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I Fatti

Martedì, 08 Ottobre 2024
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Lunedì, 07 Ottobre 2024
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Lunedì, 30 Settembre 2024
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Tre Azioni della Necessità

La danza, quella con la “D” maiuscola che affonda le sue radici nella irriducibilità del tempo che ritorna, ha trovato una non ordinaria accoglienza all'interno della XXII edizione del “Festival le Voci dell'Anima” di Rimini, diretto con passione da Maurizio Argan e Alessandro Carli e quest'anno suggestivamente dedicato a “Gli Altri”. È infatti loro intenzionalità e finalità l'andare in cerca di ciò che non è ancora maturato alla ribalta e così, come scrivono nella presentazione, “Gli altri sono tutti coloro che vogliono far sentire la propria voce ma spesso non riescono, non possono, non hanno uno spazio per poterlo fare. Gli altri sono una necessità, gli altri siamo noi”. Un luogo, un cerchio che rimanendo chiuso e perfetto si apre all'infinito, uno spazio ultra-scenico in cui, giovedì 26 settembre sono andati in scena, dei 15 selezionati per il Festival tra le ottanta candidature ricevute,  i seguenti tre brevi spettacoli, appunto, di danza.

PINK LADY / Rosalie Wanka
Di e con: Rosalie Wanka Premio Theater Schwere Reiter 2021 - Monaco di Baviera. Al Teatro degli Atti di Rimini. Durata 12 minuti.

Una donna che non si sente 'coinvolta' dall'esserlo perché lo è, 'donna'. In fondo un enigma che tutte ci riguarda ma che riguarda anche 'tutti' laddove il genere può essere lo strumento di cui disponiamo per indagare l'eterno e l'irriducibile, l'essenza che ci appartiene, tra Nietzche e Artaud, libera e continuamente in transito ma solidamente ancorata all'intimità, condivisa oltre l'apparenza che ci riguarda individualmente, nella Storia e nella Società. La sua danza è dunque un viaggio verso l'essenziale che usa le sue specifiche singolarità, nello specifico il femminile che qui si mostra in tutta la sua 'bellezza', per attraversarle. Non essere coinvolta è dunque, usando un dimenticato slogan, “non fare la guerra ma fare l'amore”, nel senso di com-partecipare a quella irriducibile ma elastica intimità. Ci invita a guardare con lei, chiunque sia disposto a farlo veramente, con lei e attraverso di lei che sa trasformare quel corpo, ed i suoi gesti, in una tavola di geroglifici che dobbiamo solo decifrare. Una coreografia coinvolgente e appassionante, tecnicamente accurata, in cui ciò che è fisico riesce man mano a diventare 'spirituale' su una scena non più vuota. A lungo e intensamente applaudita.

SALE Q.B. / Templetheater
Con Martina Monaco da un’idea di Eva Raguzzoni costumi: Natalia Korolkova luci: Antonio Santangelo. Al Teatro degli Atti di Rimini. Durata 25 minuti.

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Foto Dino Morri

“Quanto Basta” non è solo o tanto una affermazione 'culinaria', ma diventa soprattutto un assioma tra il metafisico e l'esistenziale, in questo eterodosso spettacolo che trasfigura fin nella sua tecnica la danza come ci siamo abituati a guardarla. Un'altra donna ma in un luogo che potrebbe essere lo stesso, anzi che continua ad essere il medesimo. Parte infatti anch'esso da un altro dei più consueti tra gli stereotipi del femminile, mostrandola, questa donna, sola in cucina mentre 'effettivamente' prepara una ricetta, nello specifico un “tiramisù”. Ma proprio dalla reiterazione e dalla ripetibilità continua di quei gesti si determina ma mano uno 'stacco', una frattura della crosta sociale che può mostrare il suo magma ribollente ma gelido. Quei gesti ad un certo punto lo dicono, il magma, come parole senza suono che esprimono meglio di altri pensieri che la protagonista, e noi con lei, credeva dimenticati. Una coreografia che è una sorta di salto dimensionale che va oltre la semplice psicologia. Inconsueto, come detto, nel suo piegare la danza a drammaturgia. Assai apprezzato.

SPLENDORE / Spazio Continuum
di e con Kea Tonetti musica dal vivo di Tivitavi. Al Teatro degli Atti di Rimini. Durata 25 minuti.

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Foto Dino Morri

La vita è un incantesimo che nasconde la nostra vera realtà, la nostra essenza che però continua, come una luce sfumata, a splendere dietro lo shopenhaueriano “Velo di Maya” del Mondo e della Storia. Qui il 'Cigno' muore danzando, senza Prìncipi e senza neri avversari, ma per rinascere continuamente, sacrificio comune, sorta di capro espiatorio speculare per mostrarci o anche solo per indicarci una 'vera' realtà, magari fatta solo di sincerità. È, quello dispiegato in questa coreografia, un Butoh assai particolare, trafigurato e spesso incistato, come la stessa vita artistica della coreografa, di altre suggestioni, di altre movenze fisiche e musicali, di altre e più tradizionali corrispondenze che danno diverso dinamismo al transito scenico. Ciò conferisce allo spettacolo una forza inaspettata ed una felicità, in forma di speranza, forse anch'essa inaspettata e da attingere, basta solo allungare la nostra mano. La Tonetti è danzatrice intensa e coinvolgente anche in quella sua mimica, quasi naturalistica, che sa andare oltre la talora fredda simbologia rituale del Butoh, che con lei sembra trasformarsi da danza introflessa a danza estroflessa, in cui il dentro non è punto di arrivo ma di ripartenza. Bello e giustamente applaudito.

Tre spettacoli dunque diversi ma che mostrano, a mio avviso, un punto comune, la finalità cioè di andare attraverso il movimento oltre le apparenze, o le maschere o come altro vogliamo chiamarle, per avventurarsi nella ricerca di una autenticità di cui, per fortuna e nonostante tutti gli sforzi dell'odierno pensiero unico, continuiamo a sentire la mancanza.

Maria Dolores Pesce

Giovedì, 19 Settembre 2024
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Beppe Menegatti, predatore
d’Amore e libera Creatività 
di Mario Mattia Giorgetti

Beppe Menegatti merita un applauso per il suo percorso lungo 95 anni dedicato a sentimenti d’amore, di bellezza e di creatività, ora che ci hai lasciato per eterna dimora a cui nessuno può scappare.

“Ti voglio bene”, concludeva le sue telefonate con me e con tantissimi altri che ha conosciuto in privato e nella sua professione di “animatore di vita”, di creatore di eventi a largo raggio: dalla prosa, alla danza, a dar vita ai grandi personaggi del passato facendoli rivivere in palcoscenico, grazie alla presenza di Carla Fracci, compagna di vita e di arte, come Jean Cocteau, Vaslav Nijinsky, Marina Cvetaeva, Giacomo Puccini, Isadora Duncan, Marie Taglioni e così per altri.

In quel suo “Ti voglio bene, Beppe si aspettava dall’interlocutore un “Contraccambio”; e io, ironicamente, gli rispondevo, “Più di te”.

Beppe era ossessionato dalla bellezza, e ciò la trovavi nelle diverse abitazioni in cui ha abitato: pareti affollate da dipinti magnifici, punti luci con abat-jour in ogni angolo, oggetti artistici da fare invidia a chi li vedeva; e a cena tavole imbandite di candelabri accesi, attento che ogni singolo elemento fosse in armonia con l’altro. E se un cucchiaio era fuori posto, lui si alzava per metterlo nel giusto verso.

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E poi era un instancabile pescatore nella sua memoria, odiava sentire gli altri commensali parlare di luoghi comune di vita quotidiana.

E io, che conoscevo la sua sensibilità variegata in tante direzioni, lo provocavo con domande su personaggi che lui ha conosciuto bene: “Parlami della Callas, di Visconti, di Eduardo, di quel compositore e altri ?”. E lui iniziava il suo monologare, ricco di parentesi personali, di variazioni, di divagazioni varie, che io in silenzio ascoltavo, mentre a lato gli altri chiacchieravano del più e del meno. 

Amava operare anche con le proprie mani, nel mettere in scena uno spettacolo multidisciplinare dove mescolava prosa, danza, musica, colori, luci, e se qualcosa degli elementi scenografici non gli “sconfifferava” con pennello e colori

interveniva a suo piacimento, come ha fatto al Teatro Olimpico di Vicenza, dove lo avevo scritturato per mettere in scena “La Scuola di Ballo” di Carlo Goldoni, dove Menegatti aveva combinato un cast unico: Carla Fracci, come attrice, insieme all’étoile Gheorghe Iancu, si confrontavano con attori della portata di Claudia Lawrence e Mario Scaccia e altri di chiara fama. In quella occasione, nel cortile del teatro, lo sorpresi a correggere con tanto di pennello in mano le scene di Anna Anni, scenografa qualificata,  importantissima.

Il gusto della bellezza, dell’estetica raffinata, la vedevi anche sulla sua persona: dalle camicie, ai pullover, dalle giacche ai pantaloni, meno per le scarpe: sempre le stesse, dal copricapo confezionato a maglia dalle mani di Gillian Whittingham, che Beppe considerava di sua “legittima proprietà”: da Maitre di Ballet a fianco di Carla Fracci ad autista, ad assistente artistica , ad redattrice di adattamenti teatrali, responsabile di pubbliche relazioni; infatti, quando lo scritturai, non conferivo con lui, ma con lei; e come Dante ci racconta nella sua Divina Commedia l’amore galeotto, complice il libro, tra Paolo e Francesca così il dialogo lo fu tra me e Gillian.

Come dimenticare, le telefonate quotidiane, di affetto, tra una pausa prove e l’altra, al figlio Francesco?; come dimenticare la sua curiosità telefonica che mi faceva: “Come va?”

E amo ricordare Beppe anche come impresario: aveva costituito la Compagnia Italiana di Balletto per portare le sue creazioni in decentramento nei luoghi più disparati, sempre con la presenza di Carla Fracci: dal teatro tenda, alla piccola provincia. Beppe è stato un vero innovatore, scopritore di talenti. E ora non c’è più nessuno come lui.

Beppe ora che sei nel mondo dell’oblio, ritroverai la tua Carla: baciala, abbracciala perché voi due resterete vivi nella memoria mia e di moltissimi altri. 

Lunedì, 16 Settembre 2024
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La ventottesima edizione del festival “L’Arlecchino Errante”, un progetto della Scuola Sperimentale dell’Attore, si è tenuta a Pordenone dal 3 al 10 settembre. Ne abbiamo parlato con il direttore artistico Ferruccio Merisi

“L’ “Arlecchino Errante” ha come sottotitolo “festa internazionale dei teatri instabili”; cosa sono per te i “teatri instabili”?
E’ una locuzione da cui spero traspaia un po’ di ironia. Sono instabili perché non sono Stabili. Intesi questi ultimi come quei macchinoni tanto benemeriti quanto ormai costituzionalmente impossibilitati a produrre un teatro veramente vivo. Il paradosso è che tra i punti deboli degli Stabili c’è il fatto che oggi raramente esprimono compagnie stabili; mentre tra i punti forti degli instabili c’è senz’altro quello di fare riferimento spessissimo a nuclei artistici oltremodo stabili... 
Poi comunque “instabili”, nel nostro sottotitolo, contiene anche la trasformazione realistica del termine “inquieti”, che un sondaggio ci ha notificato come poco gradito al pubblico; e del termine “irrequieti”, più accettato ma che non suona bene con la parola Teatro. Tutti epiteti però che suonano bene invece vicino al nome di Arlecchino, l’eterno ragazzaccio Errante che abbiamo scelto come simbolo di una ricerca testarda e sempre affamata.

La “re-invenzione dell’Umano”, tema di questa edizione, a teatro passa anche per le nuove tecnologie? O quali sono, secondo te, in sintesi, le vie per questa re-invenzione?
Con “Reinventando l’Umano” non abbiamo voluto indicare un’urgenza né tantomeno rivendicare una prospettiva sociale o etica. Semplicemente abbiamo trovato questo comune denominatore negli spettacoli che ci hanno affascinato, al punto di invitarli per il pubblico e per la gente con cui vorremmo convivere sempre meglio. Tutti questi spettacoli sfondano, allargano o cambiano il concetto di umano a loro precedente. E occorre dire che questo benedetto “concetto di umano” non è un assioma articolato di cui qualche fede religiosa o qualche parte politica possa appropriarsi.  E’ semplicemente il punto di vista che osserva la realtà (o, secondo Einstein, la crea). Alcuni artisti sono all’opera per reinventare il punto di vista. Credo che queste azioni producano sorprese e nuove visioni, nuove solidarietà, nuovi  aspetti della realtà che viene osservata, o creata. Ogni strada è utile e affascinante. E quelle che abbiamo presentato noi non sono le uniche. 
Quanto alle nuove tecnologie, certamente il teatro può interagire con esse, purché sulla base di una necessità teatrale, con tutto ciò che questo significa, e non di un banale e generico aggiornamento.   

TEATRO LA RIBALTA 2 ph FRANCO MORET
Teatro La Ribalta. Foito Franco Moret.

Come reagiscono gli spettatori di oggi, abituati come sono alla connessione pressoché continua alla rete con i propri dispositivi, alla pacifica invasione del teatro nelle vie e nelle piazze della propria città? Cosa si coglie di peculiare nelle loro reazioni? 
Viviamo oggi quasi in uno strano rovesciamento. Percorriamo spesso le strade e le piazze nell’intervallo tra le azioni di connessione nel virtuale, o addirittura durante queste azioni. Così è lo spazio urbano a diventare pressoché virtuale, mentre i dispositivi di connessione offrono una realtà aumentata e moltiplicata.
Con il teatro abbiamo offerto, con riscontri di gioioso gradimento, dei momenti di riconquista del senso di realtà a favore dello spazio urbano: condividere esperienze dal vivo, sentire le azioni dell’abitare come solide e fisiche, riassaporare la forza di gravità e la visione delle prospettive profonde, riconquistare il tempo della materia, diverso per ogni evento ...
Se devo azzardare una peculiarità, direi che, dopo i primi momenti dedicati al rito turistico-fotografico di consegnare frettolosamente la meraviglia di cui erano testimoni ad una improbabile memoria - o alla roulette della condivisione virtuale immediata- , mi è proprio sembrato che tutti gli spettatori si siano presto dimenticati del cellulare...

Franco Acquaviva

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