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PEPPINO DE FILIPPO, ci ricorda che riso e pianto per noi pari sono. -di Pierluigi Pietricola

Peppino De Filippo Peppino De Filippo

“Fare piangere è meno difficile che far ridere. Per questo, teatralmente parlando, preferisco il genere farsesco. Io sono sicuro che il dramma della nostra vita di solito si nasconde nel convulso di una risata provocata da un'azione qualsiasi, che a noi è sembrata comica”. Parole, queste, che racchiudono la poetica di un grandissimo interprete delle nostre scene: Peppino De Filippo.
Espressione sorniona, sguardo furbo ma mai meschino e a tratti dolce, riso beffardo velato da una sottile cattiveria infantile: quando Peppino entrava in scena era tutta questa sua fisicità che s’imponeva, prepotentemente, sul pubblico. E, insieme con essa, la potenza contenuta di una situazione comica – ma non inverosimile – che di lì a pochi istanti sarebbe esplosa e che gli spettatori immaginavano già dalle prime scene della farsa rappresentata ad apertura di sipario.
Diversamente dal fratello Eduardo, Peppino predilesse un teatro più leggero ma mai banale. Basti pensare ad alcuni suoi atti unici giovanili – Don Raffaele ‘o trumbone o Miseria bella, ad esempio – per comprendere quanto della lezione pirandelliana sull’umorismo fosse in essi presente. Inteso, però, non solo come sentimento del contrario di una situazione data – ciò che, invece ricalcò Eduardo –, bensì come elemento convivente del tragico, sua faccia nascosta. Esempio fra i migliori da ricordare è rappresentato dalla battuta che il protagonista della farsa Un ragazzo di campagna rivolge alla donna di servizio, la quale sentendosi dire: “Sei brutta”, risponde prontamente: “Lo so!” e Peppino replica: “Lo sai e non provvedi”?
Una comicità non solo di battute, ma di situazioni. Questa la forza che rende le farse di Peppino attuali e godibili come le comiche di Stanlio e Ollio. Al contempo fu il loro limite. Perché nella scrittura drammaturgica Peppino fuggì, volutamente, la letterarietà, la ricerca dell’orpello. Egli sapeva che scrivere per il teatro significa mettere assieme pagine di servizio esclusivo alla scena, che mai debbono né possono sopravvivere solo per la lettura. In tal senso, egli non è mai passato – ingiustamente – come grande drammaturgo, a differenza di Eduardo.
In verità, Peppino De Filippo fu grande drammaturgo tanto quanto lo fu Eduardo. E diversamente da quest’ultimo, come attore gli fu superiore. Perché in Peppino tragico, comico, grottesco, surreale e farsesco convivevano con leggerezza e spontaneità. Doti che gli consentirono di affrontare Molière e Pinter con una forte impronta personale, eliminando da questi autori una stinta scolasticità ma senza snaturarli facendoli apparire diversi da ciò che, in verità, erano sono e saranno in quanto classici.
Il mondo nato dal genio creativo di Peppino ci ricorda che riso e pianto per noi pari sono. Ma che, forse, occorre saper vivere mostrando un sorriso umano, mai stupido né superficiale, perché è quanto ci è concesso per affrontare ogni momento, attraversandolo con la leggerezza simile al battito d’ali d’una elegante e delicata farfalla.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Lunedì, 30 Marzo 2020 10:56

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