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INTERVISTA a FREDY FRANZUTTI - di Michele Olivieri

Fredy Franzutti. Foto Francesco Sciolti Fredy Franzutti. Foto Francesco Sciolti

Fredy Franzutti uno dei più noti coreografi nel panorama nazionale, fonda nel 1995 il “Balletto del Sud”, Compagnia che dirige e per la quale ha creato un repertorio ad oggi di 41 spettacoli. Realizza inoltre balletti per diversi teatri internazionali fra cui il Bolshoi di Mosca, il Teatro dell’Opera di Roma, l’Opera di Montecarlo, l’Opera di Magdeburg, Sophia e Tirana, per diversi enti lirici italiani e per trasmissioni Rai. Ricostruisce balletti perduti sotto la guida di Beppe Menegatti. Cura le danze di opera di produzioni realizzate in Francia, Spagna, Russia e numerose in Italia, a fianco di registi come Pier Luigi Pizzi, Mauro Bolognini, Beppe De Tomasi, Flavio Trevisan. Ha realizzato coreografie per étoile internazionali come Carla Fracci, Lindsay Kemp, Luciana Savignano, Alessandro Molin, Xiomara Reyes, Vladimir Vassiliev. Partecipa, su invito di Vittoria Ottolenghi, a diverse edizioni delle “Maratone internazionali di danza” e realizza per Vittoria Cappelli numerosi eventi. All’attività di coreografo affianca quella di autore, regista, scenografo e costumista, dirigendo opere liriche e di prosa e ideando diversi spettacoli, anche con voce e danza, collaborando con Ugo Pagliai, Giorgio Albertazzi, Arnoldo Foà, Franco Battiato, Lorin Maazel, Katia Ricciarelli.

Fredy una volta mi hai detto che non si può fare cultura senza essere colti, ma sei così sicuro che tutti coloro che la fanno lo siano?
Se l’ho detto ho cambiato idea assolutamente. La cultura è la conoscenza dei “prodotti culturali” che possono essere creati anche senza cultura. Talento, istinto, sintesi degli stimoli visivi, emozioni ed esperienze personali possono essere tradotte dall’arte e comunicate all’astante – il pubblico – in tutte le forme della comunicazione, dall’arte plastica/pittorica, al teatro, al cinema e dunque alla danza. Detto questo, il mio personale modo di lavorare è imprescindibile dal contenuto – dal pensiero portante –, ma è il mio modo non è la regola. Appartengo a quella corrente artistica – che sarebbe una corrente anche se fossi solo – che rielabora ed integra le arti con la necessità di traduzione, di stratificazione dei contenuti, di comunicazione dell’idea. Non so, e non mi interessa, della preparazione culturale dei coreografi, bisogna giudicare, apprezzare o eventualmente criticare “l’opera d’arte” e non l’artista che l’ha generata. Le nuove generazioni in molti casi ignorano – anche per scelta – tutta la produzione romantica e più impervi anche tutto il Novecento. Per me sarebbe impossibile, mi sentirei il sordo-cieco in un film di Arthur Penn. Ignorando i precorsi e il passato si rischia di scoprire “l’acqua calda”, ma è compito della critica aiutare il pubblico a non cadere in facili entusiasmi generati dall’ovvio, dal banale riscoperto, o dalle battaglie già vinte.

Il bello è un concetto soggettivo e mutevole, cosa colpisce il tuo immaginario in particolare?
Nella danza “la bellezza” è quel sottile equilibrio tra Apollineo e Dionisiaco. Possiamo dire che, con l’arte della danza, si realizza, in maniera visiva – e percettiva – l’antitesi dei concetti della filosofia di Nietzsche, che contrappone le due divinità come paradigmi di valori morali-comportamentali che si possono anche tradurre con cifre estetiche. Per tanto il danzatore privo di uno dei due aspetti non risulterà mai completo perché appunto mancante di una tensione interiore, o estetica, che lo farà risultare “graficamente” noioso. I parametri estetici del balletto tendono ai canoni della bellezza Apollinea: le gambe lunghe, le braccia lunghe, la testa piccola, un bel viso. Ma...!!! Anche se queste caratteristiche consentono l’ammissione alle ottime scuole sappiamo che poi il successo, o quel ballerino definito “interessante” o “artista” è spesso quello che trasgredisce, in parte, alla regola tendendo al Dionisiaco anche nelle proporzioni o nelle caratteristiche. Quindi concludiamo con l’abusato assioma di Oscar Wilde che recita: “La bellezza sta negli occhi di chi guarda”.

Spesso fai interagire nei tuoi spettacoli la parola e la danza, è sempre un percorso facile da affrontare?
Le arti integrate, l’interazione tra la comunicazione verbale e non verbale ha avuto sempre traccia, e importanza, nella storia dello spettacolo, basti pensare a “Le Martyre de Saint Sébastien”, di Debussy/D’Annunzio, o al “L’histoire du soldat” di Stravinskij su libretto di Charles-Ferdinand Ramuz, i lavori di Jean Cocteau, di Marguerite Yourcenar o a tutti gli esperimenti di Beppe Menegatti (che definisco un maestro) per il teatro italiano. Ma anche il più autorevole teatro-danza usa il linguaggio binario parola-corpo come nei capolavori insuperati di Pina Bausch. Nei nostri spettacoli la parola interagisce con la danza preferibilmente nella forma di poesia. Perché la poesia è, in un certo senso, una musica e si propone allo spettatore con la stessa attrazione emotiva della danza e del balletto, perché, a differenza della prosa, non è immediata e comunica direttamente alla sensibilità e alla coscienza, e non alla comprensione diretta. La parola non è utilizzata in maniera pleonastica, a didascalia della coreografia, ma è un ponte emotivo che alterna e sollecita le capacità cognitive del pubblico. Una strada percorsa oggi da molti coreografi e registi nel panorama internazionale.

La tua Compagnia è stata fondata a Lecce nel 1995, negli anni è cresciuta senza nessuna battuta d’arresto. Come vi siete posti con la recente emergenza sanitaria e le conseguenti limitazioni?
In effetti la domanda centra il problema che si pone sul concetto dell’arresto di una crescita, oltre che al danno in sé e alla momentanea chiusura dei Teatri. Non per farne un dramma condivisibile, ma sicuramente lo è per tutto il comparto, ma gli spettacoli persi non si potranno più fare. Si faranno “altri spettacoli” ma nel teatro il concetto di recupero non esiste, si crea del nuovo per il nuovo momento ma il lavoro perso è perso. La Compagnia ha avuto, dal 1995, un percorso in crescita, anche se devo precisare che sin dagli anni del debutto la qualità degli spettacoli e degli interpreti è stata definita ottima. Sono poi aumentate, negli anni, le intenzioni culturali, la varietà delle proposte e dei progetti, il numero delle repliche e la ricchezza degli allestimenti. La Compagnia durante il secondo lockdown (ottobre 2020-maggio 2021) non si è fermata e nei primi mesi del 2021 siamo riusciti a debuttare con due produzioni: “Le lettere ritrovate” e “La Luna dei Borboni”.

Per repertorio e tipologia di ballerini vi avvicinate alle compagnie tedesche, francesi ed inglesi, l’ispirazione infinita rimane comunque l’Italia, ed in particolare il Sud con i suoi colori, le sfumature, i profumi, le radici che traggono linfa dalle tradizioni ben conservate nella memoria, senza tralasciare quella cultura così ricca di influenze. Cosa ti affascina in particolare?
“La Compagnia è di modello europeo, per intenti, programmazione, tipologia di ballerini (di estrazione internazionale e molti in grado di alternarsi nei ruoli principali), allestimenti e varietà di linguaggi”. Così Mario Pasi, compianto storico e critico di balletto e di danza del “Corriere della Sera”, ha definito il “Balletto del Sud”. Il rapporto con il territorio, inteso come fonte di ispirazione, non è un pretesto narrativo esotico o un motivo di riscatto meridionale. La “cultura australe”, intesa come produzione artistica dell’area posta a sud dell’equatore terrestre, è una traccia comune identificativa di una storia millenaria di cultura e tradizione dell’arte performativa. Dalle tragedie di Eschilo al moto di libertà di Carmen si crea una parabola sociale (ed estetica) che trascolora i drammi e le passioni nei ritmi e nei colori del Sud. Una potenza emozionale continua che diventa facilmente genesi delle idee e traduzione artistica condivisibile.

Spesso un sold-out non è sinonimo di qualità, spesso il teatro mezzo vuoto non è sinonimo di genialità e creatività incompresa?
Sicuramente è così, l’assioma è corretto. Il sold-out oggi è conseguenza di una giusta e mirata promozione, o di un titolo classico pop, o di una Compagnia molto nota o che in maniera forviante echeggia a fasti gloriosi del passato (es. Balletto di ...e nome casuale di una città dell’est). D’altro canto il teatro mezzo vuoto si può verificare se la Compagnia o il coreografo non è riuscito a creare, negli anni della carriera, un dialogo costruttivo con il proprio pubblico o ha carenza di talento o di mezzi. Ma credo che in assoluto si può anche pensare esattamente il contrario. Ovvero che il sold-out lo fanno le compagnie che hanno requisiti, che hanno costruito dialoghi intercettanti, investito in promozione e qualità degli interpreti, gusto e ricerca, scelte musicali pertinenti, hanno collezionato recensioni positive e instaurato rapporti di sviluppo con le reti di distribuzione e con i teatri più qualificanti. In riferimento ai teatri mezzo vuoti, spesso accade, anche, che le più meritorie operazioni culturali non essendo pop e non attingendo alle sacche di pubblico più generalista, non riescono a riempire il contenitore culturale e che comunque positivamente lo dobbiamo vedere non “mezzo vuoto” ma “mezzo pieno” con un atteggiamento concreto e di speranza verso tempi migliori.

I prossimi impegni?
Il Balletto del Sud è attualmente impegnato in due stagioni di danza e arti integrate. Una si realizza nella cornice del Chiostro dei Teatini di Lecce – da Luglio ad Agosto – e l’altra, nello stesso periodo, nel Comune di Minervino di Lecce nella cornice suggestiva del sito archeologico del Dolmen, Lì scusi. Per un totale di undici appuntamenti. La Compagnia è inoltre in tournée in Sicilia, Liguria, Abruzzo e in Friuli-Venezia Giulia. In Bulgaria l’Opera di Sofia continua le repliche di “Bolero” e “Carmina Burana”.

Michele Olivieri

Ultima modifica il Domenica, 18 Luglio 2021 16:09

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