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SOUL – Regia di Pete Docter. -di Valerio Manisi

"Soul", regia Pete Docter "Soul", regia Pete Docter

SOUL – Regia di Pete Docter
Soggetto Pete Docter
sceneggiatura Pete Docter, Kemp Powers e Mike Jones
fotografia Matt Aspbury, Ian Megibben
montaggio Kevin Nolting
musiche Trent Reznor, Atticus Ross
Regia Pete Docter, Kemp Powers (co-regista)

La Disney Pixar ci ha sempre bombardato di significati ed emozioni. Con “Soul” probabilmente ha dato uno dei colpi davvero più letali.
Altro film pubblicato per la prima volta sulla piattaforma digitale del colosso americano dell’animazione, “Soul” è uscito su Disney+ proprio il giorno di Natale; lo potremmo definire un vero “regalo” riservato a tutti i suoi utenti. Altra opera sottratta al cinema per via del Coronavirus. Ma, in ogni caso, forse è proprio di questo momento e di questa atmosfera intimamente natalizia (più intima che mai) che “Soul”, è il caso di dire: ci voleva proprio!
Per la regia di Pete Docter, direttore creativo della Pixar dopo le dimissioni di John Lasseter e storico regista più volte candidato agli Oscar per film come “Monsters & Co.” nel 2001, “Up” nel 2009, e (non a caso) “Inside Out” nel 2015, “Soul” rappresenta la pellicola forse d’animazione più potente e “fisicamente” realistica realizzata fino ad ora dalla Pixar.
“Soul” racconta la storia di Joe Gardner, un insegnante di musica della scuola media, che sogna da tempo di esibirsi in uno spettacolo jazz. Finalmente arriva la sua occasione, dopo aver fatto colpo su altri musicisti jazz durante un numero di apertura al club “The Half Note” di New York. Tuttavia, un incidente fa sì che l'anima di Gardner venga separata dal suo corpo e trasportata allo “You Seminar”, un centro in cui le anime si sviluppano e acquisiscono passioni prima di essere trasferite in un bambino appena nato; Gardner si trova costretto a lavorare con le anime in allenamento, come 22 un'anima con una vaga visione della vita, al fine di tornare sulla Terra prima che sia troppo tardi e perdere la sua occasione.
Ovviamente, come in tutte le grandi sceneggiature, la Pixar, anche in questo caso, ci illude con una tranquilla soluzione, che invece, dopo, diventerà sempre più complessa e soffocante, ingarbugliandosi sempre più, fin quando il caos causato da 22, ritrovatasi sulla terra nel corpo Joe Gardner (e Joe Gardner in quello di un gatto), proprio lei che non voleva “nascere”, risolverà ogni dubbio esistenziale per mezzo della propria inesperienza. Lei, però, è al contempo, un’anima stracolma di conoscenza, solo che senza corpo. Senza aver conosciuto la bellezza della vita.
Metabolizzare “Soul” vuol dire osservare meglio cos’è vivere e da cosa la vita è combinata. Vuol dire aprire una riflessione su tutto quel che ci circonda, quello che la frenesia dell’esistenza e l’accanimento del raggiungimento di un obiettivo spesso appanna, minimizza, addirittura annulla.
Un personaggio del film racconterà, dopo che Joe comprenderà che non solo la propria passione può essere “fondamentale” nella vita, di un pesce che va da un altro pesce anziano e gli dice: “Sto cercando quella cosa che tutti chiamano ‘oceano’”, “L’oceano?” risponde il pesce anziano, “È quello in cui nuoti adesso!”; “Questo?” dice il giovane pesce, “Questa è acqua! Io invece cerco l’oceano!”.
Ma il vero cuore del film e l’antica anima 22, antica quanto la cultura e il pensiero, che convinta di aver provato e conosciuto tutto, non è interessata alla vita. Solo quando ne avrà un fortuito assaggio riuscirà a intendere che “quella scintilla” che le manca non è nient’altro che la consapevolezza della necessita di poter “vivere”. Vivere e “assaporarne ogni momento”. Un po’ come racconta un cortometraggio del 2019: “Vivi la vita”.
La tecnica di realizzazione esprime quanto la Pixar ha ormai raggiunto una qualità così elevata nel riprodurre la realtà in computergrafica che probabilmente distorce appositamente forme e immagini solo per farci ritornare subito da un mondo che realmente non esiste. Altrimenti, telecamere e attori, molto presto, potrebbero fisicamente non esistere più. Questa “realtà”, che oggi solo la Pixar riesce a costruire, sta diventando concretamente impressionante. Lo si riscontra nella ricostruzione di New York City, per esempio; dei locali, di mezzi pubblici, strutture, attrezzi, abiti, stoffe, capelli (impressionanti i dettagli dei capelli nelle varianti afroamericane), luci, mobili, tasti, strumenti musicali, alimenti, ecc. ecc. Una ricostruzione precisa e meticolosa che assolutamente nulla toglie ad una reale scenografia, a una reale installazione luci, a una reale fotografia.
Impressionate, bellissimo, affascinante, altamente significativo, profondo più di “Inside Out”. E basta questo per dire già tanto. Un film che scorre in un attimo, grazie anche alla particolarissima colonna sonora che si unisce bene con l’azione dell’“aldilà” e che si distacca totalmente dalle sonorità jazz della realtà terrena.
Altro punto a favore di questo nuovo film e la sceneggiatura calibrata in ogni parte, come per esempio il sesso dei personaggi: tanti femminili quanti maschili, com’è ormai nelle regole imposte dall’azienda. Oltretutto, è un film che rende finalmente merito all’operato della comunità afroamericana per la prima volta in un film d’animazione Pixar, restituendo, oltretutto, la paternità di un genere musicale che si è radicato nel mondo passando inizialmente solo da una fitta rete di affollati, scuri e nebbiosi locali notturni. Il co-sceneggiatore, Kemp Powers, per l'appunto afroamericano, ha voluto basare la storia e il messaggio alla sua base sulla sua stessa esperienza: “Volevo che Joe fosse un vero afroamericano” ha dichiarato.
In fine un’importante nota di merito ai doppiatori dell’edizione italiana, Paola Cortellesi (22) e Neri Marcorè (Joe), bravissimi perché bravissimi attori. Particolare non da poco che avrebbero potuto rispettare, per esempio, nel remake shot-for-shot del 2019 “Il re Leone”.
Insomma, seppure risultato di una lunga gestazione, “Soul” è davvero una geniale intuizione, un geniale prodotto. Un tema importante raccontato con una sceneggiatura che parla agli artisti (in modo particolare), ma anche a tutti coloro che sottovalutano l’importanza e la bellezza della vita. Magari solo perché non s’accorgono di esserci dentro. Come quel pesce che cerca l’oceano solo per non accettare il fatto che nelle sue acque ci vive già.
Assolutamente da vedere. Meglio ancora: rivedere!

Valerio Manisi

Ultima modifica il Giovedì, 31 Dicembre 2020 10:47

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