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Teatro di realtà/5 - Il Teatro delle Albe e l’amor che move il sole e l’altre stelle. Dalla Divina Commedia a Malagola: migliorare il mondo si può di Nicola Arrigoni

Ermanna Montanari. Foto Marco Caselli Nirmal Ermanna Montanari. Foto Marco Caselli Nirmal

«È duro quando tutto ci induce a dormire, guardando con occhi fissi e coscienti, svegliarci e guardare come in un sogno, con occhi che non conoscono più la loro funzione e il cui sguardo è rivolto verso l’interno». È questo sguardo interno ed esterno al tempo stesso sollecitato da Antonin Artaud che il teatro va cercando, o meglio che il teatro sollecita nella sua ricerca di verità. Il disvelamento del reale attraverso la finzione è la magia che sta nel rito teatrale. L’aprirsi del sipario è un aprirsi su un altrove che cambia le coordinate di percezione, trasforma i luoghi, il tempo, le persone. Questa trasformazione non è effimera e può diventare rivoluzionaria nel suo agire quotidiano, ricorrendo al festivo. Tutto ciò è quanto da sempre si ripromettono di fare Marco Martinelli ed Ermanna Montanari del Teatro delle Albe, lo fanno nella decisione di rimanere legati alla loro comunità, Ravenna, lo fanno nel loro sguardo rivolto al mondo, all’universale e nella fede incrollabile in un teatro che può cambiare la realtà, agire su di essa. Il teatro è pensiero agito, è fare insieme per essere comunità: di questo sono convinti i due fondatori e animatori del Teatro delle Albe, prossimi fra un anno a festeggiare il quarantesimo di fondazione. Nell’anno dei 700 anni della morte di Dante, nell’anno della pandemia che ha bloccato la realizzazione della messinscena della terza cantica, riflettere sull’azione dantesca di Teatro delle Albe vuol dire andare in cerca dei segni concreti di un percorso artistico e politico che contagia coloro con cui le Albe vengono in contato. La Commedia è un pretesto, ma è soprattutto il canto festoso di un bisogno di fare comunità, proprio in un tempo in cui distanziamento e isolamento sociale portano nella direzione opposta.

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Cesare Fabbri

Il poema, il teatro, la città
Tutto ha avuto inizio nel 2017 con Inferno e il coinvolgimento dei cittadini di Ravenna nel mettere in scena la Divina Commedia. Hanno visto lontano Marco Martinelli ed Ermanna Montanari e nella città che conserva le spoglie del massimo poeta hanno chiamato a raccolta i cittadini per inventarsi la loro Divina commedia. Così dopo l’Inferno del 2017 in un teatro Rasi – sede della compagnia – completamente trasformato nel regno infero, nell’estate del 2019 è toccato al Purgatorio con un debutto prima a Matera e poi a Ravenna. A rispondere all’appello di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari è stato un migliaio di cittadini che hanno condiviso come attori, ma anche come tecnici, collaboratori ai costumi il viaggio nei due regni oltremondani. Se lo stupore, se i toni accesi, anche certo gusto comico ed eccessivo caratterizzarono l’Inferno, col Purgatorio Dante e il suo canto hanno preso il sopravvento e costruito un rito musicale e di estrema delicatezza che ha coinvolto 130 spettatori per sera e mille cittadini, 300 per replica. Anche i dati quantitativi hanno un senso in questa operazione che frequenta l’idea di una chiamata alla responsabilità individuale che ha un senso e un’efficacia solo in un contesto di condivisione e di bene comune da perseguire, realizzare e tutelare. Il Paradiso andrà in scena l’estate prossima, dopo che nei mesi caldi del 2021 Martinelli e Montanari hanno chiamato a raccolta artisti ravennati e non per una maratona dantesca, giusto per non perdere la voglia di frequentare insieme il pensiero sublime della Commedia come orizzonte e koiné comune. Ma ciò non basta, non basta il coinvolgimento dei cittadini di Ravenna, non basta l’aver chiamato a raccolta i ragazzi della Non scuola per costruire la grande aula del sapere e della poesia del Purgatorio, non basta a Martinelli e Montanari che leggono il loro agire sepre proiettato verso un’apertura all’altro e a mondi altri.

Viaggio oltre la selva oscura
E il motivo di questo non accontentarsi è in quanto scrive Marco Martinelli nel volume: Nel nome di dante. Diventare grandi con Dante: «All’origine c’è un uomo perduto in una selva. È la selva oscura delle sue paure, della sua disperazione, dei suoi errori. È il suo fallimento, quella selva, amaro come tutti i fallimenti e tutte le sconfitte, amaro come la morte. Vi ricorda qualcosa questa immagine? Qualcosa che state vivendo ora, proprio ora, mentre vi parlo?1». In questo interrogativo c’è forse la chiave di volta per leggere il viaggio come un itinerario che parte dal percorso oltremondano di Dante e sa riflettere sull’impegno politico, come impegno di comunità, in cui lo stare insieme tutela l’essere/individuo completandolo come parte del tutto. E allora Dante può diventare guida nel mondo sottosopra di Ribera in cui i ragazzi di Nairobi danno conto di un viaggio nell’inferno degli slum, ma anche di un riscatto attraverso il linguaggio del teatro. Nel film di Marco Martinelli The Sky over Kibera la metafora del viaggio e la possibilità che la Commedia si faccia vademecum per il singolo come per la collettività incontrano un mondo altro e non solo un oltremondo. «E’ così che vediamo Kibera con gli occhi dei giovanissimi non attori suoi abitanti e con quelli di Marco Martinelli, piedi in terra e occhi al cielo, vita quotidiana ed extraquotidianità teatrale». E allora l’idea è quella di sentirsi e scoprirsi un po’ esuli, lontani dalla nostra terra, lontani da quelle sicurezze che puntellano il nostro quotidiano, per immaginarci e provarci a essere lontani da…. Ma solidali con. Questo può accadere solo insieme ai ragazzi, i cui sguardi sono la guida che ci può far uscir a riveder le stelle. Ma ancora non basta, non si esaurisce in questo l’azione poetica e politica di Martinelli/Montanari rapiti dalla poesia di Dante e dal teatro. Ma ancora non basta: l’azione teatrale delle Albe procede per contagio, si moltiplica, si ramifica con un solo obiettivo: costruire pensiero insieme, incontrare l’altro in un tempo in cui il contatto è vietato o inibito.

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Ermanna Montanari con il coro Vermi e farfalle. Foto Marco Caselli

Sulla via Emilia in nome di Dante
Il viaggio, allora, diventa viaggio lungo la via Emilia, un viaggio in teatro, in cerca di dialogo con le scuole e i ragazzi in tempi di didattica a distanza, quarantene e ciò che ne consegue. L’idea portata avanti da Ater Fondazione è folle ma piena di energia, rappresenta la voglia di non arrendersi al virus, di riscoprire il teatro come occasione di un rinnovato ed emozionante motivo di incontro e confronto con le professoresse tutte concentrate su Dante, gli studenti chiamati a frequentare un linguaggio, quello del teatro, che non sembra loro appartenere. Questo si intravvede dai loro sguardi, un po’ increduli e un po’ spaesati. Nulla può essere dato per scontato, ma il terreno è fertile e seminare si può. Sotto il coordinamento di Massimo Marino e con il coinvolgimento dei teatri e delle scuole di Cattolica, Collecchio di Reno, Fidenza e Scandiano, Marco Martinelli ha incontrato gli studenti delle scuole superiori affrontando ogni volta un tema diverso: le figure femminili nella Commedia, la dignità della politica, l’esilio dantesco, Dante e l’amore. Ad ogni tappa gli studenti hanno incontrato Martinelli, visto il docufilm, The Sky over Kibera e assistito allo spettacolo Fedeli d’amore, di cui nel frattempo lo stesso Martinelli ha presentato la versione filmica, un’elegia d’amore in immagini con la presenza vocale di Ermanna Montanari. Questa la cronaca di un itinerario che – in questo contesto – si vuole leggere nello sforzo teso continuamente a trasformare l’azione estetica, il pensiero intellettuale, in azione politica, in contatto fisico e concreto, in eredità da passare a chi è più giovane. E in questo Martinelli è maestro e lo sa bene. Nel teatro con le classi distanziate, le mascherine, la distanza imposta dai protocolli sanitari, Marinelli non si rassegna, cerca il contatto e lo fa con l’empatia del racconto, con la voglia di scuotere i ragazzi e di costruire il tassello di una nuova possibile non scuola da fare insieme. Martinelli lancia ai ragazzi del progetto Sulla via Emilia in nome di Dante la possibilità di lavorare concretamente all’interno della messinscena del Paradiso, un azzardo, un lancio in avanti che i ragazzi da dietro le mascherine colgono un po’ stupiti, cercando lo sguardo dei professori. È questo che fa dell’agire poetico di Teatro delle Albe un’azione politica, è la necessità di aprire, di estendere l’abbraccio della scena, nella convinzione che il teatro sappia tirar fuori da ognuno l’autentico in relazione all’altro da sé. Martinelli richiama i ragazzi a giocarsi con passione, sempre e comunque, a non aver paura di osare e soprattutto di frequentare i loro sentimenti che nell’età dell’adolescenza sono forti, trascinanti, vitali.
È la vita, il suo flusso energetico che Martinelli e il Teatro delle Albe vanno cercando, sempre e comunque, con l’obiettivo da rabdomanti della bellezza di scoprire il fuoco nascosto di un’umanità che ha la potenzialità di essere connessa con l’universale, di darsi per trasformare il mondo, renderlo migliore nell’attenzione all’altro, nel contatto con l’altro. E allora ben sintetizzano questa tensione le parole di Enrico Pitozzi nell’intenso dialogo con Ermanna Montanari raccolto in Cellula. Anatomia dello spazio scenico: «il palcoscenico è il punto di intersezione tra l’infinitamente grande del cielo e l’infinitamente piccolo della terra; ridimensiona a portata dei sensi gli elementi del primo e al contempo amplifica, mostrandoli quelli del secondo. Sempre li tiene a sé avvinti e li rappresenta trasfigurandoli: orienta cioè i loro elementi, secondo propensione, nei limiti di una logica. In questo senso è un giardino: un loro rispecchiamento organizzato e circoscritto»3. In questo senso lo spazio scenico è luogo circoscritto aperto sull’inatteso, in questo senso l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, l’io e il noi si coniugano in un tempo e luogo che sono fuori dall’ordinario, che permettono di venire in contatto con ciò che è stato e immaginare ciò che sarà. Questa potenzialità cercano e inscenano i pellegrini teatrali delle Albe nel loro interrogare chi incontrano e mettersi in gioco in cerca della voce segreta e autentica dell’humanitas che tutti ci rende terreni fecondi di amore. Eccola la parola che fa scandalo e che fa da pietra angolare in Fedeli d’amore, uno spettacolo vocale affidato alle doti di Ermanna Montanari, un omaggio all’ultimo Dante e alla sua ricerca dell’elemento che tutto il mondo tiene, un viaggio sonoro e visivo costruito con cesellata ispirazione iconica da Marco Martinelli nella versione filmica, un’elegia alla ricerca dell’«amor che move il sole e l’altre stelle».

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Malagola… vocalità e anima
«Dopo l’esperienza delle chiamate pubbliche per il nostro Dante, il sindaco ci ha chiesto di continuare a lavorare con la città e ci ha domandato come non disperdere quello che si è fatto e si sta facendo per Dante – racconta Ermanna Montanari -. Noi abbiamo proposto il progetto dell’alta Scuola di Vocalità e di tutta risposta il primo cittadino ci ha messo a disposizione il palazzo settecentesco Malagola. Ci è parso che tutto tornasse». Scuola e archivio, un luogo di conservazione e innovazione questo promette di essere Malagola, uno spazio dinamico, in cui la volatilità della voce diventa scrittura e la scrittura suono. È questa solo l’ultima in termine di tempo delle azioni scaturite nella realtà grazie alla vertigine creativa del teatro. Malagola, la scuola di vocalità del Teatro delle Albe, è l’esempio di come il coinvolgimento della città, la chiamata pubblica ai ravennati per il loro Dante abbia dato frutto, un frutto di sapere e di sviluppo di conoscenze, in cui documentazione e ricerca coesistono nel segno di una communitas del fare e dell’esperire, del sapere insieme. La scuola di Malagoda è «luogo in cui la parola-visione, è radicata al suo mistero, alla sua quadruplice gloriosa forma: significato, suono, potenza, e il silenzio che la custodisce. Luogo in cui tutti si studia, docenti e discenti, dove non si offrono tecniche prestabilite, ma si pratica una disciplina che prenderà forma originalissima con chi vi è coinvolto di volta in volta», scrive Ermanna Montanari nel piccolo manifesto della scuola di vocalità. Si tratta di un manifesto di intenti e di sogni, nove punti in cui si declina il senso di quella scuola che nell’ultimo punto – tre volte tre e non sarà un caso – si legge: «Scuola infine come il seme glorioso che si nasconde sottoterra e nella notte germoglia». In questo seminare perché poi chi potrà e vorrà raccolga i frutti sta il senso di ogni azione pedagogica, dell’amore che crea, del teatro che fa e trasforma, dell’utopia che il Teatro delle Albe non si stancano di frequentare nella convinzione che la realtà può essere cambiata, trasformata, migliorata attraverso l’inatteso che offrono le arti, il pensiero, il teatro, le humanities… terreno fecondo di futuro e di amore.

1 - M. Martinelli, Nel nome di Dante. Diventare grandi con la Divina Commedia, Ponte alle Grazie, Milano, 2019, pp. 94 - 95.

2 - L. Mariani, Il teatro nel cinema. Tre film di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, luca sossella editore, 2021, p. 121.

3 - E. Montanari – E. Pitozzi, Cellula. Anatomia dello spazio scenico, Quolibet Studio, Macerata, 2021, p. 167.

Ultima modifica il Domenica, 30 Gennaio 2022 19:47

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