Aldo Fabrizi ci lasciò, silenziosamente, il 2 aprile di trent’anni fa. Da anni il cinema e il mondo dello spettacolo non lo chiamavano più. Passata la stagione dei grandi interpreti – Totò, Nino Taranto, i De Filippo, Macario e Rascel – anche lui pagò quell’ingiusto silenzio cui furono tutti destinati. Ma il suo stile, la sua capacità interpretativa, la sua fortissima presenza scenica: tutto questo rimane e resterà a lungo.
La particolarità di Fabrizi era, soprattutto, quella di saper ascoltare il pubblico. Grande, preziosissima dote che un attore deve possedere. Non ricordo quale maestro sosteneva che occorre recitare ascoltando con un orecchio ciò che dice il compagno di scena e con l’altro i piccoli rumori che gli spettatori fanno in platea, indizio di come sta andando lo spettacolo. Fabrizi, questo, lo faceva con spontaneità. Nei suoi monologhi, come nelle scenette, non aveva un copione fisso. Egli sapeva che qualsiasi testo drammaturgico non era che una traccia, quasi un canovaccio che di sera in sera andava riadattato: intonando una battuta in modo diverso, aggiungendo una pausa, all’occorrenza ammiccando per sottolineare una particolarità del personaggio.
Tutto ciò ha contribuito a fare di Aldo Fabrizi un grande attore. Egli sapeva destreggiarsi con disinvoltura sia in ruoli comici che in ruoli drammatici. In entrambi i casi mai portando la sua interpretazione a livelli di eccesso. A dispetto della sua mole, la caratteristica recitativa di Fabrizi consisteva nell’equilibrio. Conseguenza del realismo che egli sempre cercava di ottenere, al punto da rendere i personaggi vicinissimi alla verità pur essendo essi verosimili. E ciò senza far correre all’interprete il rischio di divenire una maschera o un carattere – destino che capitò, alcune volte, ad Alberto Sordi.
Per Aldo Fabrizi il personaggio doveva racchiudere un insieme di tensioni, di intenzioni, di umori, di credenze popolari, di visioni vere o false: doveva essere questo concentrato di caratteristiche a salire sul palco. Il personaggio come espressione di un mondo, di un popolo, di una realtà e non solo del punto di vista dell’attore.
Dotato di un fortissima ironia che gli consentiva di cogliere l’aspetto buffo e drammatico della vita – particolarità che trasfuse nei suoi versi dedicati alla cucina –, Aldo Fabrizi trattava se stesso e chi gli stava accanto con distacco. Fu la conseguenza naturale di un certo disincanto per la vita e che, spesso, si traduceva con un modo di fare burbero e poco gentile nei confronti degli altri. Ma al di là di quest’apparenza, Fabrizi fu un uomo e un interprete di grande sensibilità e attenzione per le sfumature. Eloquenti i suoi silenzi, i suoi occhi sgranati, i suoi sospiri, la bocca aperta nell’atto di dover dire qualcosa per poi rimanere in silenzio. Pochi gesti accennati ma pieni di anima e che il pubblico percepiva e comprendeva.
Una lezione attoriale e di stile impareggiabile, quella di Fabrizi, che difficilmente si potrà eguagliare o ripetere.
Pierluigi Pietricola