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David Herbert LAWRENCE - L'Amante di Lady Chatterley

La Notte, 29 settembre 1976

Oggi è acqua fresca, anacronismo innocuo; il libro si trova tranquillamente esposto nelle edicole in edizione economica, costa a costa coi romanzi di Liala, e, con meno di un migliaio di lire, se lo può procurare anche il primo Pierino che passa. Ma al tempo della nostra adolescenza, quando erano in corso lo scandalo e l'interdetto universali, durati trent'anni, fra tuoni e fulmini di tutti i colori e in ogni paese!... procurarsi, allora, una copia di sfroso de L'amante di Lady Chatterley, il racconto autobiografico di David Herbert Lawrence, naturalmente in una lingua straniera, da compitare a pezzi e bocconi comprendendone la metà, di notte, chiusi nella propria cameretta, col cuore in gola e con la lampadina schermata dall'asciugamano, acciò che non filtrasse fuori un filo di luce od insospettisce la genitura; oppure serrati al cesso, con la scusa inesplicabile di un'improvvisa stitichezza... allora era un'impresa eroica, a metà strada tra l'eroismo e la criminalità.

Fra coetanei, coloro ai quali lo si confidava, non a tutti, poiché, anche fra i coetanei, non mancavano le carogne invidiose capaci di far la spia, si era qualcuno. Fate conto, si veniva considerati non da meno di coloro che, senza ancora aver raggiunto la data fatidica dei diciotto anni, che te ne socchiudeva l'uscio, avevano osato varcare la soglia introducente alle delizie di una casa chiusa, a quei dì ancora fiorentemente lussureggianti.

C'era anche un terzo modo di leggerlo, ma era un rischio pazzesco, una provocazione, una bravata, un andare allo sbaraglio che poteva costar caro: apertamente, sul banco di scuola, debitamente incamiciato, fatto passare come il libro di testo, nell'ora di storia o di filosofia, a scapito di Cavour o di Kant. Personalmente, confesso d'aver approfittato di tutti e tre i modi, a rischio d'una nevrosi cardiaca. Dio liberi se fossi stato colto sul fatto, non so letteralmente che cosa avrebbe potuto accadermi.

E poi le lusinghe, le seduzioni, i veri e propri ricatti dei compagni per farselo imprestare. Stamattina, viceversa, una sbarbinella che non avrà avuto diciassette anni, se lo teneva spalancato davanti agli occhi in vista di tutti, in metropolitana. Certo, con quello che si è letto e si legge, che si è visto e che si vede al cinema, la generazione odierna ha il diritto di considerarci degli antidiluviani.

Basti pensare che l'autore, proclamato iperbolicamente, tra fanatismo e deplorazione, elevato alle stelle o precipitato nel fango, "profeta del sesso", un anno dopo aver fatto stampare il libro a proprie spese, sentì il bisogno di pubblicarne altri due in sua difesa: Pornografia e Oscenità e Difesa di Lady Chatterley (vero è che fu anche un emerito poligrafo) anch'essi, naturalmente procurati di contrabbando e letti come un ladro. Eppure, certe determinanti scoperte di libertà, certe aperture di cultura, certi sondaggi di coscienza, certe disinibizioni antitorbide, certe epifanie di sincerità, conquistate allora precariamente, anche sotto quelle pressioni e per l'influenza di quel romanzo, pur se non il migliore del suo autore, son rimasti segni indimenticabili od indelebili nel mio animo adulto. In prima linea l'idea del sesso svincolato da secolari tabù, come purificatore da sofisticati cerebralismi, elemento di recupero delle scaturigini istitutive e naturali della vita nel senso di Rousseau e, in ultima analisi, strumento di sana conoscenza. Come si vede, in qualcosetta, sono stati precursori anche quelli della nostra età e non era età di permissione ad oltranza come quella odierna.

Con una riduzione teatrale, si fa per dire, poco parlata ma nemmeno, certo molto agita, "gestuale" come va di moda oggi e come solitamente parrebbe propendere la compagnia ospite, ieri sera ha riaperto i battenti, per la nuova stagione, il teatro Manzoni. Era di scena la Cooperativa romana "Alla ringhiera" risultando responsabile dell'operazione il proteiforme Franco Molè, regista, attore, traduttore e, crepi l'avarizia, drammaturgo. Siccome, presumo, alcuni degli spettatori accorsi – non pochi ancora con la curiosità, vagamente sporcacciona, incollata al famoso titolo – ignoreranno il romanzo; e tenuto conto che la presente riduzione non si può dire che sia in grado di comunicare tutti gli spessori psicologici, morali, culturali e saggistici che ne formano il segreto e vero midollo, e poco anche la pura e semplice vicenda, non sarà superfluo spendere – anch'esse insufficienti come accade per la riduzione scenica di ogni romanzo, e di questo in particolare – due parole sulla storia.

Innanzitutto, per chi non lo sapesse, essa tocca direttamente e profondamente i rapporti autobiografici – opportunamente sottolineati dal copione nella identificazione del personaggio dello sposo e lo scrittore stesso – dell'autore con la propria moglie, adombrando: sé stesso – morto di tisi in non tarda età – nel personaggio dell'aristocratico, intellettualistico, e letterato marito; dipinge la propria moglie in Lady Chatterley, svuotata e infastidita, tanto più trovandosi anche vogliosa di maternità, dal verboso e inerte cerebralismo del proprio impotente consorte, malato di intelligenza, una testa pensante a vuoto su un corpo paralizzato da una ferita di guerra, inchiodato su una carrozzella; raffigura l'ufficiale italiano – morto in età veneranda proprio recentemente – nel solitario guardiacaccia, delicato ma rude, pudico e, insieme, disinibito maschio infaticabile, tutto ed unicamente vivificante energia fallica: sentimento allo stato naturale, estrinsecato tramite un'esaltazione quasi mistica nella comunicazione istintiva e totale tra creatura e creatura: il senso vittorioso sul raziocinio, capace di penetrare, elevandolo, il sacro mistero della vita. Tra i due predestinati nasce una passione travolgente che nulla e nessuno, alcun fatto e alcun ragionamento, possono contrastare. Faranno un figlio insieme e se ne andranno in compagnia. Così accadde anche nella vita di Lawrence, finché, alla morte dello scrittore, i due fallocrati si sposarono regolarmente.

Gli attori, dal Molè a Marina Zanchi, da Livio Galassi a Luisella Mattei – ce ne sono, in tutto, altri due ma che non hanno che un paio di parole – nelle scene e nei costumi, all'insegna dell'economico di Iris Cantelli, hanno recitato con pulita diligenza di copione e, di conseguenza, lo spettacolo, avaro e scheletrico ma, nella sua povertà, anche fedele, minuzioso e nitido. Né si può dire, a suo merito, salvo qualche stralcio verbale, ha approfittato dell'erotismo, e men che meno dell'osceno a cui l'originale poteva tentare, speculando sul nudo e sugli amplessi. In questo senso, lo si può trovare addirittura casto, che è tutto dire. Per cui, tanto meno si capisce che sia vietato ai minori dei fatidici 18 anni.

Carlo Terron

Ultima modifica il Mercoledì, 17 Dicembre 2014 12:04
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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