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Principi e prigionieri… di quell’amore folle per il teatro. Commuove il docufilm dedicato alla storia del Teatro Due di Parma. -di Nicola Arrigoni

Ensemble Attori. Foto Luca Stoppini Ensemble Attori. Foto Luca Stoppini

Vedere il Teatro Due pieno di pubblico, vedere l’Arena Shakespeare, un teatro che dà sui tetti di Parma, imbarazza, sconcerta e racconta – grazie al documentario Principi e prigionieri di Amedeo Guarnieri e Lucrezia Le Moli Munck – di una normalità che sembra appartenere a un altro mondo e a un altro tempo e che forse è proprio di un altro mondo e di un altro tempo. È questo il primo effetto che fa il docufilm dedicato alla storia della Compagnia del Collettivo che ha fatto la storia del teatro di Parma, che per certi versi ha rispecchiato le utopie e i sogni di una generazione di artisti italiani che volevano cambiare il mondo e che forse si sono ritrovati ad essere in fondo Principi e prigionieri, come recita il titolo. Il lavoro dei due autori/registi sa mixare con intelligenza ed efficacia le testimonianze di chi allora e ancora oggi è anima del Teatro Due, oggi Fondazione Teatro Due di Parma, e di quanti ne proseguono la storia, i giovani attori della Casa degli Artisti, percorso formativo e professionale che incarna con fame di futuro lo sguardo prospettico che fu dei fondatori del Colletivo. 

E nel film i protagonisti di quella stagione ci sono tutti, invecchiati, ma con una voglia di raccontare e di dirsi da ventenni, animati dalle stesse utopie, immalinconiti dall’età. Ci sono Roberto Abbati, Paolo Bocelli, Cristina Cattellani, Laura Cleri, Gigi Dall’Aglio, Paola De Crescenzo, Davide Gagliardini, Giorgio Gennari, Walter Le Moli, Luca Nucera, Tania Rocchetta, Massimiliano Sbarsi, Marcello Vazzoler, Emanuele Vezzoli con le testimonianze video di Pina Bausch, Valerio Binasco, Fabio Biondi, Ninetto Davoli, Filippo Dini, Raffaele Esposito, Fulvio Pepe, Massimo Popolizio, Elisabetta Pozzi, Peter Stein.
Era il 1977 quando, a Parma, una compagnia di attori dà vita a un nuovo modello di teatro in Italia. Sono sei ragazzi e una ragazza, tutti giovanissimi ma con le idee chiare. Si conoscono dai tempi dei Festival di teatro universitario che, negli anni Sessanta, permettono di viaggiare per l’Europa, superando i confini innalzati dalla Guerra fredda. Da lì nasce la storia di quella che oggi è Fondazione Teatro Due, una complessa macchina teatrale il cui cuore pulsante è l’Ensemble stabile di attori. Naturale evoluzione della Compagnia del Collettivo, l’Ensemble coinvolge al suo interno artisti che provengono da ogni parte d’Italia. Ad attirarli è la facoltà di lavorare con continuità ai progetti, sfruttando la regolarità che solo una vita stanziale è in grado di offrire, un privilegio che gli consente di raggiungere la dignità desiderata, ma che porta con sé un grande senso di responsabilità e un’eccezionale mole di lavoro.
Principi e prigionieri – la citazione è presa da Amleto – dice di una condizione privilegiata: poter lavorare in progetti continuativi, avere la possibilità di fare della quotidianità la straordinarietà dell’andare in scena, ma alla fin fine si rischia anche di essere prigionieri. Questa riflessione compare sotterranea, la stabilità è un privilegio principesco, ma può diventare una prigione, sembra rischiare di annichilire la vocazione girovaga dal teatro. Eppure per molti, per il nucleo storico del Collettivo, la prigionia è diventata casa, con tutti i pregi e le difficoltà di una comunità familiare che condivide sogni, progetti, ma anche relazioni affettive fatte di innamoramenti e di laceranti separazione. Curioso di questi tempi: si arriva a pensare la casa come rifugio, ma anche come prigione. In Principi e prigionieri lettura emotiva e lettura narrativa/di testimonianza del documentario si fondono in un tutt’uno che documenta l’esperienza di una comunità di artisti che voleva cambiare il mondo, sospinta dall’aria rivoluzionaria degli anni Settanta, e che non ha perso le speranze, anzi lavora nella quotidianità per fare in modo che teatro, relazione, capacità di vivere sulla propria pelle e nel contatto con gli altri le grandi storie della letteratura, della musica, della poesia possano diventare lo strumento per sentirci più umani, per costruire un’humanitas autentica, rispettosa dell’alterità e che nelle differenze cresce e si evolve.
In questo senso appare illuminante quanto afferma Paola Donati cui si deve la trasformazione di Fondazione Teatro Due, una donna, un’intellettuale che naturalmente è protesa al futuro, proprio perché sa ben tenere presente il passato, la storia, la tradizione vissuta di una esperienza del teatro come quella del collettivo. «E’ capitato negli anni che amici danzatori, scrittori, attori, registi non italiani mi esortassero a scrivere una storia del Teatro Due, appassionati dall’unicità del percorso e dall’inguaribile ottimismo che guida ogni trasmissione di esperienza artistica inesorabilmente caratterizzata dal qui ed ora, animati forse da un giusto desiderio di ‘una quasi eternità’ che a me non è mai appartenuto – scrive Paola Donati -. A quasi cinquant’anni dalla nascita ci è stata data la possibilità di creare un documentario che raccontasse il nostro viaggio. Un primo scandaglio tra testimonianze, filmati, foto, mappe programmatiche, ricostruzioni, ritrosie, teoria, sentimenti, studio, conflitti, invenzioni, morti, lavoro, lavoro, lavoro, nascite, creazione, tante vite diverse e molta passione. Il Teatro Due: una casa dove la ‘protezione’ e la cura favoriscono la libertà di mettersi scomodi, di rischiare, di poter sbagliare e ricominciare, dove il risultato finale -sempre provvisorio – è migliore se contiene i semi per nuove colture da far nascere, senza stancarsi. Dove l’andare in scena costituisce solo una parte del cammino per portare se stessi e gli altri, altrove. E questo, vista la fragilità e l’irripetibilità dell’accadimento, non è mai certo, per sempre».
Questa tensione si respira in Principi e prigionieri di Amedeo Guarnieri e Lucrezia Le Moli Munck, documentario trasmesso da Rai 5 lo scorso 21 marzo, che ha avuto il pregio ed ha il pregio di farci sentire tutti un po’ principi e un po’ prigionieri. Noi spettatori siamo principi perché nella fruizione del teatro è per noi che l’attore recita e si dispera sul palcoscenico dell’arte e della vita, ma siamo anche un po’ prigionieri perché condividiamo la reclusione da teatro, ovvero la voglia di abbandonarci in quello spazio chiuso e senza tempo che sono le sale da spettacolo, in cui tempo e scenari sono affidati alla sensibilità e alla creatività degli artisti. Anche per questo Principi e prigionieri è un film che mette ottimismo e commuove pure.

Ultima modifica il Domenica, 12 Aprile 2020 10:21

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