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CAMILLERI-MESSERI, L'ARTE DEL TEATRO. -di Errico Centofanti

Al Caso ogni tanto piace manifestarsi per ribadire d’esser lui il gran regolatore delle umane cose: una casualità, un incontro inatteso, una coincidenza, oppure la perdita d’una coincidenza, come nel Calvino di Se una notte d’inverno… Però, se non è notte, se non è inverno e se la coincidenza effettivamente c’è?
Metti d’aver dedicato l’estate a rileggere l’Ulysses di Joyce, metti che gli occhi stiano sulle ultime pagine dell’episodio Sirene, metti che sulla frase «Eccola l’ultima rosa dell’estate!» ti lasci prendere da incantamento per via di Last rose of summer, la melodia irlandese che prima di Joyce aveva inebriato Beethoven, Mendelssohn, il Flotow di Martha e chissà quant’altri grandi, metti che proprio in quell’attimo di rapimento ti approdi sul tavolo Abbiamo fatto un viaggio, racconto di una messa in scena, l’esile – ma non piccolo! – libro appena uscito del fu (ahimè!) Andrea Camilleri.
Più coincidenza di così! Ma, non basta! Solo cinque minuti e un altro corriere sopraggiunge con Le regole del gioco, guida ai primi segreti della recitazione di Anna Laura Messeri. Non una, ma due benvenute Last roses of summer offerte dal Caso in non strampalato appaiamento!
Due libri, tra loro diversissimi. Il primo (editore Henry Beyle, Milano) altro non è se non la lettera del 30 Giugno 1953 con la quale Camilleri racconta da Roma ai genitori rimasti in Sicilia l’andata in scena della commedia di Raoul Maria De Angelis Abbiamo fatto un viaggio, sua prima regia ufficiale (Teatro Pirandello, 25 Giugno 1953).

Susanna Costaglione protagonista della Locandiera di Goldoni nella messinscena di Claudio Di Scanno foto di Remo Gieseke

Susanna Costaglione, protagonista della Locandiera di Goldoni nella messinscena di Claudio Di Scanno. Foto di Remo Gieseke.

L’altro libro (editore Franco Angeli, Milano) è invece un brillante manuale sul come si fa per trasformarsi – fisicamente e mentalmente – in attori, frutto del sapere e dell’esperienza pluridecennale di Anna Laura Messeri nella professione di maestra di recitazione.
Il “casuale” appaiamento dei due libri sul mio tavolo induce a riflettere sulla superficialità, il pressapochismo e insomma – diciamolo! – la grave carenza di professionalità dilagante nel mondo dello spettacolo, dove invece preparazione teorica e formazione professionale sono da sempre presupposti costitutivi. Di conseguenza, questi due contributi di pensiero apparsi in forma di libri spingono a un po’ ragionare sull’attualità.
So bene quanto sia stata intensa e poliedrica, e perciò per chiunque preziosa, l’esperienza professionale di entrambi gli autori, avendoli tutt’e due conosciuti e poi seguiti fin dagli anni ’60 del Novecento: Camilleri in quel tempo condottiero dei mitici capolavori Rai in forma di sceneggiati e, sebbene non ancora docente di regia nell’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, appena reduce dal successo della sua storia degli antichi teatri stabili in Italia pubblicata a Bologna da Cappelli nel 1959, e Messeri, docente nell’Università dell’Aquila nonché assistente di Orazio Costa alla D’Amico, che poi sarebbe stata per molti decenni docente e direttore della Scuola di Recitazione nel Teatro Nazionale di Genova. Così, ho pensato d’intrecciare qui di seguito una manciata di brani dei loro testi, i quali esemplarmente disegnano alcuni tratti essenziali delle professioni d’attore e regista.
Attualmente, è evidente nel nostro Paese il deficit d’opportunità lavorative, particolarmente allarmante rispetto alle fasce giovani della popolazione. Pure evidente è l’aspirazione a procurarsi lavori gradevoli, il che per molti vuol dire cercare spazio nel mondo dello spettacolo. Tuttavia, di rado ci si cura delle necessarie dotazioni di professionalità. Si cerca soprattutto un impiego quale che sia, cioè un’occupazione continuativa e retribuita, magari con la speranza di far carriera, di avanzare da un punto di vista sociale e soprattutto economico. Si ha la convinzione che in teatro e nello spettacolo in genere tutto sia facile, che bastino un bel fisico e qualche buona “spinta”, altro che studio e accurata preparazione!
La realtà è ben diversa, ovviamente, e le disillusioni sono cocenti, come sono frustranti le rovinose e irreparabili cadute dopo le eventuali prime fortunose affermazioni. «Dove il dilettante spera, il professionista lavora; e per lavoro s’intende spirito d’iniziativa e perseveranza nello studio, nella ricerca degli interessi» (Messeri, pag. 118).
Per di più, insieme con lo studio e la meticolosa cura quotidiana nella preparazione culturale e nell’affinamento tecnico, ci vuole costanza di progettualità e determinazione di fronte agl’inevitabili ostacoli: «Domenica sera faremo un coctail e distribuiremo un opuscolo per illustrare tutta l’attività del nostro teatro […] Abbiamo un buon programma per l’anno prossimo: speriamo di poterlo realizzare in pieno se i quattrini ci saranno. Lo Stato ci ha fatto molte promesse» (Camilleri, pag. 33).
Imparare a ben agire sul palcoscenico non è un dono di Madre Natura e, d’altra parte, da nessuna parte s’arriva se si tenta di rimpiazzare la preparazione con l’improvvisarsi, come pure bisogna guardarsi dalla sciocca convinzione che la conquista della notorietà debba essere il fine a cui tendere. «L’attore impara che saper usare il talento è importante quanto possederlo, che le vie del successo sono oscure, equivoche, a volte assurde, che l’ossessiva ricerca della notorietà è un veleno e che l’unica cosa che veramente conti, quella che dà senso alla sua vita professionale e per cui valeva la pena cominciare, è l’attimo in cui recita» (Messeri, pag. 118).

Roma frontone dellingresso di Via Vincenzo Bellini 16 sede attuale dellAccademia Silvio DAmico istituzione che fu casa sia per Andrea Camilleri che per Anna Laura Messeri

Roma- frontone dell’ingresso di Via Vincenzo Bellini 16, sede attuale dell’Accademia Silvio D’Amico, istituzione che fu casa sia per Andrea Camilleri che per Anna Laura Messeri.

Ovunque e in ogni caso, i pedanti sono una rovina, tuttavia, se è vero che le regole servono per disciplinare se stessi e per convivere in armonia con tutti, è vero pure che «le regole sono fatte per essere infrante, anche se, come dice il vecchio adagio, per infrangerle ci vuole una buona ragione» (Messeri, 26).
Per un attore, l’infrangere la regola del ben recitare non ha mai il sostegno d’una buona ragione. Invece quante volte capita d’avvertire, in teatro o al cinema o in tv, l’imbarazzo procurato da un cattivo recitare: «Chi dice senza pensare, esibisce una sciolta scorrevolezza: in realtà non usa le parole, se ne libera […] Chi invece pensa senza saper dire, scivola sulle parole, le biascica, accavalla le sillabe come se la parola fosse un semplice fatto mentale e la sua sonorizzazione un inciampo» (Messeri, 92). Infatti, lo spettacolo deve emozionare, ma la sua funzione primaria sta nel comunicare idee, nel far pensare, nel dare agli spettatori qualcosa che s’incardini nel loro ragionare. Dunque, quando si recita correttamente «non ci si esibisce, si comunica» (Messeri, 93).
Nell’ampio panorama esplorato da Anna Laura Messeri trovano eco pure tante suggestive evocazioni di vecchie quanto tuttora efficaci risorse maturate, in tempi ben lontani dalla nostra quotidianità iper-tecnologica, grazie all’artigianalità dell’addestramento attoriale; per esempio, il suggerimento di un buon metodo per allenarsi al controllo del fiato: «parlare davanti la fiamma di una candela senza spegnerla mai» (pag. 91).
Il contributo di Andrea Camilleri si sviluppa attraverso un vero e proprio resoconto esperienziale, in larga parte dei cui fotogrammi si legge una realtà rimasta quasi del tutto identica a quella dei giorni nostri. A cominciare dai problemi comportati dai copioni inadeguati e dalle ristrettezze finanziarie: «Era il primo lavoro di un grosso romanziere che non sa però che cosa sia teatro: i suoi personaggi non erano di carne ed ossa, erano delle belle frasi» (pag. 17). «Sempre senza quattrini: ogni mille lire da spendere era un problema di Stato» (pag. 26).
Altro super-problema è il tempo riservato alla preparazione: non ce n’è mai abbastanza, tanto che spesso resta solo un’inesaudita aspirazione la prassi indicata come tranquilla normalità: «in ogni compagnia le prove di ogni spettacolo durano non meno di trenta giorni e dalle tre di pomeriggio sino alle otto e trenta di sera e le ultime cinque o sei prove durano dalle tre del pomeriggio sino alle quattro/cinque di notte» (Camilleri, 15).
In realtà, sempre troppo breve è il tempo che le produzioni (quelle a gestione pubblica non meno di quelle private) accordano per le prove e per tutte le altre fasi degli allestimenti: «Sono andato in scena senza aver mai visto tutto lo spettacolo di fila, perché mi mancava ora l’uno ora l’altro attore; le luci le ho provate e stabilite cinque ore prima di andare in scena, senza poterne controllare gli effetti sugli attori, e infine sono andato in scena senza aver mai visto al completo la scenografia […] perché quella del secondo atto si è finita di montare venti minuti prima che si alzasse il sipario, con il pubblico già in sala» (Camilleri, 16).
Oggi come ieri, nel 1953 di Camilleri come nel nostro 2022, pari pari, tutto d’un colpo, l’accumulo di fatica, tensione e stanchezza ti precipita addosso nel momento in cui, finalmente, lo spettacolo va a incominciare: «Mentre mi abbracciavano e mi baciavano per augurarmi il successo, proprio in quell’istante fu come se cominciasse a cadermi addosso una casa di dodici piani: cinque notti senza dormire, la fatica, la tensione dei nervi, tutto si fece sentire all’improvviso» (Camilleri, 29).

Anna Laura Messeri copertina del libro Le regole del gioco

Nel ragionare su questi temi sopraggiunge la felicità di partecipare a una rappresentazione che testimonia come almeno nel teatro le buone pratiche godano di un rassicurante persistere. Parlo della Locandiera prodotta dal Drammateatro di Popoli, in Abruzzo: drammaturgia e regia di Claudio Di Scanno, protagonista Susanna Costaglione e inoltre in scena Fausto Morciano, Ivan Marcantoni, Beatrice Giovani, Rebecca Di Renzo, Pierluigi Lorusso. Come evidenzia Di Scanno, che del Drammateatro e del suo prestigio in Italia e non solo è anima dall’85 in qua, «l’intelligente e astuta Mirandolina è il prototipo di una donna moderna, a suo modo imprenditrice d’antan, ben capace di maturare una strategia di fascinazione, che sa affermare il proprio diritto alla libertà come strumento basilare di autodeterminazione». Su questa avveduta lettura delle intramontabili coordinate goldoniane, Di Scanno innerva le sapienti geometrie corporali e mentali concepite per la ineccepibile protagonista e per tutti gli altri, magnificamente concertati. Uno spettacolo, insomma, che non solo si sostanzia di professionalità d’alto profilo e di esiti consequenziali ma offre una plastica dimostrazione di come «ogni volta l’attore – il vero attore – avverte la gioiosa incombenza di essere strumento di conoscenza dell’uomo e testimone del suo tempo» (Messeri, 118). Incombenza, questa, che è riferita all’attore in quanto parte del tutto, perché è ovvio che, se quella qualità sussiste, quella qualità non possa non caratterizzare l’intero piccolo universo fatto del davanti e del dietro le quinte, lo spettacolo essendo necessariamente e fortunatamente una creazione collettiva.
In definitiva, queste due Last Roses of Summer promettono un buon avvio dell’autunno: i libri di Andrea Camilleri e Anna Laura Messeri rassicurano circa la vitalità della consapevolezza che è comune interesse di artisti, tecnici e spettatori l’operatività forte e costante, in teatro, come al cinema e in tv, di professionisti padroni dei rispettivi mezzi espressivi, cioè tecnicamente ben preparati, non sottovalutando che il termine “tecnica” è la traduzione di una parola dell’antica Grecia, dove «indicava sì la padronanza dei mezzi ma, inscindibilmente, anche la qualità del prodotto, quello che, appunto, noi chiamiamo “arte”. Senza tecnica, in qualunque campo, non c’è invenzione che possa imporsi» (Messeri, 33).
E la tecnica va conquistata, il che comporta fatica e non di rado sacrificio, come Camilleri argutamente evidenzia a proposito del fine serata del proprio debutto registico: «Sono un po’ dimagrito (un mio attore napoletano, simpaticissimo, ieri, dopo avermi guardato attentamente davanti e dietro m’ha detto: <Dottò, scusate, ma che per caso o culo l’avite lassato a casa?> ma mi rifarò in due o tre giorni mangiando» (Camilleri, 36). Battuta, questa, in nessun modo figlia del Caso, discendendo essa in via diretta da quell’antica e sempreverde grandiosità misterica che è il palcoscenico. In diversa ma non meno brillante modalità l’aveva annotato Ettore Gaipa (in Il metodo Strehler, Skira, Milano 2012): «“Lo spettacolo è finito”, “Lo spettacolo comincia domani”. Niente paga la malinconia ma niente alimenta maggiormente la speranza che accompagnano queste due frasi, dette – o avvertite soltanto – nel fondo del cuore di ogni teatrante».

Ultima modifica il Sabato, 12 Novembre 2022 09:53

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