mercoledì, 26 marzo, 2025
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TEATRO ALLE HAWAII. -di Alessandro Clericuzio

L'Hawaii Theatre di Honolulu oggi L'Hawaii Theatre di Honolulu oggi

Per tutto il ventesimo secolo il teatro ha avuto un ruolo significativo nella coscienza identitaria delle isole Hawaii. Arcipelago del Pacifico diventato regno nel 1795 (Hawaiian Kingdom), fu annesso agli Stati Uniti nel 1898 (Annexed Territory) e divenne il cinquantesimo stato dell'Unione nel 1959. Mentre nei primi decenni dell'Ottocento le rappresentazioni si svolgevano all'aperto o in strutture non specificamente adibite alla messa in scena, nel 1847 viene costruito a Honolulu il “Thespian”, il primo edificio teatrale, prevalentemente per l'intrattenimento della sempre maggiore popolazione anglofona, che dal 1820 in poi si era stabilita nelle isole.

Se nel diciannovesimo secolo coesistevano separatamente le due prevalenti società, quella della civiltà autoctona, detta kanaki, e quella di cultura angloamericana, imposta per imperialismo politico ed economico, nel corso del Novecento una graduale ibridazione porterà le arti, e in particolare il teatro, a esplorare un ampliamento di prospettive percepibile al livello iconografico, linguistico ed estetico nel senso più ampio del termine. L'esempio più noto di questa prospettiva pluralistica è l'opera di Victoria Nalani Kneubuhl, che dagli anni  Ottanta del Novecento ha portato il teatro delle Hawaii all'attenzione della critica e del pubblico nazionali e internazionali, ed è considerata dalla nuova generazione di autori drammatici locali la regina del teatro hawaiano. La definizione di “regina della drammaturgia hawaiana”, attibuitale da un'autrice di teatro autoctono contemporaneo, Lee Cataluna, non usa a caso la terminologia regale: notoriamente, la nazione hawaiana prima di perdere l'indipendenza nel 1893 era governata da una donna, la regina Lili'huokalani.

Questa imponente e controversa figura femminile fa sì che l'argomento principale della drammaturgia di Kneubuhl, ovvero le ferite inflitte alla cultura locale dal passato coloniale, sia  rappresentato con una prospettiva che ingloba questioni di genere insieme a quelle di razza, classe e nazionalità. La predominanza di protagoniste femminili nel suo teatro è anche segno della prossimità temporale tra il Rinascimento Hawaiano (movimento di autodeterminazione culturale autoctona sviluppatosi negli anni Settanta del Novecento), cui si collega la sua opera, e i movimenti femministi del secolo scorso negli Stati Uniti.

Victoria Nalani Kneubuhl
Victoria Nalani Kneubuhl

L'ultima regina appare in due spettacoli di Kneubuhl, January 1893 (messo in scena nel 1993) e Trial of a Queen:1895 Military Tribunal, del 1995. Si tratta di raffigurazioni del passato hawaiano riconducibili al genere di living history, ovvero, dal punto di vista del linguaggio scenico, un ibrido tra i pageant e il teatro documentario. I pageant, di lunga tradizione nella cultura nordamericana, sono imponenti ed evocative recite storiche all'aperto, le rappresentazioni documentaristiche hanno come pietre miliari l'agit prop delle Bluse blu (Sinjaja blusa) nell'Unione Sovietica degli anni Venti, o gli spettacoli sul genere di L'istruttoria  (Die Ermittlung) del tedesco Peter Weiss, del 1965, che metteva in scena dei processi a funzionari nazisti appena avvenuti realmente.

Oltre a un teatro creativo di parola, la scrittrice ha infatti ripetutamente lavorato a una rielaborazione di fonti storiche teatralizzate per interrogare le rappresentazioni egemoniche della storia coloniale inserendo prospettive alternative che privilegino punti di vista e modalità comunicative native. Tale scelta, che risulta essere sia politica che estetica, accomuna l'attività teatrale di Kneubuhl a un più ampio panorama di teatro post-coloniale, che è stato di recente oggetto della ricerca accademica nel campo dei Pacific Studies. Il dramma storico come strumento pedagogico e politico, infatti, nella seconda metà del Novecento si è diffuso in molte culture sia anglofone che francofone dell'Oceania, da Guam alla Nuova Caledonia, dalla Nuova Zelanda a Samoa e Fiji.1

L'attenzione di Victoria Kneubuhl si è inevitabilmente rivolta a un momento storico cruciale per le Hawaii, e le rappresentazioni dei progetti di living history citati si sono svolte all'aperto nelle strade di Honolulu in occasione dei due centenari, quello della deposizione della regina nel 1893 e quello del processo inflittole due anni dopo. Un terzo progetto, Ho'Ohui Āina: The Annexation Debate, del 1998, ripercorre la questione dell'annessione delle Hawaii agli Stati Uniti un secolo prima. Gli eventi presi in considerazione per queste rappresentazioni sono tuttora un vulnus nella consapevolezza identitaria delle Hawaii contemporanee, in quanto sono all'origine dell'espropriazione culturale indigena e della perdita di autonomia nazionale. La regina Lili'huokalani, deposta da un gruppo di missionari bianchi con l'aiuto delle truppe militari degli Stati Uniti, è la figura controversa di una monarchia che è stata accusata di eccessiva debolezza e remissività ai limiti dell'infantilismo.

LHawaii Theatre di Honolulu nel 1941
L'Hawaii Theatre di Honolulu nel 1941

Ma le dinamiche storiche di quanto accadde nei pochi giorni cruciali del 1893 sono molto controverse, leggibili come colpo di stato vero e proprio o come deposizione di una monarca che cadde in trappola per mano di cospiratori il cui operato era stato sottovalutato. È ancor più significativo che parte della resistenza nei confronti degli “usurpatori” statunitensi, per la regina, prese la forma di una contestazione del modo in cui i media dell'epoca ritraevano lei stessa e il suo popolo. Come segnalano gli storici, la sua scelta di fare un'opposizione non violenta aveva radici contingenti oltre che culturali, in quanto la popolazione hawaiana era reduce da una decimazione dovuta alle epidemie e alla bassa natalità locale. Altre perdite umane sarebbero apparse una follia. 

Oltre a usare documenti originali come il discorso di abdicazione della regina in lingua hawaiana, Kneubuhl ingloba in January 1893 una grande quantità di citazioni dalla stampa dell'epoca,  aggiungendovi scene di fantasia, per creare un evento in cinque atti, della durata di quindici ore, con oltre quaranta personaggi parlanti e decine di altri comprimari. La performance si avvale di una figura intermediaria tra pubblico e azione scenica, una kupunawahine (“antenata”, in lingua hawaiana), che apre e chiude l'azione fornendo un senso di continuità storica e al tempo stesso una cornice straniante che obbliga il pubblico a sentirsi partecipe degli eventi, anche grazie a una ambientazione site-specific in cui i luoghi della vita quotidiana di Honolulu sono esattamente gli stessi evocati dalla rappresentazione e usati come setting.

Trial of a Queen e The Annexation Debate, invece, sono stati rappresentati in siti museali, anche per contrastare la funzione istituzionale di tali strutture nell'avallare versioni oligarchiche della Storia. Parte del secondo testo, per esempio, rivela documenti storici precedentemente ignorati dalla storiografia ufficiale, come un registro di centinaia di firme per una petizione contraria all'annessione agli Stati Uniti del 1898. Tali iniziative dimostrano il potenziale sociale del teatro, in quanto nei periodi immediatamente successivi alle rappresentazioni, a cavallo del ventunesimo secolo, il governo locale ha varato nuove leggi relative a questioni native, dimostrandosi particolarmente attento ai movimenti sovranisti hawaiani.

Il teatro Hasai Honolulu 1915
Il teatro Hasai Honolulu 1915

Dando voce a figure precedentemente marginalizzate o totalmente cancellate, e applicando una struttura dialogica (il processo e il dibattito), il teatro documentario di Kneubuhl diventa un caso di revisionismo storico, ma l'intera sua opera drammaturgica non è mai esente da uno sguardo analitico nei confronti del passato e delle sue rappresentazioni, che siano esse storiche o letterarie. In un testo più recente, Fanny and Belle, del 2004, mette in scena la vita, i viaggi e le tribolazioni delle due donne del titolo, rispettivamente moglie e figliastra del romanziere Robert Louis Stevenson, avvicinando in questo modo letteratura, arte, questioni di genere, migrazione (le due donne vissero in varie isole del Pacifico), storia, biografia e drammaturgia.

Il periodo d'oro del suo teatro coincide con gli ultimi due decenni del Novecento. Nel 1986 il Kumu Kahua Theatre di Honolulu, la più attiva e autorevole realtà teatrale dell'arcipelago, mette in scena Emmalehua, uno dei primi drammi di Kneubuhl a uscire dal circuito accademico nel quale l'artista aveva scritto e allestito i suoi iniziali esperimenti teatrali. Da studentessa era stata guidata da docenti, tra cui Dennis Carroll, che stavano cominciando a registrare la storia del teatro hawaiano e, conseguentemente, a incoraggiarne nuove voci. Storico del teatro e docente all'Università di Honolulu, Carroll infatti opera sia a livello pratico di laboratori e messinscene di spettacoli contemporanei, sia come studioso che per primo tenta di mappare la storia del teatro delle Hawaii, la cui nascita in alcuni manuali si fa risalire a John Kneubuhl, zio di Victoria Nalani, pioniere del teatro nel Pacifico negli anni Quaranta del Novecento.

Ma il panorama è più complesso, e John Kneubuhl è solo una delle tappe della storia teatrale delle isole, dove si distinguono due identità culturali – e teatrali: quella “locale” e quella “indigena hawaiana”, laddove la prima comprende sostanzialmente gruppi etnici asiatico-americani, con prevalenza di cinesi, giapponesi, coreani e filippini, che avevano formato la maggior parte della manodopera per le piantagioni nel diciannovesimo secolo, e la seconda esclusivamente discendenti dalla popolazione locale, detta Kānaka Maoli, risalente a prima del contatto con gli europei. Come minimo, quindi, bisogna retrodatare la nascita del teatro locale a qualche generazione precedente John Kneubuhl, ovvero al dramma di Ling-Ai Li The Submission of Rose Moy, rappresentato a Honolulu nel 1925.

Ling-Ai Li era ancora giovanissima e frequentava le scuole superiori quando scrisse questo testo, e da figlia di emigrati cinesi nelle isole Hawaii, portò in scena un ricorrente scontro tra la cultura tradizionale cinese e una prima, possibile assimilazione a una mentalità occidentale. Si tratta infatti della storia di una ragazza che il padre vuole far sposare con un magnate cinese che ha già tre concubine. Rose, invece, vorrebbe andare nell'entroterra, ovvero gli Stati Uniti continentali, grazie all'aiuto di un pittore che la ritrae per i suoi dipinti, il quale la vuole mandare a vivere a Berkeley dove studia sua sorella. È interessante che Rose non cerchi un marito sostitutivo a quello imposto, bensì aneli a studiare in California per poi diventare avvocatessa del suffragio femminile in Cina. Ancor più moderno il finale, che lascia lo spettatore sospeso sulla decisione definitiva, in quanto il dramma si chiude con Rose che legge una lettera della madre, in cui la donna le chiede di seguire il percorso previsto dalla tradizione per le ragazze cinesi. La cosiddetta “ansia da assimilazione” si stava imponendo come argomento dalle infinite sfaccettature, soggetto ideale per la qualità tridimensionale e pubblica del teatro.

Il personale direttivo del Kumu Kahua Theatre di Honolulu
Il personale direttivo del Kumu Kahua Theatre di Honolulu

Nel frattempo, nei primi anni del Novecento, mentre imperversavano alle Hawaii, come nel resto degli Stati Uniti, i pageant storici (quindi rappresentazioni storiografiche di taglio occidentale), le comunità asiatiche che costituivano il patchwork della popolazione dell'arcipelago si affidavano alle proprie convenzioni drammatiche di origine, prevalentemente il teatro classico cinese (compresa l'opera) e il kabuki giapponese. Contestualmente, nascevano anche piccole compagnie locali in cui, però, il repertorio era fondamentalmente di matrice occidentale e poco spazio, se mai ce n'era, veniva dedicato alla rappresentazione della vita hawaiana. Ling-Ai Li fu dunque con tutta probabilità la prima a dar voce in teatro e alle Hawaii, a una prospettiva critica sulla condizione così chiaramente liminale dell'arcipelago, luogo di soglia culturale, geografica e storica, tra Oriente e Occidente.

Li scrisse ancora per il teatro e vide le sue opere rappresentate a Honolulu fino ai primi anni Trenta, ma bisognerà aspettare la fine della seconda guerra mondiale perché nei teatri locali si assistesse a compagnie che veramente iniziassero a sperimentare una serie di ibridazioni linguistiche ed estetiche, segno che poi sarebbe stato riconosciuto come distintivo del teatro del Pacifico. È del 1935 un caso isolato, un pageant che è stato considerato la prima vera opera teatrale totalmente hawaiana, ovvero Ke Kuapuu Alii (Il Gobbo reale), scritta da Rowland Shepardson. Messo in scena con un cast di soli attori di diretta discendenza hawaiana, il dramma raccontava di due monarchi che nel dodicesimo secolo avevano regnato sull'arcipelago.

Alcuni autori che cominciavano a identificarsi come asiatico-americani (le definizioni di hyphenated American, gli “americani col trattino”, avevano poco appiglio su comunità che si continuavano a sentire asiatiche tout court), mescolavano tradizione occidentale ed orientale in rappresentazioni sincretiche particolarmente originali, mentre contemporaneamente entrava in scena anche l'uso del pidgin, il dialetto locale. La questione linguistica è molto significativa in generale per le comunità dislocate e ancor di più quando quella lingua diventa mezzo di espressione artistica, in special modo per il teatro, che è un'arte esperita in pubblico, non in privato.

Alani Apio a ds. con un giornalista radiofonico copia
Alani Apio a ds. con un giornalista radiofonico

Usare il pidgin in teatro significava metterne in evidenza la storia linguistica assai controversa. Quando le piantagioni di canna da zucchero nelle isole imposero l'acquisizione di manodopera straniera, i primi lavoratori migranti ad arrivare furono i cinesi, nel 1852. I proprietari delle piantagioni parlavano pidgin hawaiano sia con la popolazione kanaka, sia con i cinesi. I matrimoni interetnici tra kanaki e cinesi fecero sì che la versione hawaiana del pidgin si diffondesse sempre più, tanto che, quando nel 1868 arrivarono i primi migranti giapponesi, essi furono costretti a impararlo per comunicare con i piantatori e con le altre comunità di lavoratori.

Dopo pochi anni l'esplosione economica delle isole impose ulteriori arrivi di manodopera dall'estero, e alle comunità già esistenti si unirono portoghesi, coreani, portoricani e filippini. Questa grande varietà etnica e di nazionalità fa sì che al pidgin hawaiano si sostituisca, negli anni a venire, una variante di inglese pidgin che prende il nome di Inglese Creolo Hawaiano, in cui i linguisti hanno rintracciato la confluenza di cantonese, inglese standard, olelo Hawaii (la lingua autoctona), giapponese e portoghese. Se nel 1896 arriva il primo divieto di usare nelle scuole il pidgin e la lingua hawaiana, entrambi gli idiomi rimangono nell'uso quotidiano, ma  dopo la seconda guerra mondiale chi parlava pidgin era ancora vittima di pregiudizio ed emarginazione, in quanto ritenuto di intelligenza inferiore rispetto a chi parlava l'inglese.

La cultura novecentesca dell'arcipelago si conferma subito necessariamente inclusiva e multietnica, ma al tempo stesso in alcuni casi fratturata: nelle grandi piantagioni c'erano dei teatri specifici per i lavoranti di quelle terre, mentre in città le varie comunità costruivano strutture teatrali a proprio uso esclusivo. Sebbene di brevissima durata, l'Asahi fu il primo teatro per rappresentazioni giapponesi, costruito nel 1899 e distrutto da un incendio l'anno successivo. Fu ricostruito nel 1908 non lontano da un teatro cinese, denominato Honolulu-za, fondato nel 1903 (nonostante le inimicizie storiche tra Cinesi e Giappponesi, o forse proprio a causa di esse, avvenivano delle appropriazioni/ espropriazioni di zone urbane, e l'Honolulu-za da cinese divenne presto dedicato solo al pubblico giapponese). Molti di questi edifici si prestarono poi alla proiezione di film muti e, dalla fine degli anni Venti, al cinema sonoro, per poi ospitare spettacoli di burlesque e del tipico vaudeville americano negli anni Quaranta. Mentre imperversavano spettacoli musicali che andavano dalle più sofisticate opere liriche europee a concerti e cabaret, i pionieri della drammaturgia locale, Willard Wilson negli anni Quaranta e Dennis Carroll nei decenni successivi, incoraggiavano una scrittura teatrale più impegnata, che facesse uso del Creolo Hawaiano e che affrontasse le scottanti questioni di appartenenza etnica minacciate dall'americanizzazione o viste, a seconda della prospettiva, come ingredienti da fondere nel melting-pot multirazziale.

In questo modo, il pidgin diventa in grado di proiettare in maniera immediata l'identità locale multietnica e quella hawaiana e di portare in scena una vasta gamma di emozioni tramite l'inclusività linguistica e culturale che contraddistingue le isole dell'arcipelago. L'alternanza di pidgin e inglese standard all'interno di un dramma segnalava quindi, in modo molto diretto, il livello di assimilazione linguistico-culturale dei protagonisti. È tuttora spesso un marcatore generazionale, con gli anziani che ne fanno maggior uso rispetto ai giovani, tendenzialmente assimilati linguisticamente all'inglese nordamericano.

Lautore teatrale hawaiano Edward Sakamoto
L'autore teatrale hawaiano Edward Sakamoto

Ciò sarà riscontrabile nel teatro dei maggiori autori hawaiani del Novecento, Edward Sakamoto, Darrell H. Y. Lum, Alani Apio e la stessa Victoria Kneubuhl. Anche solo i nomi di questi artisti segnalano come ci si trovi in territori in cui l'americano bianco anglosassone per molti decenni continua a essere una minoranza (ancorché aggressiva e invasiva) e il massimo di avvicinamento alla cultura nazionale avviene con la definizione di asiatico-americani per coloro che fino a poco prima si sentivano esclusivamente asiatici – o hawaiani d'adozione.

Si giustappone a questa produzione di forte stampo etnico quello che in paragone appare come il timido apporto angloamericano di Waikiki Diary, scritto nel 1945 da due marines di stanza nelle isole, uno spettacolo comico e musicale che raccontava in chiave umoristica lo scontro culturale tra i due mondi. L'anno di svolta per la drammaturgia delle isole è il 1947, in cui vengono messi in scena tre testi cruciali: l'ultimo grande pageant locale, Ke Kula Nui (La grande scuola), dedicato dal professor Willard Wilson alla nascita e sviluppo della Università delle Hawaii; un dramma in lingua pidgin intitolato Reunion (di Lisa Toishigawa Inouye) e The Harp in the Willows di John Kneubuhl. 

Manoa Valley di Edward Sakamoto copia
Manoa Valley di Edward Sakamoto

L'importanza di Wilson nello sviluppo del teatro hawaiano non può essere sovrastimata: negli anni raccolse tutte le tracce di rappresentazioni nell'arcipelago prima del Novecento e stimolò giovani studenti dei suoi corsi di scrittura creativa a dedicarsi al teatro, decidendo di pubblicare in dodici volumi i loro drammi scritti tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, convinto, come ebbe a dire, che molti di essi meritassero di avere una vita al di fuori del quaderno di uno studente. Tra i suoi allievi c'era John Kneubuhl, arrivato alle Hawaii dalle isole Samoa in età scolastica e attivamente deciso a dare una voce e un palcoscenico all'identità insulare del Pacifico.

Le due opere del 1947 di John Kneubuhl segnano la strada che percorrerà più frequentemente la drammaturgia hawaiana nei decenni successivi, ovvero da una parte uno sguardo al passato pre-coloniale, rintracciabile in The Harp in the Willows (L'arpa tra i salici), ambientato nei primi anni dell'Ottocento, dall'altra una visione del presente, turbolento e conflittuale, delle Hawaii del Novecento, come nel suo The City is Haunted (La città è stregata). La storia dell'arcipelago è   l'argomento rappresentato in The Harp in the Willows, in cui campeggia la figura del missionario Lorenzo Lyons, che nella prima metà dell'Ottocento visse a lungo nell'isola di Ohau2, parlava fluentemente la lingua hawaiana e si dedicò per anni ad assistere i bisognosi della popolazione locale. Il dramma era in inglese, ma conteneva non pochi dialoghi in lingua hawaiana.

Nello stesso anno, Reunion, della Toishigawa, usava il pidgin nei dialoghi, il che suscitò un grande interesse nel pubblico, che si rispecchiava nella lingua del protagonista, un veterano di guerra giapponese che si doveva riadattare alla vita civile. Ma il 1947 è anche l'anno del fenomeno Tennessee Williams a Broadway con Un tram che si chiama desiderio, autore cui, negli stessi anni si avvicinava Arthur Miller, con il suo Morte di un commesso viaggiatore. Due drammi e due autori che per la prima volta davano al teatro americano una voce distintiva a livello globale. Considerando che negli stessi anni si assiste anche al boom del musical, gli storici hanno visto in questa predominanza culturale della costa Est un possibile motivo del declino delle attività teatrali appena nate nelle isole Hawaii.

Nei teatri locali, infatti, negli anni Cinquanta  non si esprimevano voci destinate a lasciare un segno, fatta forse eccezione per James Mishima, che portava in scena la depredazione sessuale di un bagnino hawaiano da parte di certo turismo predatorio nel suo dramma Hoomalimali, del 1953. Con John Knuebuhl, che lascia l'arcipelago per andare a lavorare a Hollywood nel 1949, il teatro nelle Hawaii batte un primo colpo di arresto. Sarà la premiazione di un testo del 1961, In the Alley (Nel vicolo) di Edward Sakamoto a segnare la rinascita della drammaturgia locale. Ambientato, come indica il titolo, in un vicolo di Honolulu, il testo rappresenta un gruppo di ragazzi locali, i loro sogni, i loro rituali adolescenziali, e una fisicità inespressa, che trova visibile espressione spettacolare nelle lotte che ingaggiano gli uni contro gli altri e, nel finale, contro un haole, ovvero un caucasico, come si dice in lingua hawaiana, che commette ai loro occhi il peccato di flirtare con una ragazza autoctona.

Nel 1971 l'altro grande padre del teatro hawaiano, Dennis Carroll, fonda il Kumu Kahua Theatre, e il palcoscenico dell'arcipelago è pronto per la sua vera rinascita. Sono gli anni del Rinascimento Hawaiano, e il pidgin fa il suo ingresso sui palcoscenici del teatro di intrattenimento popolare, grazie anche a Rap Reiplinger, fondatore della compagnia di teatro comico Booga Booga, considerato a tutt'oggi il genio della comicità hawaiana tutt'altro che politicamente corretto.

All'estremo dello spettro delle potenzialità del teatro, opposto al puro intrattenimento della satira di Reiplinger c'è il teatro educativo per le scuole, a lungo praticato da Tremaine Tamayose, anche lei affidatasi a un multilinguismo che include il  pidgin, che le permetteva di parlare anche a un pubblico solitamente sospettoso nei confronti delle attività didattiche ufficiali. It's School, Brah, del 1976 trattava l'abbandono scolastico, Lovetown, del 1976, le dipendenze dalla droga e dal sesso, 'Onolulu, 1978, il razzismo nelle scuole e Big Boys Don't Cry, del 1980, affrontava l'aumento di comportamenti criminali nei giovani maschi.

La funzione pedagogica del teatro nell'arcipelago è sentita in maniera profonda ed è stata applicata alla propria scrittura anche da Victoria Kneubuhl. Tra i suoi drammi, il testo più noto per le scuole è Ka Wai Ola, del 1998, commissionatole dall'Honolulu Theatre for Youth (compagnia di teatro per giovani fondata nel 1955) per trattare la questione della conservazione territoriale hawaiana e del diritto all'acqua. Il titolo, infatti, signfica “l'acqua viva” in lingua ʻōlelo Hawaii.

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Joshua B. Tavares, Kahiau Machado e Stuart Featheran nella trilogia Kamau di Alani Apio
attualmente in scena al Teatro Kumu Kahua di Honolulu. Foto Kumu Kahua Theatre

Sakamoto, come John Kneubuhl, a metà degli anni Sessanta cede anch'egli all'attrazione del continente e si unisce a una delle prime compagnie teatrali asiatico americane, la East West Players di Los Angeles, ma torna alle Hawaii e riprende temi hawaiani venti anni dopo, quando la struttura produttiva del Kumu Kahua è in piena attività. Nei suoi maggiori successi, Manoa Valley (La valle di Manoa, 1985), Stew Rice (Riso a vapore, 1987), Aloha Las Vegas (1991) e nella trilogia Hawaii No Ka Oi (1993) il tema ricorrente e fulcro dell'azione scenica è il percorso di almeno uno dei personaggi che si trova a dover esplorare il significato di “casa” nel senso di appartenenza locale e non solo domestica.

Anche nei casi in cui non venga direttamente rappresentato un trasloco, esso è alla base delle tensioni in atto, come nel caso del legame d'amicizia fra i tre protagonisti di Stew Rice, infranto da esperienze inconfondibilmente legate a un cambio di casa. La relocation nel continente (che si tratti di Los Angeles o Las Vegas), esperienza comune ai personaggi del suo teatro, li porta a meditare su quanto quella home di provenienza (e quindi dimora fisica, terra d'origine, patria) sia connessa indelebilmente a un luogo fisico dell'infanzia e della prima maturità; se ci si porta la “casa” con sé nel momento in cui la si lascia; quanto di essa, volendo, ci si può portare; quanto si venga cambiati da un trasferimento geografico e, infine, se sia mai possibile “tornare a casa”. Strutturalmente, questi drammi condividono più elementi anche con l'opera di Victoria Kneubuhl. Come accade sia nei living histories, sia in altri testi dell'autrice, l'azione è spesso presentata tramite un personaggio narratore, una tecnica straniante di origine brechtiana, volta a coinvolgere il pubblico, ad attualizzare la rappresentazione, ad avvicinare il più possibile le Hawaii in scena alle Hawaii reali e le Hawaii del passato alle Hawaii del presente. Shima, che in Stew Rice ha esattamente questo ruolo, apre  il dramma con un monologo che racchiude molti richiami a temi fin qui esposti:

Ciao. Benvenuti alle Hawaii del 1957. Be', dovete usare l'immaginazione. Queste sono le  Hawaii prima di diventare il cinquantesimo stato. Quando il rock'n'roll era l'ultimo grido, ma  c'era ancora chi riempiva le sale cantando le canzoni popolari della tradizione hawaiana. Quando il Royal Hawaiian e il Moana eerano i migliori alberghi di Waikiki. Mi chiamo Russell Shima. Shima in giapponese significa “isola”. Nel continente mi chiedono spessop se il mio nome significa qualcosa di specifico. A volte dico che significa “Tartaruga che emerge dal mare senza carapace”. Piace da morire.

Il già citato Emmalehua, di Victoria Kneubuhl, è ambientato nel 1951, buona parte di Stew Rice nel 1957, entrambi prima che le isole diventassero il cinquantesimo stato dell'Unione nel 1959. La scelta di raccontare il passato prossimo conferma che l'identità culturale hawaiana era lungi dall'essere una questione risolta, e il richiamo tutt'altro che edulcorato e oleografico a un'epoca precedente si presta a un intreccio tra le vite private di questi personaggi e la vita della nazione. Più che il racconto di un paradiso perduto, queste evocazioni di un preciso momento storico inscenano le lacerazioni personali e collettive con le quali erano costretti a fare i conti gli abitanti delle Hawaii, il cui processo di americanizzazione, non privo di attriti e contraddizioni, non terminava certo con i vari passaggi istituzionali e regolamentazioni amministrative ufficiali.

Dopo i traumi inflitti dalle leggi marziali conseguenti all'attacco a Pearl Harbor del 1941 e dopo le lotte sindacali esplose alla fine del decennio, gli anni Cinquanta, sfondo di questi drammi rappresentati trent'anni più tardi, furono caratterizzati da una nuova e maggiore pressione socio-politica ad abbracciare con entusiasmo l'assimilazione al modello standardizzato della vita a stelle e strisce, ignorando tutte le conseguenti perdite che questo processo avrebbe portato con sé. Al tempo stesso, con una frenetica trasformazione dell'economia dalla produzione delle piantagioni al turismo di massa, le caratteristiche culturali locali (danza e canto in particolare, ma anche la gastronomia e la pratica del surf, per esempio) venivano velocemente trasformate da elementi di identità tradizionale a beni vendibili al vasto pubblico che costantemente visitava le Hawaii e ne consumava queste rappresentazioni alterate.

È in tale dimensione che si muovono Emma e il marito Alika in Emmalehua. Kaheka, il padre di Emma, si lamenta dell'ibridazione in atto e del rischio di totale perdita culturale: “Sapete, ben presto l'unico posto in cui potrete vedere un hawaiano vero sarà il museo, bello imbalsamato come un uccello, un uccello estinto”. È tale la mercificazione dell'identità hawaiana, che la danza – hula – che un tempo era espressione della spiritualità autoctona, viene esportata e venduta esattamente come gli ananas prodotti nelle isole. Nella superficialità di uno dei personaggi, la bellezza delle Hawaii viene evocata da un volgare e artificiale spettacolo a Las Vegas:

Sapete, cavolo, quando ero a Las Vegas l'estate scorsa ho visto lo spettacolo hawaiano più fantastico di sempre. […] Mamma mia, dovevano esserci almeno cinquanta ragazze che danzavano la hula tutte insieme sul palco. E i costumi che avevano, con piume e fiori! Colori a non finire... ti faceva venire voglia di saltare su una nave e venire qui.

Ai conflitti familiari e al recupero della tradizione spirituale tramite la funzione del rito, in Emmalehua si aggiunge il tema della protezione del territorio hawaiano, necessaria per contrastare l'avanzamento della cementificazione cui Emma si oppone anche grazie al suo incontro con un indiano Cheyenne, Clearwater (il suo nome significa proprio “acqua pura”), col quale si troverà in sintonia, in opposizione ad Alika, che crede nel sogno americano di consumismo e assimilazione. La consapevolezza ecologica di Victoria Kneubuhl, non limitata a questo testo, segnala l'attenzione ai temi ambientalisti da parte degli artisti hawaiani. L'espropriazione del territorio è al centro anche di due drammi di Alani Apio, Kāmau, del 1994 e il suo seguito Kāmau Aʻe, del 1998, opere in cui l'autore denuncia le ferite inflitte all'arcipelago dall'avvento del turismo di massa, i conseguenti compromessi cui si trovano obbligati i giovani locali, e le dinamiche di genere coinvolte in tali avvenimenti.

In quanto guida turistica, il protagonista di Kāmau, Alika, ha la stessa funzione straniante di Shima e dei narratori/narratrici del teatro di Kneubuhl, nei momenti in cui svolge le sue funzioni di intermediario tra i turisti e la visione convenzionale, commercializzata, del mito paradisiaco delle Hawaii. Ancora una volta è significativo, al livello strutturale, che uno di questi momenti sia in apertura (e poi, esattamente replicato, in chiusura) del dramma, quando viene presentato il personaggio: 

ALIKA: (si mette a sedere sul letto mentre si veste per andre al lavoro. Si rivolge al pubblico) Aloooohaaa!

(aspetta la reazione del pubblico, non ne è soddisfatto, invita gli spettatori a rispondere)

Alooohaa!

(il pubblico risponde calorosamente)

Mahalo, e benvenuti alla “Visita guidata all'isola di Oahu” organizzata per voi dalla Aloha Tours. Io sono Alika e oggi sarò la vostra guida.

Ciò che Alika propone come guida turistica negli spazi geografici dell'arcipelago, questa breve introduzione al teatro hawaiano del Novecento lo propone nei tempi storici, da una origine amatoriale a uno sviluppo sempre più consapevole e professionale del mezzo drammatico. Victoria Nalani Kneubuhl è la punta di diamante di una drammaturgia molto attiva in tutto il secolo scorso, che ha visto nei decenni l'alternarsi di rapporti di forza tra le tradizioni locali e quelle dell'assimilazione all'American Way of Life. La specificità di questa letteratura teatrale è dovuta alla ricchissima diversificazione della componente “locale”, che non si limita alla cultura hawaiana derivata dai tempi precedenti il contatto con l'Occidente – e raccontata magistralmente da Kneubuhl – ma ingloba la grande vastità di etnie che hanno costituito il patchwork della popolazione dell'arcipelago mettendo in minoranza l'americano WASP. Con una netta predominanza della tradizione giapponese e cinese, con la loro fusione nell'identità asiatico americana, e grazie alla presenza di altre comunità (quella filippina, per esempio, è rappresentata dalla stessa Kneubuhl nel suo dramma Paniolo Spurs del 1994), la cultura teatrale delle Hawaii è uno degli esempi più efficaci dell'ibridazione culturale e linguistica offerta dal teatro nel Novecento.

Una recente rappresentazione di Da Maya di Lee Cataluna
Una recente rappresentazione di Da Maya di Lee Cataluna

Oggi, nel ventunesimo secolo, è di Lee Cataluna la voce più attiva sui palcoscenici delle Hawaii, e non solo. La sua identità culturale sembrerebbe il coronamento dei percorsi delle tendenze precedenti, le differenze non sono diversità ma inclusione, e il suo è un teatro di parola che parla come la gente comune di beghe familiari, generazioni a confronto, problemi di convivenza e di interazione sociale, non trascurando la politica locale che assurge a schema universale. Con un tocco leggero, Cataluna racconta rapporti tragicomici, spesso nelle grandi famiglie allargate sia numericamente che culturalmente, e porta in scena le Hawaii contemporanee in drammi come Da Mayah (Il sindaco), che l'ha resa famosa, Home of the Brave (La terra dei coraggiosi), Heart Strings (Legami di cuore), o il più recente Flowers of Hawaii (Fiori delle Hawaii).

1 Diane Looser, Remaking Pacific Pasts: History, Memory, and Identity in Contemporary Theater from Oceania, University of  Hawaiʽi Press, Honolulu 2014.

2 In particolare, stabilì la parrocchia congregazionalista di Waimea, nell'isola di Ohau, nell'arcipelago delle Hawaiʽi. Per comprendere quanto le isole fossero fuori dalle rotte battute, basta pensare che Lyons si imbarcò a Boston nel novembre del 1831 e arrivò nell'arcipelago nel maggio dell'anno successivo.

Ultima modifica il Giovedì, 20 Febbraio 2025 05:47

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