni ma credere incrollabilmente, con umiltà, in sé stessi.

Come ci si accorge che la partner in scena è quella giusta?
Ci si accorge perché tutto il resto sparisce. Si entra dentro una bolla inscalfibile in cui si è esclusivamente il personaggio e la storia che si sta raccontando. Ci si capisce al volo e si danza uno per l'altra. Con la prima ballerina scaligera Martina Arduino per me è così. La sua straordinaria artisticità mi trasporta sempre nel balletto che stiamo danzando lasciando fuori tutto il resto. È un'artista unica, quando ballo con lei sono la migliore versione di me stesso.

I tuoi ritmi di lavoro sono alti, come si reagisce a tutto ciò?
Si fanno delle scelte. Di vita, di cibo di abitudini e ci si prende cura del proprio corpo in continuazione. Più si lavora e più si è stimolati a fare e a dare in un arricchimento continuo.

Ad ammirarti in palcoscenico sembra che tutto avvenga in maniera facile, ma quanto devi alla natura e quanto al lavoro e alla sala danza quotidiana?
Alla natura devo ben poco a parte l'altezza e le proporzioni. Tutto il resto l'ho costruito restando fino a sera in sala sia a scuola sia in compagnia. I risultati non arrivano in nessun altro modo, non c'è una formula magica. Sono passato attraverso moltissime ore di lavoro in sala danza da solo cercando di capire come poter raggiungere un risultato, svariati tentativi e numerosi dolori fisici ma tutto ciò che ho raggiunto l'ho costruito con determinazione e tenacia: non c'è soddisfazione né conoscenza più grande.

Michele Olivieri

Ultima modifica il Lunedì, 28 Ottobre 2019 03:34

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