giovedì, 18 aprile, 2024
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INTERVISTA a ALESSANDRA CELENTANO - di Michele Olivieri

Alessandra Celentano Alessandra Celentano

Carissima Alessandra, come si può preservare al meglio lo stile della danza classica accademica?
Credo che la danza classica non sparirà mai perché, come dico sempre, è la base. Sicuramente negli anni ha subìto un’evoluzione, come è giusto che sia, quindi anche le varie metodologie si sono fuse tra loro per raggiungere il massimo livello e ancora di più. Credo sia giusto trasmettere ai giovani l’importanza della danza classica accademica che, anche se richiede più sforzo, pazienza e dedizione, è l’unica disciplina che può portare a diventare un ottimo ballerino, anche moderno e contemporaneo. Tutti gli stili hanno bisogno della danza classica, dal pattinaggio alla ginnastica artistica e ritmica, al nuoto sincronizzato e ai vari stili di danza come ad esempio il latino americano. Solo facendo capire ai giovani l’importanza di tutto questo, riusciremo a preservarla. Chiaramente ci vuole anche molta conoscenza, ma credo sia scontato!

La danza ha avuto una sua evoluzione e con essa anche le fisicità degli esecutori, trovi che in alcuni casi ci sia troppa commistione (se non confusione) tra atletica ed arte coreutica?
Credo che non ci sia e non ci debba essere nessuna confusione tra atletica e arte coreutica. L’importante è conoscere la differenza tra le due: sono cose diverse e bisogna saperle riconoscere, appunto!

Cosa significa nella tua visuale odierna portare rigidità, intransigenza e assoluto rigore nello studio della danza classica? Come ti sei evoluta nel tempo a livello metodologico?
Le regole di base per diventare un professionista sono sempre le stesse, non solo nella danza classica ma nella vita in generale. La danza è in continua evoluzione e io ho seguito lo stesso percorso della danza anche dal punto di vista metodologico. E poi si sa, non si finisce mai di imparare, in questo sono umile e costantemente aperta a sapere sempre di più.

L’essere perfezionisti è un valore aggiunto?
Sì, aggiunto e necessario!

Come ben sappiamo (ma forse non tutti) la danza classica è la madre di ogni disciplina tersicorea, con questa base gli altri stili ne traggono giovamento, dal portamento, alla grazia, ad una maggiore consapevolezza del corpo fino alle legazioni. A tuo avviso Alessandra quanto è fondamentale anche uno studio minimo della disciplina accademica per il prosieguo in altre forme di danza?
Uno studio minimo non basta per raggiungere alti livelli, e non solo nella danza classica.

Cosa ti affascina nel pattinaggio artistico o nei ginnasti, che in qualche modo traggono insegnamento dalla filosofia classica del balletto?
Anche se in questo caso parliamo più di sport, credo che si tratti comunque di una forma d’arte come la danza. Siamo sempre lì, qualsiasi cosa se fatta molto bene, mi appassiona! Dico sempre che la danza è una, quella fatta bene. Ecco, applicherei questo concetto ad ogni contesto.

Quali sono i tuoi parametri rivolti ad un’idonea predisposizione fisica ed artistica allo studio della danza classica?
Una predisposizione fisica legata alla tecnica, alle qualità richieste dalla danza e sicuramente alle proporzioni. A volte, però, la predisposizione fisica non basta se poi alla base non c’è tutto il resto: l’intelligenza della danza intesa come predisposizione mentale, la musicalità, la plasticità, la coordinazione, la morbidezza, l’artisticità e molto altro. Ecco perché è così difficile, ci deve essere una sinergia.

Pensi che oggigiorno, più che mai, vengano meno le regole affinché i giovani abbiano le guide necessarie per andare avanti nel loro percorso?
I giovani hanno bisogno di essere guidati, come è stato fatto con me o comunque come si faceva una volta. Hanno bisogno di regole, di essere inquadrati sia dalle famiglie che dai maestri. Ma anche di verità, nel bene e nel male, perché anche nel male si può e si deve trovare il bene. Oggi si tende molto ad accontentare e a lasciar perdere, e non credo sia la strada giusta, in tutti i settori.

Come si riconosce un buon maestro di danza e una valida scuola, per tua esperienza?
Purtroppo per i non addetti ai lavori è alquanto difficile riconoscere un buon maestro e una buona scuola di danza. Bisogna informarsi bene con persone del settore, e valutare attentamente ogni aspetto.

Mi parli del periodo trascorso al Teatro alla Scala di Milano, quali sono i ricordi più belli, l’atmosfera vissuta in uno dei teatri più famosi al mondo, gli incontri, i sentori, le esperienze che ti hanno arricchita?
Il Teatro alla Scala di Milano è magico, ricordo che è stata un’esperienza dura e difficile ma allo stesso particolarmente costruttiva. Ho incontrato in quel periodo numerosi maestri ripetitori, coreografi, danzatori. Era una compagnia solida e importante. Sono stati anni fondamentali per la mia vita, per la mia carriera. Mi sentirei di dire che dopo aver lavorato in un teatro come quello, si può andare dappertutto, perché è davvero una grande gavetta! Del resto, come lo sono state anche le esperienze lavorative al Teatro dell’Opera di Roma e al Teatro San Carlo di Napoli, dove ho vissuto altri momenti indimenticabili e fondamentali della mia vita.

Naturalmente non possiamo non parlare di Elisabetta Terabust, grande étoile, perfezionista di forte tenacia e generosità. Cosa e quanto hai imparato stando al suo fianco?
Elisabetta Terabust è un’altra figura fondamentale che mi ha segnato per tutta la vita. Da lei ho imparato tutto: il dettaglio, la qualità, la raffinatezza, il sacrificio, la costanza, la sincerità, la dedizione, l’autorevolezza, la generosità. Anche con Elisabetta ho vissuto tutta la mia vita, prima in compagnia dove non mi perdevo nemmeno un suo spettacolo e una sua prova, mangiavo con gli occhi tutto quello che faceva, e dopo in vari teatri italiani come maître de ballet. Lei ha creduto in me da sempre, abbiamo trascorso anni indimenticabili, ho lavorato tanto con lei e mi ha sempre dimostrato grande stima. Era una donna anche molto simpatica, ci facevamo grandi risate! Ci vorrebbero troppe parole per descrivere una persona così speciale. Ti posso solo dire Michele che è stata davvero una grande ballerina, grande maestra, grande direttrice ma soprattutto una grande persona. Mi ha accompagnata per tutta la vita. Oggi mi manca e la penso quotidianamente, sarà sempre nel mio cuore! Con la sua scomparsa abbiamo perso molto, lei è davvero patrimonio culturale. Secondo me non bisognerebbe mai dimenticare personaggi del suo calibro che hanno portato in alto il nostro Paese in tutto il mondo.

In qualche modo Amedeo Amodio è stato il tuo papà artistico, quali parole di gratitudine vuoi rivolgere alla sua persona?
Hai usato Michele la parola giusta per definire Amedeo. Come padre artistico mi ha accompagnato per tutta la vita, da piccola ballerina a ballerina professionista, da maître de ballet a coreografa, assistente e maestra. Dire solo grazie sarebbe un po’ riduttivo perché oltre alla danza, con Amedeo c’è un affetto che va oltre. Se oggi sono quella che sono lo devo a lui, e da buona figlia gli riconosco tutti i meriti!

Mentre di Bronwen Curry cosa ricordi, quali segreti artistici ti ha tramandato?
Bronwen era la nostra maître de ballet principale all’Aterballetto, un gendarme! Pretendeva tantissimo da noi danzatori e non mollava mai. Donna di grande temperamento, grande lavoratrice, instancabile. Ecco, sono queste le cose fondamentali che mi ha trasmesso in tanti anni. Ricordo che dopo ogni spettacolo veniva in camerino a darci le correzioni e ci ha cresciuti con regole e amore. Ci siamo incontrate dopo anni, quando lavoravo come maître de ballet al Teatro alla Scala di Milano, io non ballavo più, ma lei mi disse che dovevo comunque continuare ad andare a lezione tutti i giorni. Anche questo è un esempio di grande insegnamento. Che dire? Tanta gratitudine per una grande professionista, sono felice di averla incontrata nel mio percorso e le devo tantissimo.

Il Corso di Perfezionamento Professionale di danza a Reggio Emilia, tuo luogo di formazione ed in seguito di docente come era strutturato?
La struttura di quel corso era più o meno come l’andamento di una compagnia professionale: lezione tutti i giorni di tecnica classica, repertorio, passo a due, repertorio “Aterballetto”, tecnica Graham, tecnica Limòn e coreografia. Io l’ho vissuta da allieva prima e da insegnante dopo, quindi sicuramente l’attestato di un validissimo percorso di formazione a pieni voti!!!

Mentre l’approfondimento all’Opera di Stato di Budapest quale valore aggiunto ti ha portato? In un Paese che ha dato grandi danzatori, maestri, coreografi e sicuramente dove l’arte del balletto è sempre stata al centro della Cultura e della giovane educazione?
Il mio perfezionamento all’Opera di Stato di Budapest mi ha dato la possibilità di testarmi, oltre che come allieva, anche come persona. È stato un percorso molto faticoso: ricordo che mi svegliavo alle cinque del mattino, alle sette cominciavamo le lezioni che duravano tutto il giorno, collegio con le sbarre alle finestre, alla sera le luci si spegnevano alle 19:00 e si doveva per forza andare a dormire. Io non conoscevo l’ungherese e quindi al di fuori delle lezioni dove i nomi dei passi sono universali, mi arrangiavo con le altre lingue. Col tempo, però, ho imparato, giusto la base! Ricordo che la sera, dalla stanchezza, non riuscivo nemmeno a fare le scale del collegio!!! Era un contesto in cui dovevamo sbrigarci tutto da soli: preparare la colazione, apparecchiare e sparecchiare, rifare i letti, tenere ordinate le camere, lavare i panni. A tal proposito Michele, voglio raccontare questo aneddoto: non essendo abituata a tutto questo e a tali ritmi, ricordo che lasciavo tutto da lavare fino a che finivano i vestiti e gli indumenti di danza. Ad un certo punto capii che dovevo darmi da fare e quindi lavai tutto a mano, perché non c’era la lavatrice, e come asciugatrice avevamo a disposizione solo una sorta di centrifuga a manovella. Ecco, uscii da quell’esperienza con le mani che erano una vescica unica, e fu proprio in quel momento che imparai la lezione, di danza e di vita appunto!

A noi potrà sembrare ovvio, ma quali sono le differenze nell’essere Maître de ballet, Maestro ripetitore e Assistente alla coreografia? E in quale di questi tre ruoli ti sei sentita più realizzata o soddisfatta?
Quando sei maître de ballet hai in mano tutto quello che riguarda una compagnia, quindi il lavoro va oltre la sala di danza perché bisogna occuparsi di ogni cosa e si ha a che fare con tutti i reparti del teatro: sartoria, attrezzeria, direzione artistica, luci, orchestra e via dicendo. Il maestro ripetitore, invece, si occupa solo delle lezioni e delle prove. L’assistente alla coreografia, assiste, aiuta e da spunti e consigli al coreografo. Io ho avuto il piacere di ricoprire tutti e tre i ruoli, tutti importanti, con un proprio fascino e per niente facili, anzi! Tutto quello che riguarda la danza mi da soddisfazione, che arriva ovviamente solo se fai bene il tuo lavoro. Io ne ho avute parecchie con tanti riscontri positivi da ogni fronte. Non sono lavori facili neanche da un punto di vista umano perché spesso ti trovi in mezzo tra la direzione i ballerini e quindi fai da tramite, da collante e anche da sostenitore. Ecco, io facevo parte della direzione ma non ho mai perso di vista l’essere stata una ballerina e quindi riconoscere e capire le esigenze e le fragilità dei danzatori senza sottrarmi, ovviamente, dal mio dovere e cercando di rimanere incessantemente onesta e diretta, sia da una parte che dall’altra.

L’esperienza televisiva come si è coniugata con la tua professione di maestra, nel passaggio dai grandi enti lirici con i suoi riti e rituali alle dinamiche e ai ritmi produttivi per un pubblico di massa?
In realtà ho sempre continuato a fare il mio lavoro quindi che si faccia in teatro o in tv o in qualsiasi altro posto, è sempre quello e non cambia. Ecco perché è stato facile! L’unica cosa dove ho trovato molta difficoltà sono i tempi, in televisione risultano più veloci rispetto al teatro, però ho imparato anche questo! Il pubblico televisivo è molto ampio e quindi cosa c’è di meglio di portare la danza nelle case delle persone? E poi, lavorare in tv mi ha dato la possibilità di far conoscere meglio questa arte. Per tutto ciò devo ringraziare assolutamente anche la trasmissione, e in particolare Maria De Filippi, che mi ha sempre dato la possibilità di essere me stessa e ha fornito tanto valore alla danza, e all’arte in generale in tutte le sue forme.

Hai avuto la fortuna di lavorare con alcuni tra i nomi più prestigiosi della coreografia internazionale, provando diversi linguaggi espressivi del corpo. Per una ballerina di formazione classica qual è il giusto approccio con un pezzo contemporaneo?
Una ballerina di formazione classica può affrontare qualsiasi linguaggio, se predisposta. Ci sono ballerini classici che non escono dalla rigidità della tecnica classica quindi o ce l’hai di natura o altrimenti bisogna lavorare tanto studiando le tecniche contemporanee.

Quando hai dato l’addio alle scene, dove e in quale produzione?
Mi sembra di ricordare con il ruolo di Micaela in “Carmen” di Amedeo Amodio al Teatro Romolo Valli di Reggio Emilia, il nostro teatro stabile.

Lo stile neoclassico, che tipo di preparazione richiede a differenza del repertorio?
Richiede esattamente la medesima preparazione del repertorio, cambia solo lo stile appunto!

Quanto è importante lo studio della danza di carattere per essere un ballerino completo, disciplina da noi poco valorizzata e compresa pur essendo presente in quasi tutti i grandi balletti di repertorio, in special modo in quelli di Petipa?
La danza di carattere è fondamentale per la formazione di un danzatore. Ti da la coordinazione, lo stile e la presenza scenica. Se consideriamo che appunto in quasi tutti i balletti di repertorio ci sono le danze di carattere l’allievo, una volta professionista, avrà già fatto metà del lavoro. Oggi non capisco il perché, ma sembra una cosa superata. Non si fa quasi più ed io non sono assolutamente d’accordo perché penso sia necessario. Presso “La Scuola di Danza” da me diretta che fa parte dell’Istituto Giovanni Paolo II di Ostia, questa disciplina fa parte del piano di studi.

Per affrontare il repertorio ci vuole un durissimo lavoro che solo con una determinazione totalizzante si riescono ad ottenere risultati soddisfacenti. Come andrebbe valorizzato al meglio il bagaglio del repertorio rimasto a noi in eredità dalla storia, una tradizione ricca di contenuti da non dimenticare e da usare nel modo più corretto?
Bisogna assolutamente continuare a proporlo nei grandi teatri di tradizione e fare in modo che non si perda il bagaglio culturale e formativo. Non bisogna dimenticare che parte tutto da lì, come nella musica: tutto quello che esiste oggi viene dalla scuola classica e dal repertorio, evoluto certamente!

La consapevolezza aiuta anche il corpo a muoversi verso nuove direzioni ed inediti concetti. Ci vuole conoscenza, ed inoltre i giusti maestri con l’arte del tramandare. Oggi si è perso l’uso della storia teorica della danza e del balletto, come spiegare al meglio ai giovani allievi (amatoriali o professionali) che senza la conoscenza del passato non esiste il futuro?
Credo sia compito di noi maestri spiegare l’importanza di queste materie che non sono supplementari ma basilari. Bisogna cercare di creare interesse perché purtroppo, oggi, i giovani sanno poco e nulla pur avendo i mezzi che noi all’epoca non avevamo! Io cerco di trasmettere anche questo messaggio e cioè di essere curiosi, non si può praticare la danza senza sapere nemmeno da dove viene e da dove nasce. Ad “Amici” e nelle scuole dove lavoro, infatti, queste materie indispensabili ci sono. Un ballerino non può essere ignorante in generale, tanto meno nella sua materia! Magari un giorno sarà un coreografo e come farà senza basi e cultura?

Per una ballerina all’interno di un prestigioso corpo di ballo quanto è difficile saper affrontare due stili alternatamente o addirittura contemporaneamente?
Non credo sia difficile, fa parte del nostro lavoro affrontare stili diversi ogni giorno. L’unica cosa, forse, è che a volte in base allo stile che si affronta si usano muscoli diversi e può succedere che per qualche giorno ci sia un po’ di affaticamento muscolare. Credo particolarmente nella versatilità di un ballerino, altrimenti non si potrebbe parlare di completezza.

Tra i tanti coreografi della scena mondiale, i tuoi preferiti sono da sempre Alvin Ailey e William Forsythe, cosa ritrovi di speciale nella loro danza a livello estetico, stilistico ed espressivo?
Aggiungerei anche Jiri Kyliàn e Pina Bausch. Sono i miei preferiti perché hanno degli stili che sento miei e che mi vengono più congeniali. È istinto. A volte non si sa precisamente perché ti piace una cosa piuttosto che un’altra. Sono sicuramente nomi eccezionali che hanno fatto la storia della danza, coreografi innovativi e speciali.

Roma e Milano, due città molto differenti tra loro ma a te particolarmente care. Cosa rappresentano e quale rimane il luogo del cuore per Alessandra, il rifugio lontano (anche ideale) da tutti e da tutto?
Milano è la mia città, dove sono nata e dove ho vissuto con la mia famiglia, la amo e ci torno appena posso. Ogni volta la trovo bellissima, pulita, in ordine, silenziosa e soprattutto è la città dove ci sono tutti i miei parenti. Roma è la mia città attuale, bellissima ma potrebbe essere molto meglio, più pulita e organizzata. Certo, non credo sia facile, però è un gran peccato! Amo molto i romani, sono simpatici e aperti, un po’ come me! Io sono da una parte milanese, precisa e ordinata, e dall’altra romana, chiacchierona e affabile.

Una tua lettura di danza alla quale sei particolarmente affezionata?
A prescindere che la danza va praticata, sicuramente i testi didattici o libri in generale sulla danza aiutano a crescere. Io sono sempre stata interessata alle biografie dei grandi artisti, per conoscere le loro storie e la loro vita. Spesso consiglio queste letture, lo trovo un grande arricchimento.

Mentre un film dedicato a quest’arte nobile?
Da piccola amavo “Due vite e una svolta” e poi tutti film con Leslie Caron, Cyd Charisse, Fred Astaire, Ginger Rogers e Gene Kelly. Li ho visti tutti, c’è molto da imparare e credo siano assolutamente attuali. Anche Ester Williams ad esempio, mi piaceva molto, era una stupenda nuotatrice che io preferisco definire ballerina acquatica. Ho amato anche Michael Jackson, un genio sotto tutti i punti di vista, non esisterà un altro come lui, ballerino e cantante strepitoso.

Nutrire una passione, come nel tuo caso da adolescente quella per la danza, annulla tutto il resto e fortifica nella crescita?
Sì certo Michele, vivi per la danza perché è passione, stile di vita... è totalitaria! Certamente fortifica corpo e mente. In generale i ballerini maturano prima del tempo perché sono costretti e chi non ce la fa, smette. È una sorta di selezione naturale perché se non c’è tanta passione, determinazione e carattere, non ce la fai. No cervello, no danza!

Per essere degli autentici artisti, oltre alla tecnica, alle proporzioni, alla conoscenza quanto è fondamentale possedere anche una spiccata sensibilità?
Beh, oltre a ciò che hai elencato Michele se non hai sensibilità è tutto inutile: sarai un corpo che si muove senza anima. Anche una grande tecnica e perfezione possono emozionare, a me succede, ma mancherà sempre qualcosa.

La musica, la danza, l’opera, la poesia, la letteratura richiamano ad un animo sensibile. La bellezza dell’arte quanto ti è stata compagna?
La bellezza dell’arte rappresenta la costante della mia vita quindi da sempre e per sempre, non mi abbandonerà mai. Bisognerebbe dargli più importanza e valore e non trascurarla, come accade spesso.

Del periodo trascorso al MaggioDanza cosa conservi, fiore all’occhiello della cultura fiorentina nel mondo?
Un bellissimo teatro e una bellissima compagnia che purtroppo non ci sono più e questo è molto triste. Sono stati anni significativi, mi sono trovata benissimo. Tra le tantissime produzioni, ricordo in particolare un balletto di Patrice Bart, “Verdiana”, una produzione ricca e difficile con degli interpreti ospiti di grande spessore, come Isabelle Guérin, Laura Contardi, mia ex collega, grande amica e danzatrice sublime e Massimo Murru, uno degli artisti che ho amato di più, oltre a tutto l’organico del teatro. E poi ricordo “Proust”, di Roland Petit, con Manuel Legris, Eva Lopez e sempre Murru. Produzioni rilevanti che oltre ad aver arricchito il teatro mi hanno anche dato la possibilità di lavorare a stretto contatto con artisti di grande calibro del mondo della danza. Poi, Firenze è stupenda!

L’invidia, le maldicenze e le gelosie campeggiano nel dietro le quinte, è inutile far credere solo ad un mondo di tulle, tutù e diademi... questi aspetti poco edificanti nella danza ci sono da sempre. Come ti sei difesa nel tempo?
Mi sono sempre difesa affrontando in faccia tutto quello che di brutto mi poteva capitare. Sono una persona diretta e chiara e non ho paura di fronteggiare i problemi e le persone. Tutto quello che succede alle mie spalle non lo so e non mi interessa. A volte sono troppo diretta e non ho ancora capito se è un pregio o un difetto. Credo nella competizione, quella sana. Di brutte persone ne ho incontrate tante ma per fortuna altrettante belle, fa parte della vita! Bisogna comunque avere un carattere forte altrimenti ti schiacciano.

Il rispetto e l’educazione verso i Maestri (non solo da parte degli allievi ma anche dei genitori) sono valori non così scontati oggi, certamente magari non parliamo all’interno delle grandi Accademie, ma perché i ruoli sono andati perdendosi via via e con essi anche la dovuta autorità e autorevolezza?
Questa è una domanda alla quale non so rispondere Michele, non lo so! Credo che questo difficile compito spetti prima di tutto alle famiglie e alle scuole, oggi sembra che invece i ruoli si siano invertiti. Non dico di tornare ai tempi del maestro che bacchetta gli alunni, ma nemmeno l’opposto. Siamo noi, genitori e maestri, che dobbiamo fare qualcosa! Spesso la mia severità viene scambiata per cattiveria, ma c’è una bella differenza: io credo di essere molto più buona di tanti finti buonisti.

Qual è stato il tuo rapporto con le scarpette da ballo, così amate così odiate?
Un rapporto di tanta sofferenza e dolore. Infatti mi sono anche dovuta sottoporre a due interventi ai piedi dal troppo lavoro che ho dovuto fare per raggiungere gli obiettivi, ma è normale. Con le scarpe da punta c’è chi soffre di meno e chi di più!!! I dolori fanno parte del nostro mestiere e bisogna conviverci da sempre, e per sempre.

Mentre con lo specchio? Fondamentale strumento quotidiano per il ballerino?
Con lo specchio ho avuto un brutto rapporto perché non mi piacevo mai, volevo sempre di più, ma anche questa è una cosa abbastanza comune a tutti i ballerini. Ricordo che un giorno a lezione, come tutte le mattine, non mi vedevo per niente bene allo specchio, era una di quelle giornate storte dove non riuscivo proprio a guardarmi. Ho cominciato a cambiarmi in continuazione: mettevo il gonnellino, poi lo toglievo, poi mettevo la maglietta e via anche quella, poi la ruota e così via... Ad un certo punto, da dietro, mi si avvicinò Elisabetta Terabust, e con tono molto duro mi disse: “Bisogna accettare la realtà”. È stato un grande insegnamento. Lei ha fatto un enorme lavoro su se stessa per diventare ciò che è stata, e io ho fatto uguale negli anni.

Come vivevi l’attimo prima di entrare in scena? E come lo vivi oggi in altro ruolo?
Prima di entrare in scena non parlavo, ero molto concentrata e provavo una sorta di emozione, paura e preoccupazione. Una volta entrata in palcoscenico però tutto passava, ero molto presente, non dimenticavo le correzioni e le difficoltà che dovevo affrontare per il determinato ruolo. Ci sono balletti più complicati e altri meno, e quindi con difficoltà differenti, ma non bisogna mai abbassare la guardia. Dopo tante repliche di un balletto, il pericolo è quello di perdere un po’ la concentrazione e invece, bisogna fare esattamente il contrario. Le prime sono sempre le più emozionanti, ma la bellezza e la fortuna di stare sul palco non passano mai. Oggi vivo lo spettacolo dall’altra parte e quindi mi concentro sull’esecuzione dei ballerini, sulle correzioni, sulle file, sull’insieme per poi fare come faceva la mia maître Bronwen, cioè andare dietro le quinte a correggere gli errori piuttosto che dire ciò che era andato bene e ciò che era andato male; questo per far migliorare ancora di più lo spettacolo, e soprattutto l’artista in generale.

Qual è stato il tuo primo spettacolo davanti ad un pubblico, sia in veste di allieva che di ballerina professionista?
Da allieva, se ricordo bene, “Paquita”. Da Professionista fu “Night Creature” di Alvin Ailey come corpo di ballo, solo più avanti fui scelta per interpretare il ruolo principale di prima ballerina.

Hai ricoperto tanti ruoli, cos’è che ti fa battere maggiormente il cuore nell’arte della danza?
Sono stata molto fortunata, ma la fortuna non viene mai da sola, “Aiutati che Dio t’aiuta”!!! Ogni ruolo ha i suoi battiti del cuore, ognuno è stato importante nel suo momento preciso.

Oggi da cosa trai ispirazione per le tue coreografie e da cosa parti per la creazione, quali sono le tue basi imprescindibili?
È diverso di volta in volta. In genere, la cosa che mi ispira è la musica, perché parte tutto da lì e poi, una volta trovato l’inizio della composizione coreografica, tutto il resto mi viene naturale. Se invece c’è una storia da raccontare, cerco di seguirla ma mai in modo descrittivo, non mi piace. Preferisco sempre lasciare un margine di interpretazione personale al pubblico. La base imprescindibile è la collaborazione con gli artisti perché coreografare è un lavoro che si fa insieme, in base a chi hai davanti. Ad esempio, con un artista viene una cosa, con un altro una cosa diversa. In generale cerco sempre di tirar fuori il meglio dal ballerino. Amo questo tipo di collaborazione perché è come sono stata abituata con Amodio, solo così ottieni il massimo dal coreografo e dal danzatore. Ovviamente puoi essere il coreografo più bravo del mondo, ma se non hai un ballerino che funziona e fa quello che chiedi, il risultato non sarà mai quello che vorresti e viceversa.

Cos’è per il te il talento e come lo si riconosce a primo acchito?
Il talento lo riconosci subito, senza sapere il perché, come riconosci subito il non talento, sapendo benissimo il perché. Ci si nasce e non si può imparare. È una grande verità!

Come ci si prepara alla fase espressiva in un balletto?
Dopo aver lavorato intensamente dal punto di vista tecnico, il miglior modo per affrontare espressivamente un ruolo è calarsi totalmente e in modo veritiero nel personaggio. Bisogna vivere sul serio la storia o il sentimento che si deve interpretare, quindi non interpreti ma lo vivi!

L’aver scelto la danza in cosa ha fatto la differenza?
La danza è la mia vita! Fa parte di me e non mi lascia mai, per fortuna! È una passione ed è totalitaria. Il linguaggio della danza è universale e avvicina non solo le varie nazioni ma anche le differenti età e le estrazioni sociali.

A proposito Alessandra, come è entrata nella tua vita l’arte coreutica, che percorso è stato il tuo?
Un percorso particolarmente duro: la scuola, la danza, ovviamente niente amici, niente weekend, niente uscite, anche perché l’educazione che ho ricevuto è stata abbastanza rigida, che però è stata fondamentale perché ha fatto capire a me e mia sorella il perché dei sacrifici e che ogni cosa ha il suo momento. Non so quando ho capito che la danza sarebbe stata la mia vita perché è avvenuto in modo del tutto naturale, sia la mia passione sia la vita che prendeva quella via. Mia madre mi ha sempre raccontato che ero io a chiedere di voler ballare. Vedeva che mia sorella andava sempre al pianoforte, avevamo un grandissimo pianoforte a coda, e io invece saltellavo sempre per casa, mi muovevo e le chiedevo proprio di farmi fare danza. È stata una cosa abbastanza spontanea.

Un tuo ricordo per Piera Casbelli, grande scaligera che ha formato intere generazioni di ballerini?
La Signora Piera, come la chiamavamo da bambine, è stata una grande insegnante e un grande punto di riferimento, era maestra ma anche mamma! Ha dedicato tutta la sua vita a noi allieve, ci amava come figlie, pur essendo dura ed esigente. Ricordo che era anche molto simpatica, piccolina ma peperina! Anche se oggi purtroppo non c’è più, il legame è ancora particolarmente forte, perché sono passaggi di vita che ti segnano e non si scordano. Tra noi sue allieve ci sono ancora rapporti di amicizia profonda, è quell’amicizia che come dico sempre ai miei allievi, non passa mai e che ha un’importanza e un legame diverso, molto più profondo. Le prime amicizie di danza sono quelle che ti porti dietro per tutta la vita, sane e generose!

Mentre le altre figure fondamentali nella tua crescita artistica chi sono state?
Come non citare Francesco Aldrovandi e Ornella Costalonga, primi ballerini del Teatro alla Scala; di loro conservo un ricordo straordinario, sono stati i miei primissimi maestri, li adoravo. Ancora oggi nutro una smisurata stima, affetto e totale riconoscenza, perché mi hanno posto non solo le basi della tecnica ma anche quelle del rispetto per l’arte della danza: sono e saranno per sempre nel mio cuore! Desidero poi ringraziare Robert Strajner, maestro rivoluzionario dell’epoca che mi chiamava King Kong perché ero molto alta, il quale mi ha insegnato un nuovo modo di studiare. Ricordo anche l’incontro con Carola Szalay Zingarelli, sempre del Teatro alla Scala, maestra d’eccellenza anche nella tecnica maschile. È proprio con lei che ho iniziato il mio percorso che mi ha portato all’Opera di Stato di Budapest: scelse tre allieve, le più meritevoli e ci portò a perfezionarci. Ricordo e ringrazio, appunto, anche i maestri dell’Opera di Stato di Budapest. Ringrazio inoltre ogni persona che ho incontrato sul mio cammino perché ha saputo credere in me, sia a livello professionale sia caratteriale. Fin da bambina ero determinata, e preciso che non può essere diversamente, altrimenti non si arriva alla meta.

Cosa ne pensi della critica?
Dipende da chi critica e come lo fa.

La danza modern/televisiva può avere ancora una forte presa nel presente? O è già stato sperimentato tutto?
Con la danza non si finisce mai di sperimentare, siamo sempre in continua evoluzione.

La notorietà non è sinonimo di bravura, non sono i like oggi a determinare la misura dell’artista, cosa ne pensi a riguardo?
Non è mai stato così, e non lo sarà mai!

A proposito Alessandra, come hai vissuto e vivi quotidianamente la tua popolarità?
In modo molto naturale, non mi sento diversa da prima. Certo, fa sicuramente piacere quando capisci che il pubblico ti stima anche se a volte non è così. Solitamente io divido un po’ le persone, ma credo sia normale.

Per anni hai fatto parte di Aterballetto, una realtà di prestigio progettuale e di ricerca ad ampio raggio. Cosa ti piacerebbe porre in risalto di quegli anni?
Per me lavorare all’Aterballetto è stata una delle esperienze più importanti della mia vita, era esattamente quello che volevo fare. “Aterballetto” mi ha permesso di lavorare con i più grandi maestri e coreografi di tutto il mondo ed è solo grazie a questa importante esperienza che oggi sono quello che sono, professionalmente parlando. È stata determinante nel lavoro ma anche nella vita, perché il grande sacrificio legato a grandi soddisfazioni formano il carattere: i viaggi in tutto il mondo, la convivenza con i colleghi, tourneé di mesi con programmi diversi, prove, lezioni e tanta fatica. Non è così facile ma allo stesso tempo è affascinante, sono stati anni molto importanti che formano sotto tanti punti di vista, devi sapertela cavare da solo fin da giovane, responsabilizzarti da subito, essere molto veloce nel fare le cose perché nessuno ti aspetta, essere puntuale, educato, rispettoso, sempre con grande spirito di sacrificio. La grande fortuna era che all’Aterballetto essendo tutti danzatori di alto livello ti ritrovavi a ricoprire tutti i ruoli, compreso quello di prima ballerina come mi è capitato sovente. Quando veniva un coreografo sceglieva il danzatore che riteneva giusto per il suo balletto e in questo modo ognuno di noi poteva esprimersi al meglio con grandi soddisfazioni. Per noi è stata una grande opportunità, di meritocrazia soprattutto e oggi, come molti, mi ritrovo anche questo bagaglio quando tengo le prove, perché l’ho vissuto in prima persona. Eravamo pochi elementi e ci potevamo permettere di ballare tutti gli stili. Eravamo molto versatili, e proprio per questo noi di “Aterballetto” possiamo permetterci di esprimerci come coreografi spaziando tantissimo. Inoltre la Compagnia ci ha dato una grande opportunità, farci lavorare con i più grandi maestri e coreografi a livello internazionale, e ciò ha significato nutrire un bagaglio che poi ti porti appresso per il resto della tua vita. Quando venivano i grandi nomi della danza e io ero giovane, ma anche dopo, tipo Elisabetta Terabust, Alessandra Ferri, Monique Loudières, Gheorghe Iancu, Vladimir Derevianko e tantissimi altri, ballavamo insieme a loro, ma per noi era un grande insegnamento, guardavamo ogni prova e spettacolo, cercando di imparare il più possibile con umiltà e voglia di diventare come loro. Poi ovviamente c’era il nostro direttore Amodio, colui che mi ha preso in compagnia dopo aver vinto la borsa di studio per il corso di perfezionamento. Devo ad Amedeo Amodio tantissimi grazie, è una persona di grande cultura, generoso, splendido artista, mi ha insegnato cosa vuol dire essere una danzatrice, cosa vuol dire realmente sapere, oltre ad aver consolidato ancora di più il mio amore totale per la danza.

Qual è stato il partner con cui sei entrata maggiormente in sintonia?
Con i miei partner ho sempre avuto la fortuna di avere un grande istinto e se la cosa viene corrisposta, ti capisci al volo: ti guardi negli occhi e l’intesa che si crea supera ogni difficoltà tecnica. Ho ballato, tra gli altri, con Alessandro Molin e Gheorghe Iancu e non ho mai avuto problemi, anzi, c’era una sintonia perfetta. L’unica difficoltà a volte era dovuta alla mia altezza, però, quando c’è coordinazione, tecnica e concertazione, la cosa è facilmente valicabile.

Hai nominato Gheorghe Iancu, amico speciale ed artista di forte temperamento. Cosa trovi in lui di straordinario a livello professionale e umano?
Gheorghe Iancu, come hai detto Michele nella tua domanda, è esattamente un artista e una persona straordinaria. Fa parte di quel mondo della danza delle grandi star: danzatore meraviglioso e coreografo speciale. È una persona leale, buona, generosa, colta, sensibile con un carattere non sempre facile, ma sempre in buona fede. Con lui ho vissuto tanto, sia da un punto di vista professionale che umano. È stato per me prima un’icona, poi un collega ed ora, oltre a questo, uno dei miei amici più cari.

La consapevolezza come la si acquisisce come valore aggiunto?
Parto dal concetto che non si finisce mai di imparare, perciò lavorare con numerosi maestri è fondamentale, in quanto ogni figura didattica tramanda quel qualcosa in più e di diverso dagli altri così. Tutto ciò non può che migliorare ulteriormente l’artista. Anche il confronto tra allievi è importante perché dona una migliore percezione del proprio essere.

Non è detto che un bravo ballerino possa essere anche un bravo maître o coreografo?
Esattamente Michele, la coreografia ad esempio è stata da sempre una mia passione, ma lavorando tanto come ballerina o maître de ballet non riuscivo a trovare il tempo per sperimentarmi sotto questo aspetto. Ricordo una volta in cui Gheorghe Iancu, coreografo d’eccellenza, stava preparando uno spettacolo e mi chiese di fare una coreografia, fu una enorme soddisfazione perché era una mia creatura, era qualcosa che avevo immaginato che poi si è materializzata. Poi nel tempo ho avuto numerose altre soddisfazioni in qualità di coreografa ad “Amici”, con ballerini meravigliosi e in tanti altri contesti. Quando sei ballerina pensi solo a te stessa, quando sei coreografa pensi agli altri; certamente sono emozioni totalmente diverse ma altrettanto forti. Io non mollo mai fino a quando non è come dico io, ma questo lo facevo anche da ballerina!

Nella tua famiglia siete in tanti che avete scelto l’arte?
Mia mamma e mio nonno erano cantanti lirici, mio papà discografico, ballerino di tip tap autodidatta e musicista, ha scritto grandi successi per mio zio Adriano (sicuramente il più celebre della famiglia), mia sorella Adriana pianista, ha frequentato il Conservatorio e mia sorella Monica è architetto d’interni. Il mondo in cui cresci ti può condizionare ma allo stesso tempo credo, anzi ne sono sicura, che la predisposizione per un’arte sia innata, e così è stato per me! Infatti il mio cammino è stato il teatro e non il cinema, la musica o l’architettura. Certo, sempre di arte si parla, ma sono settori ben differenti.

Sei sempre convinta della tua dichiarazione ‘La danza è di tutti ma non è per tutti’?
Trovo che sia un’affermazione perfetta, in fondo è la sacrosanta verità! Non so se i giovani riescano ad accettare una frase così forte quando si ama tanto la danza, quindi sta a noi adulti cercare di far comprendere loro l’importanza di questo concetto.

Hai sempre cercato di tramandare i messaggi migliori ai tuoi allievi Alessandra?
Sì credo di aver fatto il mio dovere, i messaggi non possono essere sempre positivi, purtroppo, ed è proprio lì la difficoltà, soprattutto se per il momento è solo un sogno! È molto difficile dire no, al contrario, è molto facile dire sì. I no, però, sono necessari per crescere e proprio per il grande rispetto che ho per il mio lavoro, per i giovani e le persone in generale. Come professionista ricerco la completezza in un danzatore, e con ciò intendo il lato fisico, tecnico ed artistico.

Sul versante dell’alimentazione come ti poni con gli allievi?
Sono molto informata, negli anni ho letto ogni libro a riguardo: diete, nutrizione, disintossicazione e prevenzione. Ho sempre cercato di trasferire questo mio bagaglio informativo agli allievi, aiutando altresì i genitori nel condurre i propri figli, affinché non risulti un sacrificio ma uno stile di vita. Iniziando, fin da giovani, con un’attenta e competente “educazione alimentare” il tutto risulta meno complesso!

Parlando di educazione alimentare mi collego al tuo amore per gli animali, contro le crudeltà e gli abusi?
Quando posso mi attivo, nel mio piccolo, per essere d’aiuto perché gli animali sono migliori di noi. Se tutti facessimo qualcosa per diminuire le uccisioni inutili, il mondo sarebbe superiore in bontà, senza comportare la morte di un animale o la mostruosità degli allevamenti intensivi. Lo Stato dovrebbe imporre pene durissime per questi reati, cosa che al momento non sussiste. Le persone che fanno del male agli animali, non le chiamerei nemmeno persone e tutto questo mi fa soffrire ogni giorno. L’uomo ha rovinato il mondo e certamente non si fermerà, e questo è anche il risultato della situazione in cui ci troviamo oggi. Basterebbe poco, essere meno ingordi e vivere di piccole cose.

Alla Scala hai avuto modo di collaborare con tre grandi nomi del gotha internazionale, Carla Fracci, Roberto Bolle e Massimo Murru.?
Li ricordo splendidamente quando ricoprivo il ruolo di maître de ballet alla Scala: tenevo le prove di uno dei tanti passi a due con la Fracci e Murru per Cherì di Roland Petit. Senza farmi vedere da nessuno mi asciugavo le lacrime per la bellezza di quello che stavo ammirando e vivendo, grazie alla loro intensa poesia interpretativa. Mentre un momento meraviglioso legato a Roberto Bolle, l’ho vissuto sempre in prova al Piermarini, per il celebre “Apollon Musagète” di Balanchine. Di lui ricordo la sua instancabile ricerca votata alla perfezione, un momento indimenticabile! Sono stata davvero fortunata, perché ho avuto l’onore e la gioia oltre a questo trio d’eccellenza di lavorare al fianco di tanti grandi artisti tersicorei nel corso della mia lunga carriera.

Dalla carriera hai avuto moltissimo, oggi custodisci ancora qualche sogno nel cassetto Alessandra?
È vero Michele, ho goduto di enormi soddisfazioni ed incontri importanti, ho lavorato tanto con assoluto rigore e indefessa dedizione. Mi sento appagata da ciò che ho vissuto. In realtà, a livello di carriera, avrei solo un altro desiderio, ovvero dirigere una piccola compagnia, chissà magari un giorno…

Tutti noi (o quasi) abbiamo idealizzato un mito della danza e un balletto del cuore. Quali sono stati i tuoi?
Non mi sono mai soffermata su un titolo o un autore, credo ci sia talmente tanto da poter spaziare, e poi spesso dipende anche dai momenti della vita! Sicuramente sul versante ballerini ho avuto una forte predilezione per Sylvie Guillem, Monique Loudières e Michail Baryšnikov.

Del momento storico che stiamo vivendo quali sono le tue impressioni?
Ci tengo a chiudere l’intervista Michele puntando i riflettori su questo aspetto! Credo sia già stato detto tutto o quasi, ma voglio ricordare che quando si parla di arte e cultura non si parla solo di ballerini, coreografi, maestri, teatri, cantanti, attori ecc. ma dietro a queste forme di arte ci sono moltissimi altri lavori “interni”, tipo sartorie, negozi del settore, attrezzerie, truccatori, parrucchieri e molto altro. Spero che qualcuno se ne accorga che non è una situazione da sottovalutare e io sto facendo, nel mio piccolo, qualcosa per aiutare e supportare.

Per concludere, qual è il tuo augurio, Alessandra?
Auguro a tutto il mondo di non tornare come prima, di fare tesoro di quello che sta accadendo per migliorare e rispettare, soprattutto la natura che si sta giustamente ribellando, gli anziani, i bambini e gli animali. Dobbiamo farlo tutti, dobbiamo cambiare il nostro vecchio modo di vivere e di pensare sbagliato. Io ho già iniziato da tempo. In bocca al lupo a tutto il mondo!!!

Michele Olivieri

Ultima modifica il Venerdì, 08 Maggio 2020 08:34

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