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CINEMADDOSSO – I COSTUMI DELL'ARTE. Intervista di Antonio Ferraro a Elisabetta Bruscolini

Elisabetta Bruscolini Elisabetta Bruscolini

E’ in corso alla Mole Antonelliana di Torino una splendida mostra, nella quale in collaborazione con la Fondazione Annamode – nata dalla storica sartoria di cinema, fondata nel 1950 dalle sorelle Allegri - non solo sono mostrati gli splendidi costumi che hanno contribuito a fare grande il nostro cinema nel mondo in un allestimento avvincente ma, attraverso filmati, giochi e un avveniristico caleidoscopio, si fanno anche entrare i visitatori a diretto contatto con l’affascinante mondo delle nostre creazioni artigiane più note al mondo.
Non dimentichiamo come, per fare un esempio, i nostri artigiani di cinema siano – dopo gli americani – i più premiati con l’Oscar e, per i costumi, hanno avuto la statuetta Piero Gherardi (2 volte), Danilo Donati (2 volte), Nino Novarese, Milena Canonero (4 volte), Franca Squarciapino e Gabriella Pescucci.
Forse non tutto va nel verso giusto nel nostro cinema ma, indubbiamente, i nostri grandi tecnici ed artigiani continuano ad essere un’eccellenza che mantiene vivo nel mondo il segnale di un cinema che – almeno nei grandi capolavori del passato – è ancora amato e universalmente studiato con ammirazione.
Parliamo della mostra con la curatrice Elisabetta Bruscolini, una delle più importanti organizzatrici culturali del nostro Paese. Ricordiamo, brevemente, alcune delle sue esperienze: partita come autore ed editor in Rai, ha maturato la sua vocazione di manager culturale alla Kulturhuset di Stoccolma e al Lincoln Center di New York. Tornata in Italia, negli anni ’80 è stata l’anima di molte delle intuizioni dell’Estate Romana di Renato Nicolini, impostando, tra l’altro, le rassegne Venezia a Roma e Cannes a Roma (riprese dalle principali città italiane). Ha poi curato eventi internazionali (ad esempio La citta del Cinema per il centenario di Cinecittà e Fotografi sul set alla Biennale di Venezia.. Approdata al Centro Sperimentale di Cinematografia ha creato e sviluppato il settore produzione della scuola, lanciando vari giovani autori, quali Edoardo Amato, Claudio Giovannesi, Valerio Milei e Letizia Lamartire. La mostra Cinemaddosso è la sua più recente realizzazione.

Cinemaddosso – I costumi dell’arte

Non c’è dubbio che in questo momento una mostra di questa qualità e di questa ricchezza abbia un particolare valore: quello di sottolineare la grande qualità di alcuni dei nostri artigiani di cinema più apprezzati nel mondo. Con quali criteri hai selezionato gli abiti da mostrare tra le migliaia e migliaia tra i quali avrai dovuto scegliere?
In un visionario percorso espositivo concepito per stupire e divertire abbiamo scelto, di comune accordo con l’Art Director Teresa Pizzetti, di mettere in scena le “opere” più rappresentative di una grande sartoria italiana, fondata da due donne coraggiose, che da settant'anni a fianco dei costumisti contribuisce a creare la magia del cinema, trasformando gli attori in personaggi. Gli abiti sono esposti come opere d’arte: in cornice come grandi dipinti galleggianti nel vuoto, in teche o su piedistalli come sculture. Le luci - spot light come in uno studio cinematografico - spettacolarizzano i costumi facendo emergere dalla penombra ogni particolare, ogni accessorio.
Sono la preziosità dei tessuti, la magia creativa, la qualità realizzativa a caratterizzare i meravigliosi costumi di scena esposti e i loro dettagli. Il dover fare una scelta ci ha obbligato a preferire il meglio tra le realizzazioni della sartoria e gli abiti più spettacolari. Abiti per il Cinema, ma al tempo stesso piccoli capolavori, nati dall’ispirazione creativa di grandi costumisti e pezzi unici di grande sartoria. Gli abiti, che nei film hanno saputo valorizzare in modo straordinario la resa narrativa del personaggio, oggi ci raccontano una storia di operosità e maestria, d’inventiva e innovazione, di tecnica sartoriale, di studio e di ricerca.
In genere quando si espongono i costumi di scena, la scelta parte dall’importanza del costumista, del film per il quale sono stati realizzati o dalla notorietà del regista. Noi abbiamo invece deciso di scegliere un diverso punto di vista e giocare su alcuni temi rappresentativi, suddividendo il percorso in otto parti, ognuna delle quali ispirata liberamente a soggetti iconici della storia e delle leggende, attraversando secoli e mondi, dai quali il cinema di ieri e di oggi trae materiale creativo. L’andamento della passerella della Mole e le sue curve ci hanno dato il ritmo delle scansioni per argomento e a ogni giro della spirale magicamente cambiano gli scenari.
I temi sono il pretesto per mostrare il sapiente lavoro di generazioni di creativi, tecnici e lavoranti, soprattutto donne, che sono riuscite a mantenere e tramandare la grande perizia manuale, oltre che ideativa, che ha imposto sul mercato lo stilismo italiano.

Uno dei meriti de cinemaddosso è la capacità di far capire ai visitatori come i costumi non siano solo un accessorio che completa il film ma che – com’è successo a quelli che hai selezionato – entrano in pieno nella poetica dell’opera, definendo (talora al pari della regia e della recitazione) i personaggi. Tra i tanti che hai scelto, ce ne sono alcuni che, più di altri, ti hanno ridato le emozioni del grande schermo?
E’ vero, il costume cinematografico è parte integrante della poetica di un’opera filmica e il costumista ne crea l’immaginario assieme allo scenografo, al direttore della fotografia e naturalmente al regista. Nella creazione di un personaggio è racchiuso tutto ciò per cui siamo famosi nel mondo: la moda, la manualità, la creatività, la qualità dei tessuti, delle bordure, dei bottoni e dei pizzi, le scarpe fatte a mano, i gioielli, la lavorazione dei metalli e di materiali preziosi. Gli abiti scelti sono una selezione della selezione, in mezzo a migliaia di bellissimi abiti “opera” e sono emozionanti per la loro forza visuale. Un mondo fantastico di tessuti, colori, dettagli e accessori è svelato dai costumi di scena realizzati per importantissimi film italiani e internazionali.
Naturalmente ci sono i miei preferiti, quegli abiti diventati mito assieme ai personaggi rappresentati e agli interpreti che li hanno indossati: gli abiti di seta cangiante di Casta Diva di Carmine Gallone, i costumi di Guerra e Pace di King Vidor, quelli di Il mestiere delle Armi di Ermanno Olmi, la biancheria e le ampie gonne di Marie Antoinette di Sofia Coppola, i corsetti di Robin Hood di Ridley Scott, le divise degli Ussari di Anna Karenina ‎di Joe Wright, la sfilata di abiti luccicanti dell'episodio Toby Dammit di Federico Fellini e poi gli abiti indossati da grandi attori: da quello di seta con cui Sofia Loren abbraccia e bacia Marcello Mastroianni all’alta uniforme di Vittorio De Sica, dagli abiti da sera di Charlotte Rampling all’abito principesco di Cristiana Capotondi fino alla sensuale veste di paillettes di Scarlett Johansson.

Sono molto interessanti anche le iniziative collaterali alla mostra vera e propria, come i giochi e i caleidoscopi. Quanto hai partecipato alla loro ideazione e ci sono state difficoltà da parte dei creatori a far usare come tessere di mosaico o pretesti per altro le loro realizzazioni?
Il materiale multimediale è parte integrante della mostra, è stato pensato da me insieme ai creativi dello studio Convertino e in particolare l’idea di usare le tessere del caleidoscopio come filo conduttore del racconto in immagini ci è venuta naturalmente osservando i tessuti degli abiti, delle trame e degli orditi, che abbiamo deciso di evidenziare con le macroscopie. Sia sugli schermi cinematografici, per i quali sono stati creati, sia attraverso il percorso espositivo, gli abiti da soli, anche se appaiono nella loro preziosa totalità, non possono farci capire quanta attenzione sia stata prestata ai dettagli, quanta raffinata maestria sia posta nella lavorazione, così abbiamo cercato con il lavoro video di focalizzare su quest’aspetto.
La funzione dell’immagine in movimento all’interno della mostra è quella di spezzare il racconto e catturare l’attenzione del pubblico, fermarla su un tema o un personaggio. Il loro senso è di evidenziare la ricerca, la sperimentazione e la cura posta negli abiti. Tutte le sezioni tematiche sono supportate dunque da brevi video e da clip di film che aiutano a renderne coerente il contesto. I corti autoriali sono opere a sé che arricchiscono il racconto. Assieme alle app, alle animazioni al computer, ai caleidoscopici video che si riappropriano fotograficamente dei materiali preziosi, manipolandoli, le opere video scandiscono il ritmo della visione, proponendo una durata ideale per un’esperienza immersiva nella mostra. In un mondo in cui il cinema si sta muovendo verso uno scenario sempre più assistito dalle tecnologie digitali per ricreare ambienti ed effetti, il costume “fisico” rimane ancora l’elemento predominante nella maggior parte delle scene, con creazioni all’avanguardia in termini di stile e tecnica.

Quanto lavorano oggi le sartorie cinematografiche per i film in costume? Esiste un mercato italiano e internazionale?
Le grandi sartorie lavorano non solo per il cinema ma anche per il teatro e soprattutto per l’opera, dove il costume ha ancora oggi un ruolo fondamentale per la spettacolarizzazione della musica. Le realizzazioni per l’Opera sono ancora più straordinarie di quelle per il cinema. Magari saranno oggetto di una prossima mostra. Esistono però ancora grandi film in costume che danno modo ai nostri professionisti e alle nostre aziende di dimostrare tutta la loro competenza e il talento. Non si tratta tanto di prodotti italiani ma è soprattutto dall’estero che arrivano gli ordini più importanti. Le major si servono anche da noi per noleggiare o realizzare abiti d’epoca per i loro blockbusters.
Accanto ai grandi film in costume, un nuovo genere però è diventato importante per i fatturati delle aziende italiane. Nelle serie televisive, oggi così popolari tra il pubblico, i costumi e le scenografie sono davvero ricchi e straordinari e consentono alle sartorie, ormai nelle mani delle nuove generazioni, di ampliare il loro mercato e ai costumisti di scatenare la loro fantasia. Molte serie sono difatti “d’epoca” e le più amate sono fantasy, ambientate in un medioevo magico e senza tempo, che vive solo nella fantasia di chi lo crea e ci regala nuove emozioni.

Tu hai fatto nascere – e a lungo seguito – la Csc, la società di produzione della Scuola di Cinema, che ha già al suo attivo esordi importanti, come Dieci inverni o Mozzarella stories e so che segui con attenzione le realizzazioni dei giovani che escono dalla Scuola. Quali ti sembrano essere le caratteristiche di queste ultime generazioni di cineasti? A me, ad esempio, sembra che alcuni di loro siano più liberi e creativi dei loro – talora conformisti - fratelli e sorelle maggiori o padri e madri.
Si ho avuto la straordinaria possibilità di sostenere gli esordi di tanti ex allievi con una società resa possibile dal nuovo Statuto della Fondazione Centro Sperimentale, nata a fine anni novanta per volontà del Prof Lino Miccichè e dell’onorevole Veltroni, all’epoca Ministro della Cultura. Nella loro idea il Centro Sperimentale avrebbe dovuto avvalersi di un braccio operativo, come una sorta di incubatore di nuovi talenti e non solo nel cinema, una società libera dal mercato e connessa agli aspetti didattici e culturali del cinema.
In questo contesto, grazie ad un gruppo validissimo di collaboratori e in pieno accordo con la struttura della Fondazione diretta da Marcello Foti e della Scuola diretta da Caterina d’Amico, sono riuscita, assieme ai Presidenti che si sono succeduti alla guida della Fondazione e spesso con il sostegno di RAICinema, a realizzare più di dieci opere prime oltre a numerossissimi cortometraggi e documentari di autori esordienti, allievi ed ex-allievi.
Con noi hanno esordito buona parte dei registi e dei professionisti del settore che oggi si stanno affermando come la nuova generazione del cinema italiano. Non penso, però si possa dire che siano meno conformisti dei loro “padri”, anzi se penso ai cineasti della mia generazione e di quella precedente, credo fossero in molti casi più di rottura rispetto al cinema che li aveva preceduti, come lo era la critica militante degli anni 60/70 che li sosteneva e li faceva conoscere attraverso i giornali, le riviste e i festival più importanti. Quello che invece ho notato negli autori di oggi è una maggior libertà creativa nel riuscire a trovare una propria forma di racconto che molte volte non rientra in un canone preciso o in un filone culturale, ma piuttosto in una ricerca personale. Ci sono molti registi interessanti, diversi completamente tra loro e soprattutto ci sono moltissimi eccellenti professionisti, direttori della fotografia, scenografi, costumisti, montatori di livello internazionale. Ciò che trovo debole invece in molto del nostro cinema attuale, è la scrittura. Penso che sul piano delle storie, delle sceneggiature e del dialogo ci sia ancora molto lavoro da fare.

Tu, quando collaboravi con Renato Nicolini hai, tra l’altro, creato un format (anche se allora non si usava questo termine): Venezia a Roma – Cannes a Roma (poi ripreso da varie città) che allora offriva a spettatori anche non professionali una bella panoramica di titoli importanti, alcuni dei quali non distribuiti nel circuito normale, altri, di maggior visibilità, offerti in versione originale. Potresti darci un ricordo di quel lavoro e di quella irripetibile esperienza con Nicolini?
Sono stati anni incredibili e singolari, sono stati anche i miei inizi nel mondo del lavoro, che era però così entusiasmante ed eccezionale da diventare parte importante della mia vita. Mi sono trovata giovanissima a lavorare accanto a Nicolini, persona geniale e coraggiosa e a una squadra super preparata e creativa. I ricordi di quell’esperienza sono molti e indelebili, ma forse la cosa che ritengo più significativa è l’aspetto socio politico di quel momento e la grande intuizione di lavorare per creare un rapporto nuovo tra spettacolo e città e tra spettatori e contenitore, tra il tessuto urbano e chi lo abita. I luoghi della città notturna, spopolati negli anni del terrorismo, sono così diventati nuovamente i luoghi d’eccellenza per fare cultura, per godere del cinema, del teatro, del video che era qualcosa di nuovo in tutte le sue forme, dell’arte contemporanea, portata fuori dagli spazi elitari, di grandi eventi, uno per tutti L’Ultimo Imperatore di Bertolucci al Circo Massimo dopo l’Oscar. I luoghi simbolo di Roma, le aree archeologiche, i quartieri, le piazze sono ridiventate vive, aree d’incontro, testimoni di una nuova voglia di stare insieme e partecipare a un momento unico e straordinario.
In tempi di Covid, quando la piazza e lo stare insieme sembrano essere diventati “nemici” il mondo di “Nicolini” è lontanissimo, ma credo che dopo questo periodo si dovrà ritrovare una politica culturale coraggiosa e creativa, che riesca a ricostruire il legame tra i luoghi e le persone, a ridare il giusto spazio allo stare insieme “ravvicinato”, a proporre una cultura vicina alla gente e ripensata per un mondo che cambia. Credo questa sia la grande sfida che aspetta tutti quelli che, a diverso titolo, si occupano di politica e cultura, cose che non si possono disgiungere.

Antonio Ferraro

Ultima modifica il Venerdì, 13 Novembre 2020 18:48

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