venerdì, 29 marzo, 2024
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FESTIVAL D'AVIGNON 2022. -di Maria Pia Tolu

"La Tempesta" regia Alessandro Serra "La Tempesta" regia Alessandro Serra

Il 76esimo Festival d’Avignon di Oliver Py è stato il suo ultimo festival. Il direttore e regista afferma con la sua programmazione la voglia indefessa di raccontare delle storie, toccando argomenti di tutti i tipi.

A dispetto delle ideologie o delle idee preconcette, del cambio generazionale e climatico, sussiste la volontà, che poi è una volontà antica, di narrare. Di costruire tragedie o fables. Di cui l’uomo ha bisogno per rappresentarsi il mondo, di interpretarlo, di scolpirlo a suo modo e di trasmetterlo.
Apre la manifestazione alla Cour d’Honneur “Le moine noir”.
Dal racconto di Checov poco conosciuto ed enigmatico, è tratta una lunga pièce. L’autore è il regista russo Kirill Serebrennikov che qui ha, grazie a Olivier Py, per la prima volta una visibilità internazionale. Al di là di ogni prevedibile polemica, lo spettacolo è di una riuscita impressionante. Sotto tutti i punti di vista. Da una parte perché ha convinto buona parte del pubblico e della critica. Dall’altra perché lo spettacolo è una straordinaria rappresentazione di lucidità e follia del protagonista, e probabilmente anche di coloro che lo attorniano. Il tutto nell’ampia, storica e già pregna di vicende teatrali innumerevoli, Cour d’Honneur. Rappresentato con l‘ausilio di video quasi incantatori. Lo spettatore è completamente coinvolto ed è ben lontano, come dice l’autore, da un teatro di ‘figurine’ che esige la distanza con il pubblico.
La vicenda, apparentemente comune nei testi di Checov, narra la storia di un poeta che si rifugia in campagna ,da un amico nella sua splendida e ampia dimora, sperando di ritrovare così l’ispirazione.
Andrei Kovrine nel giardino di Pessoski comincia ad avere delle visioni: vede apparire il fantasma di un monaco nero che riuscirà ad incantarlo. Incominciano le peripezie allucinanti e allucinatorie sulla scena. Il monaco si moltiplica in uno, due, più monaci, in ombre di cerchi e poi di sfere che lo circondano, sempre più concentriche, come miraggi ,uno dopo l’altro.
Sfilano le donne della sua vita in versione giovane e in versione vecchia; due attrici formidabili, bisogna dirlo, come tutta la troupe di questo spettacolo, di cui anche un solo tratto serve a farci riflettere sull’uomo e il suo non sempre ovvio rapporto con l’invisibile, con le forze che sono al di fuori di lui e che lo interpellano.
Luci come ombre, il bene come il male. E poi rotazioni, sabba, apparizioni psichedeliche e musiche dall’effetto ipnotico.
Se ha scampato i numerosi capogiri, lo spettatore esce affascinato o turbato, anche se ha fischiato o fatto buu, oppure applaudito a tutto spiano.

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“Ma jeunesse exaltée” di Olivier Py

Altro spettacolo notevole è “Ma jeunesse exaltée” di Olivier Py, maratona di dodici ore a cui lo spettatore del Festival è abituato,i suoi ammiratori infatti non danno mai cenni di stanchezza o di noia. E come annoiarsi di fronte alle peripezie del protagonista Bernard de Roffignac,geniale attore, il doppio di Py ,divenuto Arlecchino sulla scena che ne combina di tutti i colori?
Appare prima nudo, coperto di sangue e sbattuto in un bidone della spazzatura dicendo che vuole essere dimenticato. Ma poi, hop, risorge e incontra un misterioso personaggio che gli assicura che lui, Arlecchino, è la gioia del mondo, è una porta che stride. Gli assicura che lui stesso allegorizza il proprio destino in quanto non è un arlecchino ma L’Arlecchino, gli dice che arlecchinizzerà il mondo e gli rivela che hanno una ferita comune, un’infermità che è un segno di elezione, un segno di distinzione.
Ci sono naturalmente come spesso nelle pièces di Py, attacchi irriverenti nei confronti di tutte le istituzioni possibil. Spogliarelli, frustate e notti brave non vengono risparmiate sulla scena, come le umiliazioni e le sevizie, per poi ricominciare con avventure, zuffe, spogliarelli, personaggi che ne fanno di cotte e di crude.
Alla fine, esausto, Arlecchino dice che non crede più nel teatro. Ma in realtà “Ma Jeunesse” ne è un inno. Dialoghi folgoranti, acut,i pieni di fantasia mordace. Come in molti spettacoli di Py, esperienza e invenzione si mescolano e la maggior parte del pubblico è felice di aver assistito a questa maratona buffonesca e tragica, ma gonfia di energia poetica, sempre accompagnata dalla fede indistruttibile dell’autentico potere del racconto e della rappresentazione.
Alla Cour Mont Faucon de la collection Lambert, “Anima” di Noémi Goudal e Maelle Poesy. Vera e propria performance a cavallo tra la fotografia, la pittura e la danza moderna, questo spettacolo si staglia nella costellazione degli spettacoli presentati al festival per la particolarità stessa dei mezzi usati. Nella corte appaiono su tre schermi disposti a triangolo equilatero, immagini che cominciano a stagliarsi con palmizi fosforoscenti e nel sottofondo sonoro di rumori, forse echi di savana. Poi, aiutanti di scena pongono, e di volta in volta spostano ritagli della scena precedente raffigurante immagini rese vaghe o diminuite. Appaiono scale e foreste. Poi il paesaggio si scompone ancora e si ricompone fluttuando; fiamme, fumo e un lungo incendio ritmato da tamburi, quasi un’eco selvaggia e rituale di una distruzione. Fuoco che divora, che distrugge: brandelli sbruciacchiati svolazzano nell’aria. Al posto delle palme ormai riarse, appaiono sugli schermi rocce che compongono un paesaggio roccioso maestoso. Poi piano piano anche le rocce si sfaldano,come un elemento cartaceo, mentre il fumo annerisce con nuvolette lo spazio scenico e la platea. Scendono rivoli d’acqua, poi a sorpresa compare l’attrice-performer, penzola come una ginnasta reggendosi con un solo braccio a una fune, compone figure aeree; a momenti sembra galleggiare (che sia un’astronauta oppure un feto?). Agilissima immagine aerea e aggraziata, come di un garbato ma deciso esploratore in un nuovo mondo o di una vita che cerca la sua strada in un universo semidistrutto, rovinato, barbaramente riarso. Parabola evidente e dichiarata di un’incursione quasi storica e magica nell’evoluzione del paesaggio terrestre. E della sua involuzione fino ai disastri ecologici che ben conosciamo. La bellezza e la grazia di Noémi Goudal così leggera e potente, che evoca una presenza umana nuova, offesa e intatta allo stesso tempo, sembra suggerire un’ostinazione positiva nell’Esserci, tra il sopravvissuto che esplora e il nascituro che rappresenta la vita. Grandi applausi ma anche sconcerto per questa bellissima performance.
Al teatro Opera Grand Avignon “La Tempesta” di Shakespeare per la regia di Alessandro Serra. Già noto in Francia e altrove per il suo Macbettu, recitato in sardo, Serra rappresenta una particolare e sensitiva versione dell’ultima opera del Bardo. Molto personale perché ricompone la sublime, complessa e commovente commedia, incentrando la narrazione sul personaggio di Ariel e del suo rapporto con Prospero. Non certo tradendo il testo, ma accorciandolo ,cosicché fatalmente sono questi due personaggi che emergono. Il teatro di Serra che fa pensare a Peter Brook, è essenziale Le sue scene spoglie, quasi scabre, sono illuminate con abili coni di luce, la tempesta raffigurata come un velo nero trasparente. La bravissima Chiara Micheli in Ariel è creatura dell’aria che si muove nell’acqua immaginaria dell’uragano. Bella, con una mimica straordinaria e la grazia di una danzatrice, e la voce sicura di attrice esperimentata, si muove sul palco misteriosa, dando ordini qua e là. Le basta un gesto semplice e regale per cambiare storie, situazioni, destini. Tranne il suo, perché è legata ad una promessa fatta a Prospero: quella di essere il suo" genio" (come mi ha spiegato Chiara stessa). Questa pièce è come spinta e animata dal sentimento del perdono, del volere perdonare. E infatti così succede: Prospero scioglie malefici e incantamenti. Alla fine della sua vita Shakespeare sentiva forse il desiderio di terminare la propria opera con un testo che fosse volto verso la speranza.
Ed è questa la sensazione che si prova uscendo dalla sala del teatro. Come una sorta di leggerezza, meglio ,come da una saggia lezione di leggerezza, di pulizia, come la visione di un paesaggio diventato nitido, netto come dopo una tempesta per l’appunto.

Maria Pia Tolu

Ultima modifica il Sabato, 26 Novembre 2022 10:38

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