sabato, 20 aprile, 2024
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Mi manca il calore sulle mani che applaudono… Riflessioni sul teatro in vitro ai tempi del Covid 19. -di Nicola Arrigoni

"Orlando Furioso", Lino Guanciale "Orlando Furioso", Lino Guanciale

Mi manca il calore sulle mani che applaudono…
Riflessioni sul teatro in vitro ai tempi del Covid 19
di Nicola Arrigoni

Mi manca lo sgranare gli occhi per divorare la bellezza di ciò che accade in scena. Mi manca il calore sulle mani per un applauso che è abbraccio. Mi è anche Ci, è una condizione dell’io e del noi, è la condizione della comunità teatrale a un mese e qualche giorno dalla chiusura dei teatri per l’emergenza Covid-19. Da spettatore mi manca il respiro dell’attore, all’attore credo manchi quello del pubblico. Semplicemente manca il teatro, spazio in cui si partecipa alla poesia che si fa corpo, relazione, contatto emotivo, sudore, respiro, gesto, lacrime, fatica, gioia e dolore. Questa è la condizione del teatro, questa è la condizione della vita. Questa è la condizione che il Covid-19 ci sottrae, che il Coronavirus ha cancellato.
Ma il teatro non si ferma, almeno ci tenta e lo fa attraverso i media, attraverso i social. Ne sono un esempio la lettura/maratona della Coscienza di Zeno di Italo Svevo, realizzata dagli attori di ERT, piuttosto che l’appuntamento di Lino Guanciale con la lettura del Barone rampante e – ancora sotto l’egida di Ert – dell’Orlando furioso. Federica Fracassi legge Conversazione con la morte di Giovanni Testori, piuttosto che la peste dai Promessi sposi di Alessandro Manzoni. Luca Ricci di Kilowatt Festival ha lanciato l’appuntamento con C’era due volte il barone Lamberto coinvolgendo nella lettura fra gli altri Oscar De Summa, Elena Bucci, Silvia Gribaudi, Sotterraneo, Giorgio Rossi, la visionaria Gilda Foni, Paolo Cantù, I Sacchi di Sabbia. Fra i primi a cercare di colmare questa mancanza Daniele Timpano ed Elvira Frosini della Compagnia Timpano/Frosini hanno dato vita a #INDIFFERITA, alla sua quarta settimana, con spettacoli della coppia d’attori e di altri artisti messi a disposizione sui social per tacitare l’astinenza da teatro.
Fondazione Teatro Due di Parma ha proposto sui suoi canali e in onda su Rai 5, il 21 marzo scorso, il docufilm, Principi e prigionieri di Amedeo Guarnieri e Lucrezia Le Moli Munk, la storia del Collettivo di Parma, un lavoro intenso di memoria e documentazione che in chi frequenta il Teatro Due ha l’effetto della condivisione di un percorso, ma anche l’immagine di una normalità perduta, lontanissima nel tempo, eppure è passato solo un mese dal 22 febbraio quando i primi teatri della Lombardia hanno cominciato a chiudere: il Ponchielli nella Cremona di Monteverdi e Stradivari fra i primi, ancor prima di ordinanze regionali e ministeriali. In un mese di chiusura dai teatri letture sceniche, il palinsesto di Rai5 dedicato al teatro e alla musica, canali Youtube trasformati in palcoscenici tentano di non far perdere la bella abitudine al teatro. Si tratta di una ricerca di normalità che accomuna tanti, quella normalità prima del 22 febbraio, una normalità che non sarà più tale. L’epidemia Covid-19 ci sta cambiando, ci cambierà e con noi cambierà anche il concetto di normalità, impegnati a inventarci una nuova normalità che ora corrisponde a godere delle reliquie di un teatro in vitro, a godere di quel rito sociale della scena che appartiene a epoche lontane (un solo mese è passato), in cui video e volti non sono altro che i resti di un’antica civiltà sepolta nelle case, nella separatezza dei singoli, nel silenzio delle città, silenzio rotto solo dai lamenti delle sirene delle autoambulanze che straziano l’aria.

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E se solo dopo la fine di questa emergenza Coronavirus sarà possibile contare i morti e i feriti del sistema teatrale, il palcoscenico sotto vetro da un lato mostra la forza della resistenza dell’arte della scena, ma dall’altro anche come la mancanza del suo statuto semantico lo renda lontano, inefficace, un simulacro della sua essenza. Il teatro si realizza ed è perché si compie in presenza, nel qui ed ora di un attore e uno spettatore che a contatto condividono il racconto possibile di un mondo, condividono la relazione, la loro vicinanza, si annusano, si studiano, si toccano con lo sguardo, percepiscono la temperatura dei loro corpi. Tutto questo non passa nel video, tutto questo non accade nella pur lodevole sfilza di letture sceniche, di spettacoli riproposti in video. Istintivamente la mano si avvicina allo schermo del computer o del tablet per toccare, vuole il contatto fisico, quel contatto fisico, quell’abbraccio, quel bacio, quel respiro che è negato non solo al teatro, ma soprattutto alla nostra quotidianità. È per questo che la mancanza del teatro riflette più che mai la condizione presente, la condanna che infligge Coronavirus. Un altro contesto – oltre al teatro – vive questa condizione con particolare esemplarità e intensità ed è la scuola. È forte il bisogno dei ragazzi di avere relazioni fra loro, con i loro docenti, non ci si può accontentare di simulacri di lezioni o compiti da svolgere a casa. Non è un caso che sia scuola sia teatro siano istituzioni che vivono di relazioni e di cultura, ma anche di trasmissione di parola da una bocca all’altra, da un corpo all’altro, da un’anima all’altra.
Ciò che il Convid-19 impone è la separazione, la distanza, il non contatto, l’azzeramento delle relazioni: vietato abbracciarsi, vietato baciarsi, vietato sentire il profumo dell’altro/altra, vietato ritrovarsi, vietato stare insieme, vietata l’ultima carezza al proprio caro che se ne va, vietato lo sguardo amorevole per chi soffre. Per questo il teatro oggi più che mai è rappresentazione della nostra vita quotidiana, è il distillato reale e vero – nella finzione del porsi e dell’agire – dell’autenticità dello spirito e dell’anima dell’humanitas. Chiudere i teatri è stato il primo atto necessario, consapevole, doloroso nei confronti di una tutela della salute dei singoli e dei molti, il primo atto di un dramma che si sta compiendo nelle nostre case, che ha come scenario le strade, le piazze su cui ci affacciamo dai nostri balconi come dai palchi di un teatro all’italiana per interrogarci sulla scena vuota di un’umanità sotto assedio. Ma di certo arriverà il momento in cui le piazze d’Italia e del mondo e le platee dei teatri torneranno a riempirsi e ci scopriremo di non essere più gli stessi…

Ultima modifica il Domenica, 12 Aprile 2020 10:38

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