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Identità d’attori fra Carrère, Agassi e Pirandello. Invisibile Kollettivo alla ricerca di una responsabilità artistica. -di Nicola Arrigoni

"L'avversario" di Emmanuel Carrère. Foto Laila Pozzo "L'avversario" di Emmanuel Carrère. Foto Laila Pozzo

Un collettivo di attori con alle spalle una formazione allo Stabile di Torino con Luca Ronconi come maestro, per quattro dei cinque attori, con partecipazione a spettacoli dei più importanti teatri italiani e il romanzo L’avversario di Emmanuel Carrère hanno più di un motivo di dialogo, come spiega Nicola Bortolotti, insieme a Lorenzo Fontana, Alessandro Mor, Franca Penone ed Elena Russo Arman parte di Invisibile Kollettivo. Cosa spinge un gruppo di attori a mettersi insieme e dare corpo a un collettivo? Come questo può avere a che fare con Emmanuel Carrère, Andrea Agassi e Luigi Pirandello? Sono domande che raccontano di una necessità di non darsi per vinti, anche dopo la pandemia e proprio per colpa della pandemia, e al tempo stesso dicono della necessità di fare qualcosa di proprio, dell’urgenza di definirsi e darsi una identità artistico/creativa. La realizzazione de L’avversario è strettamente connessa con la storia del gruppo: «nato dall’esigenza di attori con una storia e formazione nel teatro di regia di prenderci la responsabilità di ciò che siamo e facciamo, magari anche volendo produrre qualcosa che sia esclusivamente nostro – spiega Bortolotti -. Ci siamo ritrovati tutti a fare i conti con la nostra identità e la voglia di passare da figli al ruolo di padri, così potremmo dire». E dopotutto il romanzo di Emmanuel Carrère di questo parla: di identità: «Il romanzo racconta una storia vera: la strage che Jean Claude Roman nel 1993 fa di moglie, figli e genitori tentando poi a sua volta, invano, il suicidio. Le indagini metteranno in luce che l’uomo non era un medico come diceva di essere, ma per diciotto anni aveva mentito sui suoi studi, sulla sua professione e invece di andare al lavoro passava le sue giornate in parcheggi o nei boschi. In un certo qual modo il protagonista del romanzo ha alla fine dovuto fare i conti con sé stesso, forse con la sua identità inventata e con quella che non ha mai rivelato nemmeno a sé stesso». Ne L’avversario di Invisibile Kollettivo piace la voglia di interrogare la parola che dischiude mondi, di guardare nell’abisso della mente attraverso lo sguardo degli amici di Roman, ma soprattutto attraverso l’inconsapevole complicità che i prossimi del falso medico avvertono, dopo la scoperta della verità e l’orrore della strage. Come non abbiamo potuto accorgercene?: è questo l’interrogativo che sottostà al lavoro, un lavoro in cui straniamento e ironia, in cui parola e gestualità si intrecciano con una incostante resa emotiva.

L Avversario IK Laila Pozzo 2
L'avversario. Foto Laila Pozzo

E se questa è la vicenda, l’Invisibile Kollettivo ha voluto prendere in carico non solo la storia, ma anche il libro di Carrère: «Abbiamo tenuto fede alla scrittura romanzesca, raccontando e cercando di dare voce alle parole degli altri, andando a raccontare Jean Claude Roman attraverso il punto di vista di moglie, figli e genitori – prosegue Bortolotti -. Ognuno di noi ha assunto la responsabilità di dramaturg, regista e interprete, abbiamo tenuto in primo piano l’oggetto libro a tal punto che il romanzo come oggetto è in scena con noi, usato, consumato, vissuto. Abbiamo voluto restituire la scrittura non teatrale, un po’ come a molti è capitato di fare con Luca Ronconi. In questo modo abbiamo cercato di costruire l’identità del protagonista attraverso i punti di vista delle sue vittime, una scelta fatta anche per un po’ di pudore. L’uomo è in carcere e ci è parso naturale non chiamarlo in scena in prima persona, ma mostrare le identità, le attese che gli altri avevano su di lui, ma anche offrire il punto di vista di chi lo conosceva o credeva di conoscerlo. Tutto ciò senza toccare una virgola del romanzo, cercando di restituirne il respiro narrativo, il sapore della scrittura. Anche per questo abbiamo optato per una narrazione in terza persona singolare, nel segno di una distanza e uno sguardo che è quello dell’altro sulla identità ipotizzata di ognuno di noi».
Una riflessione quella dedicata all’identità che Invisibile Kollettivo tiene come tratto distintivo del suo agire, un agire che si pone all’interno di un sistema produttivo con cui gli attori hanno e continuano a interagire. Per questo L’avversario porta la firma produttiva del Teatro dell’Elfo con il sostegno dell’Ert, mentre l’ultimo lavoro nasce sotto l’egida dell’Elfo: «Proprio nei giorni scorsi abbiamo debuttato a Genova con la messinscena di Open di Agassi – continua -. In questo caso la storia del tennista che ha costruito la sua identità di sportivo su costrizione dei genitori, finendo con l’odiare il tennis, per scoprire alla fine che forse l’essere atleta di tennis era la sua identità è stata quintuplicata, abbiamo assunto su di noi un pezzo della biografia di Agassi, incarnando ciascuno di uno un’età del tennista, dividendocelo per analizzarlo e capirlo meglio, in questo caso puntando sull’io narrante dell’autobiografia del campione che sente la necessità di mettersi a nudo. Al tempo stesso in scena usiamo cartoni con l’immagine di Agassi, dei brandelli di cultura iconica che rendono tutto in una dimensione bidimensionale, pezzi di cartone spezzati, pezzi di un puzzle che pian piano di ricostruisce. Dopotutto è questo che Andrea Agassi ha fatto in Open e quello che noi cerchiamo di restituire in scena».
In questo gioco di specchi non poteva poi mancare l’approdo prossimo e venturo a Luigi Pirandello, anticipa Nicola Bortolotti: «Su suggerimento di Renato Palazzi che ha amato molto L’avversario e ci invitò ad affrontare un classico, l’anno prossimo realizzeremo per il Ctb e l’Elfo Puccini la messinscena di Come tu mi vuoi di Pirandello, a cui siamo arrivati attraverso la lettura del Teatro della memoria di Leonardo Sciascia. Con L’avversario, ora Open e la prossima stagione Come tu mi vuoi stiamo realizzando una sorta di trilogia sull’identità, sull’essere e l’apparire, una riflessione che forse si incontra col nostro bisogno di attori di costruire un nostro percorso e, come dicevo prima, da figli di registi importanti che ci hanno formato passare ad essere padri e madri di un teatro che esprima qualcosa che nasce da noi, un nostro personale sentire con tutti i rischi che ciò comporta».

Ultima modifica il Giovedì, 03 Febbraio 2022 23:00

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