sabato, 29 giugno, 2024
Sei qui: Home / Attualità / DAL MONDO / NOVOSIBIRSK / Primo_piano
Mercoledì, 28 Febbraio 2018
Pubblicato in Interviste

Leon Cino è nato a Tirana (Albania) dove ha frequentato l'Accademia Nazionale di Danza dal 1993 al 1996. Nonostante la sua giovane età, in quegli stessi anni, è stato ospite al Festival della Penisola Balcanica e in diverse trasmissioni televisive albanesi. Nel 1997 si è trasferito con la famiglia a Milano, dopo aver frequentato la scuola di danza del Teatro Carcano, viene ammesso alla Scuola di Ballo Accademia Teatro alla Scala ottenendo tre prestigiose borse di studio. Ha vinto il 3° premio del celebre Concorso Internazionale "Giovani Talenti" di Vignale nel Monferrato. Ha partecipato al celebre Concorso di Vignale Danza ottenendo il terzo posto. Nel 2001, subito dopo il diploma scaligero, Leon vince il premio Danza&Danza come miglior giovane promessa e si trasferisce negli Stati Uniti dove entra a far parte del "Tulsa Ballet" per poi arrivare, all'inizio della stagione successiva, al "Pacific Northwest Ballet". Il suo repertorio include: "Don Quixote" (Petipa), "Going for Baroque" (Val Caniparoli, che ha poi creato per lui "Misa Crolla"), "Ressamblement" (Nacho Duato), "Fingerprints" (Stanton Welsh), "Celts" (Lila York), "Carmen" (Amedeo Amodio). Rientrato in Italia nel 2003, ha partecipato e vinto la terza edizione del programma televisivo "Amici" condotto da Maria De Filippi. Nel 2004 ha ricevuto il "Premio Internazionale Gino Tani" per le arti dello spettacolo e successivamente è stato protagonista del musical "Footlose" , presente per due stagioni sui palcoscenici delle maggiori città italiane e vincitore del "Biglietto d'oro" e in seguito del musical "Io Ballo" diretto da Chicco Sfondrini e Patrick Rossi Gastaldi. Leon ha inoltre lavorato anche in ambito cinematografico. Nel 2007 è stato premiato per i 60 anni del QKKF in Albania. Tra i lavori più interessanti possiamo citare la partecipazione nel film "La città invisibile" (2010) di Giuseppe Tandoi dove ha interpretato la parte di Sorin e nel film "Nous et Lenine" (2007) di Saimir Kumbaro. Nel 2010/2011 si misura con la sua prima esperienza in qualità di produttore con la messa in scena al Teatro Greco di Roma dello spettacolo "Tra Uomo & Donna – Trittico", regia, produzione e direzione artistica di Leon Cino, coreografie di Tania Matos e Biagio Tambone. Attualmente è docente, giudice in concorsi di danza, tiene stage e masterclass in varie realtà coreutiche nazionali ed è direttore artistico di alcune scuole di danza.

Carissimo Leon, la tua formazione inizia all'Accademia Nazionale di Danza a Tirana. Raccontaci quali sono i ricordi più vivi ripensando a quel periodo?
Ero molto giovane e spensierato come tutti a quell'età. Mi ricordo delle amicizie, mi ricordo delle piccole avventure da ragazzi, ma di certo non scorderò il duro lavoro che abbiamo fatto tutti; dall'imparare ad eseguire la spaccata in modo idoneo alla corretta esecuzione degli esercizi elementari alla sbarra. Ero predisposto ad un'elasticità naturale del corpo, quindi la strada del ballo iniziò "passo dopo passo" insieme all'amore per questa bellissima e nobile arte.

Hai preso parte anche al Festival della Penisola Balcanica, per chi non lo conoscesse che tipo di manifestazione è?
Era un festival della danza e del canto per bambini, dove i partecipanti erano scelti tra i migliori dei paesi facenti parte della Penisola.

Dopo il trasferimento in Italia ti sei avvicinato alla scuola di danza del Carcano. Qual è stato l'impatto in qualità di allievo e del tuo primo saggio in Corso di Porta Romana?
La mia avventura, in termini di amicizie, iniziò al Lago di Garda. Qui le mie prime delusioni. Mi ricordo come fosse ieri: le mie caratteristiche fisiche (capelli biondissimi) tenevano tutti vicini... ma la mia nazionalità teneva quasi tutti lontani. Quindi iniziò una specie di diffidenza. Andai al Carcano di Milano con pregiudizio invece trovai amici e professori di grande valore. Ogni tanto riguardo le riprese fatte con la telecamera a nastro. Mi batte forte il cuore. È stato un successo. Almeno così lo voglio ricordare!

Mentre con la città di Milano?
Milano è la grande Milano! Una città meravigliosa; non scorderò mai le passeggiate mattutine con l'aria fresca, il Duomo, la Galleria, il Teatro alla Scala. Ma non scorderò neanche che sono stato aggredito, e grazie ai Carabinieri quella sera me la cavai solo con una maglietta strappata.

Ad un certo punto vieni ammesso alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala. Com'è avvenuto e su consiglio di chi hai sostenuto l'audizione?
È una storia interessante e divertente. La primissima audizione la feci proprio alla Scuola di ballo della Scala, consigliatami da una scuola di danza di Salò. Non fui ammesso perché troppo "esuberante", parola di cui per inciso non sapevo per nulla il significato, poi mi fu fatto un esempio: "Se ti chiediamo una pirouette non ne devi farne dieci..." e mi fu consigliato di andare al teatro Carcano. L'anno successivo ritentai e fui ammesso! La Scuola di ballo scaligera oltre al suo prestigio e all'aver trascorso al suo interno la mia adolescenza, mi ha preparato perfettamente al mondo lavorativo.

Un ricordo per la direttrice, la Signora Anna Maria Prina?
Lei è stata una direttrice alla quale va il merito di un grande lavoro con gli allievi, e il ricordo più bello che ho è il giorno in cui mi chiamò in ufficio e mi offrì un contratto di lavoro.

Sei rimasto in contatto con gli allievi del tuo corso in Scala?
Purtroppo abbiamo preso strade diverse, c'è da dire che il mio corso era seguito da poche persone e quindi si fa fatica a rimanere in contatto. Grazie ai Social con qualche amica sono riuscito a riprendere i contatti.

Dopo il diploma scaligero sei partito per gli Stati Uniti. Destinazione al "Tulsa Ballet" ed in seguito al "Pacific Northwest Ballet". Che periodo è stato?
Un periodo lavorativo molto intenso, oltre a farmi comprendere al meglio come funzionava il mondo del lavoro ha continuato a mantenermi in forma. Arrivavo da una forte disciplina nello studiare, mentre da quel momento in poi ci fu una disciplina nell'essere maturi e nel vedere le cose sotto un punto di vista maggiormente globale. Dallo stare in forma al continuare a crescere, per divenire più forti! Dall'Italia all'America dove le culture sono completamente differenti e come tali ti cambiano la visuale. Negli Stati Uniti non interessa la tua provenienza, l'anzianità o il nepotismo, da loro è fondamentale il "risultato" senza dimenticare che la professionalità viene giustamente ricompensata, in Italia purtroppo ciò non sempre accade!

Nel 2003 hai vinto il talent televiviso "Amici", a distanza di anni come rivedi quell'esperienza?
Era la mia prima volta in assoluto in televisione. In primis ho compreso come nascono e si sviluppano le cose al di là del piccolo schermo. Mi sono proposto ad un altro tipo di pubblico, il che è stato emozionante. Ricordo che la selezione dei talenti era molto difficile in quegli anni. Oggi grazie ai tanti talent show presenti in televisione possiamo tirare fuori con intelligenza nuove forze in qualsiasi campo, dal ballo al canto, all'intelletto e all'inventiva.

Com'è arrivato poi nella tua carriera il musical?
Il musical è arrivato proprio grazie al programma "Amici", dove chi vinceva doveva saper gestire oltre alla propria categoria anche le altre; quindi il risultato migliore si poteva vedere solo con un musical. Ricordo con piacere che "Footloose" fu un grande successo!

Anche il cinema è entrato nel tuo bagaglio d'artista, cosa ti è piaciuto maggiormente in questa esperienza?
Mi è sempre piaciuto fare l'attore. E parteciparvi è stato molto piacevole. Soprattutto conoscere gli attori professionisti e già famosi. Il palcoscenico di ogni lavoro è un universo a sé. Entrarci e farne parte è emozionante. Per quanto riguarda il lavoro, è un sacrificio piacevole da dover provare.

Oggi collabori con tante realtà coreutiche sparse sul territorio nazionale, come vedi questo mondo a molti sconosciuto?
Non tutti possono accedere alle Accademie, ma tutti desiderano ballare. Iniziare dalle piccole realtà è sicuramente il "primo passo" per capire se è la strada giusta da percorrere. L'aspetto entusiasmante del vivere è esaudire i propri sogni senza dimenticare che per fare carriera ci vuole soprattutto un allenamento costante.

Quanto è importante lo studio della danza di carattere?
È molto importante, perché quasi tutto il repertorio del balletto classico possiede la danza di carattere.

Mi parli della danza popolare Albanese, delle sue caratteristiche e particolarità stilistiche e di movimento?
Più o meno è come le danze popolari culturali in Italia, dove tutte le regioni hanno le proprie caratteristiche; quindi risulta un po' difficile definire le particolarità perché ci sarebbe molto da dire, dai generi ai costumi. Una cosa interessante è che quasi tutti i balli in Albania vengono eseguiti, per la maggior parte, dagli uomini.

Tra i tuoi maestri hai avuto grandi nomi come Bella Ratchinskaja, Iride Sauri, Paolo Podini, Leonid Nikonov, Amelia Colombini, Emanuela Tagliavia, Loreta Alexandrescu, Eliane Arditi. Per tua esperienza quanto è fondamentale avere la "giusta figura" nell'insegnamento della danza danza, soprattutto quella classico-accademica?
È molto importante, tanto quanto i professori delle scuole obbligatorie. Con la differenza che alla scuola di ballo oltre alla corretta postura fisica devi anche insegnare il giusto modo di vedere le cose. L'insegnante è Michelangelo, lo studente il Davide!

Qual è stata la primissima volta che hai calcato il palcoscenico davanti ad un pubblico con la Scuola di ballo della Scala e con quale pezzo?
Con il pezzo "Streghe" su coreografia di Biagio Tambone.

Hai danzato anche sul palcoscenico della Scala nella "Manon", coreografia di Umberto Bergna e nel "Lago dei cigni" di Rudolf Nureyev. Che emozione si prova ad entrare in scena in uno dei teatri più famosi al mondo e tanto più con una creazione del grande ballerino russo?
Indescrivibili sono le emozioni! Quando si è in una Scuola di ballo si sogna sempre di calcare i palchi più importanti a livello internazionale, soprattutto se in scena ci sarà un'opera di grandi ed immortali artisti.

Come si svolgono oggi le tue giornate e quanto tempo dedichi ancora allo studio della danza?
Oggi più che altro sono dall'altra parte e cioè sono un insegnante, e direttore artistico di alcune belle realtà. Purtroppo il tempo dedicato allo studio della danza da ballerino è ridotto, ma non smetto comunque di allenarmi tra una pausa e l'altra. Perché, citando il titolo del film con Totò, "Chi si ferma è perduto"!

Nel mondo dell'arte ma soprattutto in quello della danza non si finisce mai di imparare, giusto?
Verissimo. Ma soprattutto ci si perfeziona. Noi siamo esseri dal libero arbitrio e facciamo cose e movimenti casuali, una certa melodia la possiamo interpretare come ci pare e se si confrontano dieci persone avremo dieci movimenti differenti, cento persone altri cento differenti e così via... da qui si capisce quanto c'è da imparare!

Per concludere Leon, cosa ti ha regalato di più bello e costruttivo, l'aver scelto da piccolo l'arte tersicorea come compagna di viaggio?
Prima di tutto ringrazio mia madre che mi ha aiutato e supportato, poi tutti gli insegnanti che si sono impegnati a rendermi un bravo ballerino. Non potrò mai sapere cosa avrei fatto o provato facendo altro. Fino ad ora le avventure che ho vissuto mi hanno donato gioie e dolori. Ma posso azzardare ad affermare che l'arte della danza è la più sublime in assoluto. Possiamo dipingere, scolpire e fare tutto con il movimento del corpo!

Michele Oliveri

Lunedì, 26 Febbraio 2018
Pubblicato in Interviste

In forte ripresa dopo l'infortunio avvenuto in scena il 29 giugno durante un gala di fine stagione a Vienna, che lo ha tenuto fermo per alcuni mesi, Davide Dato è più che mai carico di energia, di voglia di tornare a ballare e pieno di progetti. Solare, positivo, umile, con una grande carica umana e comunicativa che lo rende una persona affabile, il ventiseienne danzatore biellese, classe 1990, è uno dei nomi che da qualche anno si è imposto sulla scena internazionale. Personalità carismatica, dotato di grande tecnica, versatilità e presenza scenica, talento innato dalla musicalità insita, da maggio 2016 è primo ballerino al Wiener Staatsballett, carica conferitagli dopo una rappresentazione del Don Chisciotte, versione coreografica di Rudolf Nureyev. Nella scuola della prestigiosa istituzione austriaca ha iniziato la sua vera formazione - dopo una breve esperienza alla School American Ballet di New York -, e dal 2008 è entrato stabilmente nella Compagnia.

Si comincia sempre rievocando gli inizi, di come nasce la passione per la danza. Parliamo dei dettagli.
Ballavo fin da piccolo insieme a mia sorella Greta. Di recente ho rivisto delle video cassette di allora, e mi sono stupito nel vedere ciò che facevo. Mi improvvisavo anche mago nel teatrino della parrocchia e mi filmavo immaginandomi in una trasmissione televisiva. Era la musica a farmi muovere, appena la sentivo cominciavo a ballare. I miei genitori, visto che non stavo mai fermo, mi iscrissero, a 7 anni, ad un corso di teatro per bambini dove sono stato per un anno. Poi ho iniziato con i balli caraibici e l'hip hop, sempre con mia sorella. Facevamo le gare e viaggiavamo molto, in paese eravamo famosi. Ad un certo punto mi sono stancato, non mi piaceva più e mi chiedevo quale sarebbe stato il mio futuro. Nel frattempo, con mia sorella e un altro ragazzino avevamo creato un gruppo musicale: in estate giravamo esibendoci sui palcoscenici delle spiagge. Fui notato dalla presentatrice che sollecitò i miei genitori ad iscrivermi ad una scuola seria, consigliando il M.A.S. di Milano. I miei, pur non avendo nessuna dimestichezza con lo spettacolo, acconsentirono. Fu un grande passo, la scuola offriva una formazione a 360 gradi: recitazione, canto, diversi stili di danza, e collaborazioni anche con la televisione ed il mondo della pubblicità. Tutto ciò mi eccitava. È così che ho iniziato, approfondendo di più, in seguito, il balletto classico studiando quotidianamente con il Maestro Ludmill Cakalli tentando, poi, le audizioni.

Prima di decidere per l'Opera di Vienna c'è stata un'audizione alla scuola del Rudra di Losanna con Maurice Béjart...
Sì, con lo stesso Béjart che mi disse subito che mi avrebbe preso. Ma al Rudra, che durava due anni, si studiava soltanto il suo repertorio ed inoltre eravamo tutti di età molto diverse, dai 15 ai 21 anni. Tutto ciò mi lasciava perplesso e io, invece, volevo costruirmi una forte base classica. Scelsi di provare a Vienna inviando un video per un'audizione. Per un disguido la videocassetta non fu visionata perché era finita nel dipartimento sbagliato. Dopo un mese la direttrice di allora mi convocò ugualmente insieme ad altri ragazzi. Superai la prova e così fui ammesso al sesto corso della Scuola con una borsa di studio. Dovevo anche completare gli ultimi tre anni di studi al liceo e non è stato facile anche per via della lingua tedesca che ho dovuto imparare. Sono stati anni massacranti, di grandi sacrifici. Avevo 15 anni.

E in quel periodo, per via dei momenti difficili, non ti era venuta voglia di mollare?
Mai. In certi momenti difficoltosi avevo voglia di mollare il liceo, ma mai la danza. Non sentivo neanche la mancanza della mia famiglia, che invece, adesso, sento molto. Ai miei genitori sono molto grato per avermi sempre appoggiato e sostenuto, ed è stata una grande soddisfazione aver dimostrato loro che tutto quello che hanno fatto per me, non solo a livello economico, è stato ripagato.

Dopo 2 anni di scuola sei diventato apprendista, poi confermato con un contratto nel Corpo di Ballo, successivamente, dopo un anno e mezzo, nominato demisolista, quindi, solista e infine principal. In tutto sono trascorsi 12 anni. Si può dire che hai bruciato le tappe per arrivare ad essere étoile...
Potrebbe sembrare ma non mi sento di avere bruciato le tappe. C'è ancora tanta strada da fare, ed io voglio migliorarmi molto artisticamente e tecnicamente. Mi mancano alcuni ruoli del grande repertorio. Con la direzione di Manuel Legris ho ballato tanti pezzi diversi, classici e contemporanei, perché il repertorio all'Opera di Vienna è vario e le produzioni sono molte, anche 13 in una sola stagione.

Quali sono stati fino ad oggi gli incontri più importanti, quelli che ti hanno segnato, formato?
Tutte le persone che hanno segnato il mio percorso hanno influito nella mia vita consentendomi di fare ogni volta un passo in avanti e crescere. Provo una particolare gratitudine per Legris, il mio attuale direttore, anche se all'inizio non è stato semplice con lui. Quando arrivò alla direzione del Corpo di Ballo promosse subito 12 danzatori a demisolista, escludendomi. Con lui è stata reintrodotta la posizione di primo ballerino, che era stata cancellata da un precedente direttore. Il solista coincideva allora con il primo ballerino. Non avendomi promosso ci rimasi male. Forse aveva un'idea sbagliata di me per il fatto che l'anno prima mi avevano proposto di partecipare come concorrente alla trasmissione Amici, il programma di Maria De Filippi ed io avevo un po' esitato prima di dire di no. Per questo motivo pensavo quindi di non piacergli, anche se a inizio stagione mi affidava comunque dei ruoli importanti. Morale della favola è che mi ha fatto sudare molto, e quando ha compreso il mio modo di lavorare mi ha premiato fino a diventare solista e primo ballerino.

Quindi l'idea di partecipare ad Amici ti aveva attratto?
Da piccolo la guardavo pensando che un giorno mi sarebbe piaciuto parteciparvi. Poi a 19 anni avevo già un altro pensiero. La mia indecisione derivava dall'idea di non volermi restringere ma aprirmi a nuove esperienze artistiche. Sono così in tutto: mi stanco abbastanza velocemente di una cosa, e sono attratto da altre diverse. Mi piace sperimentare e scoprire cose nuove.

Tra le varie esperienze con le quali ti sei misurato c'è anche la pubblicità e la moda, testimonial per importanti brand, fra cui una nota marca di caffè e di automobile, oltre ad una partecipazione in un corto cinematografico, Insane Love, con Clara Alonso, la Angie della serie Violetta.
Sono proposte arrivate sempre con molta naturalezza, senza mai cercarle. Alcune di più e altre di meno si sono, comunque, rivelate esperienze positive. Mi piacerebbe farne di più. Certamente occorre dosarle, fare delle scelte oculate. Se c'è qualità, perché no? Credo comunque che le "intrusioni" di un danzatore in altri campi, oggi, con la globalizzazione generale, sono accettate. Lo vedo anche nei social, fino a qualche anno si storceva il naso quando i ballerini postavano le foto di se stessi, autopubblicizzandosi. Oggi è normalissimo, ed io sono diventato uno di loro. Tra le esperienze che reputo importanti, e che mi piace fare, c'è anche il famoso Concerto di Capodanno, che è una delle entità più caratteristiche dell'Opera viennese. Si lavora con le telecamere e non con un pubblico vero e proprio. Spesso durante la stagione facciamo tanti spettacoli molto più pesanti ma che rimangono comunque circoscritti dentro il teatro. Invece il mezzo televisivo ha un potere enorme perché così raggiunge milioni di persone. Il balletto di solito si registra ad agosto, e le immagini vengono trasmesse durante la diretta del Concerto. È un modo intelligente per raggiungere il grande pubblico.

Il successo, la visibilità, alimenta una forte esposizione di sé. Come vivi la notorietà? Che importanza dai a questo aspetto?
La notorietà, ovviamente, è una conseguenza del mestiere e appartiene inevitabilmente a tutti gli artisti. Certamente fa piacere, in alcuni casi, essere al centro dell'attenzione. È comunque una responsabilità, che porta innanzitutto a dover rispettare la propria immagine, riflettendo su ciò che è il proprio lavoro.

Tra i grandi nomi della coreografia, uno di questi è John Neumeier con il quale hai avuto modo di lavorare.
Un mito per tutti noi, che conoscevo già ai tempi della scuola di ballo. Ho danzato in parecchi suoi lavori, ma non con la sua compagnia. Per l'Opera di Vienna ha creato appositamente La leggenda di Giuseppe, e io ho danzato in Nijinskj, Vaslav, Bach Suite III. Sono stato scelto nella parte di Giuseppe e, felicissimo, ho potuto provare il ruolo con lui. L'approccio con il suo lavoro è diverso da quello che compie normalmente un ballerino classico. Non è stato facile e oggi lo affronterei sicuramente in modo diverso. Quel ruolo, comunque, lo sentivo dentro di me, e mi è piaciuto interpretarlo soprattutto nella seconda stagione in cui lo abbiamo ripreso. Ero più sicuro. Tecnicamente è molto pesante e difficile, anche perché per 50 minuti non esci mai di scena. Alcuni personaggi dei suoi balletti sono difficili da interpretare perché, credo, legati ai danzatori per cui li ha creati. Con Neumeier c'è molto lavoro mentale, che ti costringe a pensare e questo arricchisce moltissimo. Nelle sue opere ogni movimento ha un significato forte e attraverso esso riesce ad esprimere concetti e pensieri ben precisi. È una persona alla quale ci si deve affidare, devi credere in lui e seguirlo altrimenti qualcosa non funziona.

Fra i balletti interpretati fino ad oggi ce n'è uno al quale sei particolarmente legato?
Sicuramente il Don Chisciotte di Nureyev, il ruolo più difficile che io abbia ballato; e anche Raymonda, sempre di Nureyev, nel personaggio di Abderachmann, ruolo che mi ha portato fortuna in quanto, per questa interpretazione, sono stato nominato per il prestigioso "Prix Benois de la Danse" a Mosca, lo scorso maggio. Le coreografie di Nureyev sono impegnative ed è sempre una sfida interpretarle però è una grande soddisfazione, un piacere e un orgoglio riuscire ad eseguirle: ci si sente così forti che senti di poter ballare qualsiasi cosa. Un altro coreografo che apprezzo molto è John Cranko, ruoli come Mercuzio nel suo Romeo e Giulietta, o Lensky nell'Onegin, mi hanno regalato molte emozioni.

Quali sono le creazioni contemporanee nelle quali hai danzato?
Mi piace molto Vertiginous Thrill of Exactitude di William Forsythe con il quale ho avuto anche la possibilità di lavorare a Francoforte, sempre grazie a Legris. L'opportunità che mi è stata concessa la considero una vera fortuna dal momento che, spesso, le sue creazioni sono rimontate dai suoi collaboratori. Forsythe trasmette tanta energia e fa sentire bene con se stessi. A volte succede che dopo aver trascorso ore e ore in sala a provare dei passi che immagini in un certo modo, bastano poi tre minuti con la persona giusta che dona un'energia diversa, e tutto cambia all'improvviso. Con Forsythe è stato così, ricordo che focalizzava molto il fatto di dover dimostrare al pubblico quello che tu sapevi fare e non quello che non sapevi fare. Questo insegnamento spesso non è così chiaro per un ballerino, poiché siamo abituati sin dalla scuola a sentir dire diversamente.

Cos'è importante per essere un bravo ballerino?
È sempre la combinazione di diversi aspetti, ma indubbiamente il talento e il duro lavoro, la disciplina, la dedizione completa e anche un po' di fortuna.

Si può dire che si balla prima con il cuore e la mente che con il corpo? Il corpo viene dopo?
Ho la sensazione, in generale, che si stia perdendo l'essenza della danza, poiché si tende a valutare un ballerino anzitutto tecnicamente. Nel balletto classico è facile cadere in questo, può capitare che uno giri e salti magnificamente ma poi si trova a ballare con una musica e non sa muoversi. Se guardi i filmati dei grandi ballerini di un tempo si può osservare che forse erano meno puliti tecnicamente però ballavano in maniera molto più musicale. Ovviamente oggi ci sono ballerini stupendi, anche se mi sembra che alcuni hanno perso un po' questo senso e si concentrano molto sull'estetica o sulla tecnica, che certamente è importante. Quando invece c'è l'anima in colui che danza, egli cattura subito il pubblico perché arriva l'emozione. È quello a cui io aspiro, che mi piacerebbe essere, e che mi piace anche vedere negli altri. Nelle scuole di danza classica, soprattutto nelle maggiori, si guarda molto, direi quasi in maniera estrema, alle doti fisiche, quasi da ginnasta, perché la danza oggi è molto cambiata, si è evoluta con corpi sempre più dotati. Quello del ballerino è un mestiere difficile, perché costa così tanti sacrifici che se non lo si ama fortemente non lo si può fare.

Quale è la maggiore soddisfazione del tuo lavoro?
Sicuramente quando raggiungo un traguardo. È bello quando sai di aver dato tutto il possibile per raggiungere qualcosa anche se, spesso, non è esattamente come te lo immagini o come pensi sia la strada per raggiungerlo. Mi sento con la coscienza sporca se inizio uno spettacolo consapevole del fatto che avrei potuto prepararmi meglio e dare di più, o di essermi limitato nella preparazione. Cerco sempre di dare il massimo in quello che faccio.

In cosa ti aiuta la danza come persona?
Mi ha dato il senso della disciplina, e mi ha fatto capire che per raggiungere un obiettivo bisogna lavorare molto. Andare via da casa, lontano dai genitori, mi ha costretto a crescere molto velocemente. Questo ha significato diventare responsabile già da piccolo, rendendomi forte. La danza mi aiuta a mantenere uno stile di vita sano, è quasi un obbligo. Certamente non tutto va a gonfie vele o è bello. Ci sono tanti momenti difficili e vanno messi in conto anche gli infortuni che, se accadono, per un ballerino diventano situazioni pesanti poiché il corpo è il suo strumento.

I futuri appuntamenti per il 2018?
Il balletto Carmen di Amedeo Amodio, a marzo al Teatro Olimpico di Roma; a maggio in Giappone con l'Opera di Vienna con Il Corsaro; a giugno, a Vienna, con Giselle; e il 21 e 22 luglio al Teatro La Fenice di Venezia per il Gala internazionale di danza ideato da Daniele Cipriani.

Lunedì, 26 Febbraio 2018
Pubblicato in Interviste

Sono i 40 anni della compagnia Aterballetto e a quarant'anni la maturità e la voglia di cambiamento nel segno di un'identità acquisita e consolidata stanno nell'ordine della cose. «Nata nel 1977 come Compagnia di Balletto dei Teatri dell'Emilia Romagna diretta da Vittorio Biagi, dal 1979 ha assunto la denominazione Aterballetto sotto la guida di Amedeo Amodio. Formata da danzatori solisti in grado di affrontare tutti gli stili, Aterballetto gode di ampi riconoscimenti anche in campo internazionale. Dopo Amedeo Amodio, che l'ha diretta per quasi 18 anni, e Mauro Bigonzetti direttore artistico dal 1997 al 2007 e Coreografo principale della Compagnia fino al 2012, dal 2008 la Direzione artistica è affidata a Cristina Bozzolini, già prima ballerina stabile del Maggio Musicale fiorentino». Un sintetico excursus storico che dà conto di una realtà longeva, per certi versi all'avanguardia nel panorama della storia recente della danza che vive nel più ampio contesto della Fondazione Nazionale della Danza, fondazione nata nel 2003 e naturale prosecuzione del Centro della Danza, già Centro Regionale della Danza. La Fondazione Nazionale della Danza con soci fondatori la Regione Emilia-Romagna ed il Comune di Reggio Emilia svolge la sua attività principale di produzione con il marchio Aterballetto, ma in essa confluiscono alcune fra le più significative esperienze maturate nel campo della danza non solo nell'ambito della regione, bensì dell'intero Paese, che ne fanno un'esperienza unica sul territorio nazionale: Corsi di Alta Formazione Professionale per Giovani Danzatori ed Insegnanti, l'organizzazione di manifestazioni e rassegne di danza, di iniziative di promozione e diffusione della danza volte ad approfondire e stimolare l'interesse e la conoscenza del pubblico verso questo linguaggio. Ed è in questo contesto storico e del presente che pare doveroso contestualizzare la nomina a direttore della Fondazione Nazionale della Danza di Gigi Cristoforetti, ideatore e direttore artistico di TorinoDanza che succede a Giovanni Ottolini e di Pompea Santoro quale direttore artistico che assume il ruolo di Cristina Bozzolini. Il neodirettore Gigi Cristoforetti pone l'accento sul cambiamento dei vertici di Aterballetto e sui futuri progetti della fondazione.

«I cambi di direzione sia per quanto riguarda TorinoDanza che per il mio ruolo nella Fondazione Nazionale della Danza sono stati caratterizzati da uno stile che, mi verrebbe voglia di dire, si riscontra poco nei passaggi di consegne in Italia. Credo che questo sia un bel segno di maturità e di responsabilità che non deve essere dato per scontato e che mi piace sottolineare. Fabrizio Montanari e Azio Sezzi, i presidenti entranti e uscenti, così come Giovanni Ottolini sono stati molto accoglienti, abbiamo lavorato bene insieme per un passaggio non traumatico, ma rispettoso dell'istituzione che presiedo e della sua storia, oltre che della sua identità».

Insomma nessun cambiamento traumatico, nessuna rivoluzione all'orizzonte?
«Rivoluzione no, ma molte novità, spero proprio di sì. Per quanto riguarda la compagnia credo che siamo al cospetto di un ensemble maturo, che ha saputo negli anni rinnovare il suo repertorio e che è un'eccellente compagnia».

Se si pensa a lei si pensa anche a una danza contemporanea un po' di rottura...
«L'Aterballetto è una compagnia che danza e questo è da ribadire. In questa direzione della danza si pone il lavoro realizzato con Hofesh Shechter e Cristiana Morganti, in scena all'interno del Festival Torino Danza e a Gorizia in occasione di NID New Italian Dance Platform. E se lo specifico di Aterballetto è la danza non mancheranno occasioni per coniugare danza e teatro. In particolare penso ad una coproduzione rivolta proprio al mondo italiano del teatro».

Ha in cantiere già qualcosa che va in questa direzione?
«In programma abbiamo la realizzazione di una coproduzione che porterà alla messinscena della Tempesta di Shakespeare col coreografo Giuseppe Spota. L'idea è quella – quando possibile – di esplorare il rapporto fra danza e teatro, tendendo conto che oggi stabili e tric hanno la possibilità di aprire sezioni dedicate alla danza, in una prospettiva di diversificazione dei pubblici, nella consapevolezza che sempre più spesso la scena contemporanea vede la coesistenza di danza e teatro. Nel segno di una memoria della contemporaneità si pone la coproduzione col teatro Bellini di Tango Glaciale di Mario Martone, spettacolo del 1982 che il regista napoletano realizzò con la sua compagnia Falso movimento mostrando le strette connessioni possibili fra teatro e danza. A distanza di tanto tempo riproporre Tango glaciale è un modo per documentare ciò che è stato non per nostalgia ma per meglio comprendere quello che accade oggi o come siamo arrivati a fare quello che oggi si fa in scena».

Tutto questo con che obiettivo?
«Teatro e danza hanno una loro complementarietà, i rapporti fra i due linguaggi sono spesso materia degli allestimenti contemporanei, di questo bisogna tener conto e bisognerà farlo sempre di più. Ciò ha una sua influenza non solo sulle programmazioni, ma anche sul pubblico. Tenendo conto di questo scenario il mio obiettivo è mettere in atto ogni possibile strategia per favorire una promozione della cultura della danza sul territorio e in Italia».

In che modo?
«Reggio Emilia è sede della Fondazione Nazionale della Danza che credo possa avere tutte le potenzialità necessarie per avviare una promozione della cultura della danza che non si limiti alla produzione di spettacoli, ma possa offrirsi come punto di riferimento per chi vuole programmare, diffondere, far conoscere il linguaggio della danza».

Concretamente questo come si può realizzare?
«Con la capacità di creare reti e azioni comuni. L'aspetto produttivo è importante, ma non è l'unico, soprattutto per un soggetto pubblico come è la Fondazione Nazionale della Danza in cui forte è la partecipazione del Comune di Reggio Emilia e della Regione Emilia Romagna. Per questo motivo ho avviato una serie di incontri con Platea dell'Agis, il network che riunisce tutti i teatri nazionali e i Tric con l'obiettivo di metterci al servizio di quelle realtà teatrali italiane che vorrebbero avere un cartellone di danza, ma non hanno competenze al loro interno, oppure vogliono appoggiarsi alle competenze maturate in fondazione. La Fondazione Nazionale della Danza potrebbe contribuire a diffondere la danza contemporanea nei teatri italiani con in più la possibilità di offrire pacchetti formativi e informativi che contribuiscano a costruire un tessuto di informazioni atte a rendere lo spettatore sempre più consapevole. A questo sguardo di promozione e diffusione della cultura della danza in Italia si deve, poi, inevitabilmente affiancare uno sguardo all'estero».

E come?
«Da un lato è sempre più necessario costruire relazioni internazionali, avere partner europei che permettano di costruire occasioni di incontro e confronto, che siano da stimolo a chi fa danza in Italia ma che rappresentino anche un'occasione per allargare lo sguardo dello spettatore. Si tratta di coltivare un respiro sempre più internazionale attraverso momenti di programmazione (la Nid- piattaforma della danza italiana, sarà a Reggio nel 2019) e di promuovere e far conoscere quanto la danza italiana può offrire anche oltreconfine. Non solo Aterballetto, naturalmente».

In tutto ciò la Fondazione Nazionale della Danza avrà un ruolo centrale?
«Lo dice il suo stesso nome. Mi piacerebbe che Reggio Emilia e Fondazione Nazionale della Danza sempre più fossero il punto di riferimento nazionale per la danza contemporanea, sia per conoscere le tendenze europee e internazionali, sia permettendo a chi viene da fuori di avere contatti concreti con il panorama e gli artisti della danza italiana. Devo dire che questa vocazione internazionale e la capacità di lavorare in modo flessibile e interattivo è già connaturato in Aterballetto piuttosto che in fondazione. Si tratta di un buon segno, di una predisposizione importante che permette veramente di lavorare in una direzione volta a potenziare la capacità non solo produttiva ma anche culturale della danza nell'ambito dello spettacolo dal vivo. Insomma le premesse ci sono, ora bisogna lavorare perché tutto ciò si realizzi pian piano, ma con l'idea che fare danza oggi vuol dire fare nuove creazioni, ma anche lavorare nella direzione di una consapevolezza culturale.».

Pagina 207 di 210

Iscriviti a Sipario Theatre Club

Il primo e unico Theatre Club italiano che ti dà diritto a ricevere importanti sconti, riservati in esclusiva ai suoi iscritti. L'iscrizione a Sipario Theatre Club è gratuita!

About Us

Abbiamo sempre scritto di teatro: sulla carta, dal 1946, sul web, dal 1997, con l'unico scopo di fare e dare cultura. Leggi la nostra storia

Get in touch

  • SIPARIO via Garigliano 8, 20159 Milano MI, Italy
  • +39 02 31055088

Questo sito utilizza cookie propri e si riserva di utilizzare anche cookie di terze parti per garantire la funzionalità del sito e per tenere conto delle scelte di navigazione. Per maggiori dettagli e sapere come negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie è possibile consultare la cookie policy. Accedendo a un qualunque elemento sottostante questo banner si acconsente all'uso dei cookie.

Per saperne di più clicca qui.