giovedì, 28 marzo, 2024
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INTERVISTA a CARLO FUORTES - di Mario Mattia Giorgetti

Carlo Fuortes. Foto Yasuko Kageyama Carlo Fuortes. Foto Yasuko Kageyama

Ora il Coronavirus ci ha messo a nudo, quali iniziative innovative si possono prevedere nella stesura di un programma, di un cartellone da proporre?
Durante il periodo di lock-down ho riflettuto molto su cosa fare al momento della riapertura.
La risposta che mi sono dato, e che continuo a darmi, è semplice: siamo un teatro d’opera che deve rimanere il più possibile fedele a se stesso, impegnando tutte le forze tecniche e artistiche al proprio interno per la realizzazione di spettacoli compatibili con le attuali esigenze.
Da questa premessa sono nati alcuni esperimenti di teatro musicale ai tempi del coronavirus, tutti con la direzione di Daniele Gatti: in estate il Rigoletto in forma scenica che - all’interno di una grande struttura costruita appositamente nel vasto spazio del Circo Massimo - è stato fruibile ad un pubblico di oltre mille spettatori a serata, anche grazie all’utilizzo di un maxischermo che era parte integrante del progetto registico di Damiano Michieletto.
Nello stesso contesto all’aperto abbiamo realizzato un balletto in forma scenica, ispirato alle Le quattro stagioni di Vivaldi, a firma di Giuliano Peparini.
Con Zaide di Mozart, per la regia di Graham Vick, siamo tornati al chiuso, nel nostro teatro, producendo spettacolo per un pubblico contenuto. Ora la sfida è fare l’opera in teatro senza pubblico, o meglio filmando con camere e microfoni per un pubblico televisivo. E' l’idea del Barbiere di Siviglia di cui Mario Martone sarà regista teatrale, ma anche televisivo, e che grazie a Rai Cultura e a Rai Tre sarà trasmesso il prossimo 5 dicembre inaugurando la Stagione 2020-21.
Parallelamente a questo sforzo produttivo, le limitazioni generate dall’emergenza epidemiologica ci hanno portato a realizzare iniziative in streaming, sia riprese dagli archivi digitali sia realizzate ad hoc.
Questo tipo di proposta ha riguardato e sta riguardando più o meno tutti i teatri e le istituzioni musicali che si stanno via via dotando di piattaforme digitali.
E’ una risposta senz’altro positiva, non solo perché permette di traghettare il teatro e la musica verso l’auspicato ritorno alla cosiddetta normalità, ma anche perché rimarrà un lascito per il futuro. Sicuramente d’ora in poi, tutti i nostri spettacoli verranno registrati avendo sempre maggiore cura della resa qualitativa sia visiva che sonora.

Come sovrintendente di un Ente Lirico molto importante quali strategie, in tempo di pandemia, intende mettere in atto per proteggere gli artisti (interpreti, orchestrali, coristi, danzatori, compreso tutto lo staff di supporto: sartoria, costumistica, laboratorio scenografico), poiché senza di loro i teatri sarebbero scatole vuote?
La pandemia ha senza dubbio messo a nudo la peculiarità del nostro settore dal punto vista del suo complesso equilibrio economico, ma ha anche fatto emergere la distinzione tra lavoratori stabilmente incardinati all’interno della struttura-teatro e libero professionisti che gravitano intorno a quella struttura.
Grazie alla conferma dei finanziamenti pubblici, e di larga parte di quelli privati, si è potuto sostanzialmente garantire e proteggere i lavoratori interni, ricorrendo in parte allo strumento della cassa integrazione. Quest’ultima, tengo a precisarlo, si è resa necessario perché, nelle realtà altamente produttive come la nostra, i mancati introiti da biglietteria sono solo parzialmente compensati dalla diminuzione dei costi di produzione derivanti dalla chiusura.
Il problema più grande per ora ha riguardato la tutela degli artisti libero professionisti (cantanti, registi, scenografi, costumisti, mimi, figuranti e personale aggiunto delle varie compagini tecniche e artistiche). Nel mondo dello spettacolo, ad oggi, ritengo siano queste le figure che hanno subito, sia pur con importanti differenziazioni al proprio interno, il maggior peso della crisi.

Per non perdere l’attenzione e quindi l’interesse del pubblico quale tipo di eventi metterebbe in gioco tra lirica, danza, concertistica? Procederebbe via streaming, perdendo così il significato di spettacolo dal vivo, poiché vivo si rivolge alla presenza del pubblico in rapporto con gli interpreti?
Come già detto, oltre allo streaming, l’Opera di Roma sta sperimentando anche altre soluzioni che offrano una risposta artistica al difficile presente che stiamo attraversando.
In questi giorni, a porte chiuse, ma con gli artisti in presenza, stiamo registrando per Rai Tre Il barbiere di Siviglia con la direzione di Daniele Gatti e la regia di Mario Martone.
Il “palcoscenico” sarà l’intero teatro trasformato in set cinematografico: elementi scenici ridotti all’essenziale e un’inedita libertà di movimento dei protagonisti tra sala, foyer, palchi e balconate.
Oggi ci confrontiamo con una pandemia e quindi, nell’ambito delle condizioni imposte, cerchiamo soluzioni non automatiche che portino a un risultato artistico innovativo e di qualità.
Il linguaggio cinematografico dell’attuale progetto - un linguaggio in parte già utilizzato la scorsa estate nel Rigoletto del Circo Massimo - consente l’introduzione di una dimensione ulteriore che manca allo streaming. Tuttavia, anche nella migliore delle realizzazioni possibili, nulla potrà mai far perdere il valore unico e non imitabile della componente “dal vivo” dello spettacolo.

Se la pandemia dovesse persistere per anni, ai creatori di lirica (compositori, librettisti, registi) che richieste avanzerebbe perché la creatività vada avanti e sostenuta verso un pubblico?
Se anche l’emergenza dovesse perdurare o comunque ripresentarsi nel corso del tempo, come è stato da alcuni paventato, credo si troverebbe una soluzione accettata e codificata che consenta la presenza di pubblico in sala. L’esperienza degli ultimi mesi ci ha resi estremamente attenti e ricettivi rispetto alle diverse misure di contenimento del contagio. All’interno di queste limitazioni c’è ampio spazio per la creatività.

In questo periodo tragico, quali prospettive si possono mettere in campo per non disperdere talenti che si avvicinano alla lirica? Ai giovani aspiranti cantanti quali consigli si sente di dare in questa situazione di paure e incertezze?
Ritengo che la condizione dei giovani artisti sia quella più grave in questo periodo.
I giovani rappresentano, all’interno della categoria dei libero professionisti cui si accennava prima, la componente più fragile. Si sono appena affacciati al mondo della lirica e, come conseguenza, non hanno né visibilità consolidata, né agenzie che li rappresentino. Nel momento in cui potrebbero spiccare il volo sono pesantemente bloccati da condizioni esterne inimmaginabili fino a pochi mesi fa.
L’Opera di Roma continua a valorizzare i giovani del progetto Fabbrica-Young Artist Program, inaugurato cinque anni fa. Gli artisti che, dopo accurata selezione, beneficiano delle borse di studio messe a disposizione dal Teatro (in molti casi attraverso il contributo di singoli Mecenati) sono intensamente coinvolti nelle produzioni. In questo periodo non abbiamo sospeso le lezioni né tanto meno la partecipazione dei giovani artisti ai progetti in corso.
In generale siamo un teatro che cerca di mantenere un equilibrio tra la presenza dei grandi nomi della lirica e quella dei nuovi talenti, in alcuni casi scommettendo decisamente su questi ultimi.

Quali impegni chiederebbe all’Unione Europea perché la cultura delle discipline dello spettacolo dal vivo (musica, lirica, danza, performance) non cada nell’oblio?
Gli Stati membri dell’Unione Europea hanno reagito all’emergenza, anche sul fronte dello spettacolo dal vivo, in modi abbastanza diversificati. I Paesi che hanno un sistema di welfare pubblico hanno avuto più strumenti per la salvaguardia del settore, anche se credo che l’Italia abbia risposto, in termini produttivi, più di tutti. Credo anche che, vista la disomogeneità delle legislazioni nazionali, questa possa essere un’occasione per favorire una tutela dei lavoratori dello spettacolo più coordinata a livello comunitario.
Questo aspetto andrebbe rafforzato accanto al positivo diffondersi di programmi europei di sostegno per settori culturali e creativi.

Lei pensa che lo spettacolo dal vivo subisca un declino da parte dei mezzi mediatici (streaming, video web, televisioni) a causa della situazione pandemica?
Lo streaming, anche nella sua migliore versione tecnologica, non sostituirà mai lo spettacolo dal vivo.
Il Teatro non potrà mai essere ridotto a fenomeno visivo e sonoro perché – come è stato più volte e in più sedi sottolineato – non si limita all’osservazione e all’ascolto di protagonisti che parlano, cantano e si muovono su un palco, o di un coro e un’orchestra che, sotto la guida di un direttore d’orchestra, dispiegano, con le loro note e accordi, le trame di una partitura.
Il Teatro è, molto più di questo, l’incontro reale e ravvicinato di attori e spettatori che si influenzano a vicenda.
Per quanto importanti e imprescindibili in questo periodo, gli esperimenti digitali non possono che far sentire la mancanza di quell’esperienza fisica e spirituale che è propria dello spettacolo dal vivo, esperienza dalla quale spesso si esce, fosse anche solo per pochi minuti, profondamente cambiati.

Se un compositore di riconosciuto valore le proponesse un’opera monologante intorno ad un mito, lei si sentirebbe di metterla in scena con un complesso musicale distanziato per sicurezza sanitaria, con un pubblico rispettoso dei protocolli?
Come già sottolineato, l’applicazione dei protocolli sanitari dopo il primo lock-down non ci ha impedito di re-inventare il teatro. Credo che la nostra istituzione, nell’attuale sfida, stia dimostrando flessibilità coraggio e inventiva. Quindi rispondo serenamente sì alla sua domanda.

La mancanza di pubblico in sala, crea una mancanza d’incassi utili in parte alla gestione delle attività. Chi dovrà sopperire a questo vuoto: gli Enti Pubblici, gli sponsor, libere donazioni del pubblico? Chi?
Fatta salva la conferma dei contributi pubblici, la perdurante mancanza di spettatori non sarebbe sostenibile soprattutto per quelle realtà che, come la nostra, fondano l’equilibrio dei propri bilanci su un’importante percentuale di incassi da biglietteria e sponsorizzazioni private (queste ultime spesso legate alla realizzazione di spettacoli e di eventi ad hoc).
Escludo che lo streaming, anche a pagamento, possa mai anche solo lontanamente compensare quelle perdite.
Per non parlare del fatto che la mancanza di pubblico in sala limita fortemente i teatri nella propria caratteristica funzione sociale.
Tutto questo per dire che non posso, né voglio, ragionare in termini di medio, né tanto meno lungo periodo, augurandomi che la situazione attuale possa essere superata in tempi ragionevoli.

Mario Mattia Giorgetti

Ultima modifica il Lunedì, 30 Novembre 2020 10:57

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