venerdì, 25 aprile, 2025
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"L’AVVENTURIERO" DELL'AUTRICE/LIBERTINA INGLESE AL TEATRO DUE - CONVERSAZIONE COL REGISTA GIACOMO GIUNTINI. -di Nicola Arrigoni

DaSx M. Aceti, F. Tripaldi, L. Nucera in "L’avventuriero", regia Giacomo Giuntini. Foto Andrea Morgillo DaSx M. Aceti, F. Tripaldi, L. Nucera in "L’avventuriero", regia Giacomo Giuntini. Foto Andrea Morgillo

Il carnevale di Aphra Behn e il mondo è sottosopra
L’avventuriero dell’autrice/libertina inglese al Teatro Due
Conversazione col regista Giacomo Giuntini
di Nicola Arrigoni

La sensazione è quella di essere immersi in una sorta di altro mondo, di tornare indietro nel Seicento, in una festa carnevalesca un poco boccaccesca con amorazzi, tentati stupri, frequenti duelli fra spadaccini, fra donne destinate al convento, e bell’imbusti nel pieno della vigoria sessuale. L’avventuriero di Aphra Behn, drammaturga elisabettiana molto studiata e poco messa in scena in tempi contemporanei, una sorta di femminista ante litteram, donna scrittrice e un po’ puttana ha trovato casa al Teatro Due. Lo Stabile di Parma ha prodotto L’avventuriero, pièce tradotta da Luca Scarlini e per l’occasione pubblicata da Cue Press, con la regia di Giacomo Giuntini e con un cast numeroso e assortito in cui spiccano l’energia di Lucia Lavia, irrequieta fanciulla che vuole fuggire dalla clausura e Stefano Guerrieri, il prestante avventuriero del titolo, un Marc’Antonio con pulsioni erotiche a go go, insomma un maschio alpha in tutto e per tutto. A fare loro da cornice un nutrito gruppo di attori: : Massimiliano Aceti, Valentina Banci, Cristina Cattellani, Luca Cicolella, Laura Cleri, Rosario D’Aniello, Irene Paloma Jona, Davide Gagliardini, Viviana Giustino,, Nicola Lorusso, Luca Nucera, Salvo Pappalardo, Giovanna Chiara Pasini, Massimiliano Sbarsi, Francesca Tripaldi che si agita, balla, corre e contribuisce a dare corpo a una coralità festosa in una cornice scenica in cui il pubblico si ritrova immerso nell’azione. Tutto accade in uno spazio rettangolare, il pubblico sta sui lati maggiori e la scena si sviluppa fra quattro entrate/uscite con uno dei lati minori occupato da una sorta di balaustra/palazzo che molto richiama il teatro The Globe, uno sforzo scenico che profuma di filologia così come i costumi di Andrea Sorrentino. La messinscena de L’avventuriero, testo della prima autrice professionista della letteratura inglese, non può che leggersi in un percorso più ampio che fa incontrare la pratica scenica con lo studio accademico ed in questo contesto va letto il convegno dedicato alla scrittrice che ha riunito personalità internazionali, le massime esperte di Aphra Behn

In merito osserva Giacomo Giuntini, non solo regista dello spettacolo, ma curatore dell’intero progetto: «Credo che i teatri stabili debbano pensarsi sempre come additivi culturali, come motori di reazioni alchemiche in cui ragione e poesia possano convivere e potenziare l'immaginario e lo spirito critico di cittadine e cittadini. In questo senso, pensare in termini progettuali è forse più fecondo che non focalizzarsi sulla fabbrica dello spettacolo - analizza -. Poi, nel caso particolare di Behn era fondamentale allargare i confini d'azione proprio per la scarsa conoscenza dell'autrice e della sua opera, che quindi è stato giusto affrontare da varie angolazioni. Ovviamente quella teatrale ha trovato corpo in un lavoro insieme ad una compagnia di 18 fra attrici e attori su L'avventuriero, tradotto per l’occasione da  Luca Scarlini, proprio per partire da zero nell'approccio al testo, fin dal titolo, che in Italia è stato tradotto Il Giramondo. La proposta di Scarlini, invece, è stata quella di virare su L'Avventuriero e ha avuto il senso di abbandonare una visione da globetrotter scanzonato e di abbracciare più possibilità interpretative, non tutte solari e luminose, rispetto soprattutto a Wilmore, il protagonista».

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L’avventuriero, regia Giacomo Giuntini. Foto Andrea Morgillo

Alla messinscena de L’avventuriero si sono affiancate alcune letture sceniche di testi poco noti di Aphra Behen, Oroonoko - Lo schiavo Reale e La monaca - La bella che trasgredì il voto, non privi di temi e riflessioni di grande interesse: «Basti pensare alle posizioni rispetto alla schiavitù e al colonialismo espresse da Aphra Behn in Oroonoko, che sono ancora oggi oggetto di dibattito – spiega Giuntini -. Ed è in questa corniche di senso e di approfondimento che si è svolto il convegno internazionale, organizzato da Fondazione Teatro Due insieme all'Università di Parma e al professor Diego Saglia, convegno che è stato patrocinato da numerose istituzioni internazionali, fra cui Oxford, Cambridge, con l’intento di scandagliare Aphra Behn da vari punti di vista, come autrice di prosa e di teatro. A questi aspetti sono stati dedicati gli interventi delle professoresse Janet Todd, Rose Ballaster, Elaine Hobby e dei professori Diego Saglia e Luca Scarlini. L’autrice anglosassone è stata analizzata come figura dell'immaginario contemporaneo, qui cito l'intervento della professoressa Francesca Saggini, come oggetto di riscoperta novecentesca, qui è stata la professoressa Riliana Rampello a introdurre il tema. Altri interventi hanno avuto il senso, invece, di inquadrare Behn nella sua epoca, nelle novità di quel momento. La professoressa Maria Chiara Barbieri e il professor Masolino D'Amico hanno trattato dell'arrivo delle donne sui palcoscenici della restaurazione e dei Cartwights, fra cui il conte di Rochester, John Wilmot, figura importante per Aphra Behn e per l'avventuriero. La traduzione de L’avventuriero è stata pubblicata da Cue Press cui affideremo anche gli atti del convegno. Stiamo anche lavorando alla realizzazione di un documentario dedicato ad Aphra Ben».

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L’avventuriero, regia Giacomo Giuntini. Foto Andrea Morgillo

L’oblio calato sulla scrittrice è così letto da Giuntini che osserva: «Aphra Behn  è stata una libertina, un artista e pensatrice libera e provocatoria. Nel momento in cui cambia il gusto, con l'attenzione alla bien séance settecentesca e ancora di più al rigorismo dell'epoca vittoriana, i tratti più specifici dell'opera di Behn non sono tollerati – racconta -. Va detto comunque che anche durante la sua vita è stata ferocemente criticata, soprattutto le critiche si concentrarono sul plagio e sull'oscenità». La messinscena de L’avventuriero oltre ad essere stato un notevole sforzo produttivo per lo Stabile di Parma, rappresenta un modo per rendere giustizia all’autrice e alle sue aderenze con la nostra contemporaneità, per quanto in un contesto di teoriche e pratiche teatrali molto sbilanciato sulla necessità di una fedeltà filologica all’autrice e al mondo scenico da cui proviene. «Fra le opere teatrali di Aphra Ben, credo che The Rover sia fra le più significative rispetto a molte tematiche, ma anche in termini strutturali. Behn guarda alla commedia d'intrigo spagnola e, non a caso, la vicenda è piuttosto intricata. Ci sono nell'Avventuriero almeno tre plot principali che convivono, a cui si aggiunge l'ulteriore garbuglio dettato dall'ambientazione carnevalesca con tutti i mascheramenti del caso – spiega il regista -. Credo l'intento dell'autrice sia stato quello di evidenziare una certa inafferrabilità del reale, forse per farci riflettere sullo scarto che si crea tra ricerca dell'autenticità e necessità di mascheramento. Tutte le dame di Spagna della vicenda si mascherano continuamente e cambiano tipologia di mascheramento nel corso degli atti e così cercano di rendere tangibile la possibilità di attuazione del desiderio individuale. Se uscissero di casa con i propri abiti non potrebbero, sono aristocratiche, Elena per di più sta per diventare monaca». 

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L’avventuriero, regia Giacomo Giuntini. Foto Andrea Morgillo

Il tema del travestimento nell’intricata vicenda finisce con l’assumere diversi significato: «Al tempo stesso però il travestimento diventa un pericolo, infatti vengono scambiate per zingare, poi per prostitute e soprattutto Florinda rischia di essere violentata più di una volta, fino al limite dell'incesto nel quinto atto e solo il recupero dell'abito sociale garantisce incolumità e sicurezza. Quindi che fare, rinchiudersi nel rigore rassicurante e autoritario del verdugale o rischiare l'ebrezza libertina attraverso la maschera?». Ci sono altri aspetti che il testo mette in evidenza, come osserva Giuntini: «Il tema del libertinismo è poi un altro aspetto fondamentale e bisogna intenderlo in senso ampio, non si tratta solo di sfrenatezza sessuale, teniamo conto che l'opera viene composta in un momento storico di grande riscoperta della corporeità, dopo il rigorismo dell'interregno puritano, ma soprattutto si parla di libertinismo, si parla soprattutto di libertà dello sguardo, del pensiero, e dopo tutto la seduzione è un atto del pensiero e dell'immaginazione, non tanto delle mutande. Non sarà un caso se nello stesso giro d'anni, oltre al rifiorire dell'arte, della poesia, c'è una forte spinta anche al pensiero filosofico scientifico, nel 1660 viene fondata la Royal Society. È interessante il fatto che mentre la visione libertina del mondo viene portata avanti in modo assertivo, quasi apodittico per quello che riguarda il mondo maschile, si pensi alle tante battute di Wilmore in questo senso, i personaggi che invece si incaricano di declinare il libertinismo al femminile, soprattutto parliamo di Elena e di Angelica Bianca, procedono attraverso una problematizzazione dialettica, fanno e si fanno domande». 

La complessità di un testo come L’avventuriero ha una sorta di contesto/chiave d’interpretazione che il contesto carnevalesco «che abbiamo assunto come elemento drammaturgico e non tanto, o non solo almeno, come periodo d'ambientazione della vicenda – spiega - Senza incomodare Bachtin, sappiamo bene che il carnevale è il momento del disordine, dell'inversione legittimata dell'ordine, ciò che sta in alto può scendere in basso e ciò che sta in basso può andare in alto. Ecco, questa creazione di un mondo alla rovescia, come è stato definito dallo storico Christopher Hill, è stato un rischio reale durante le guerre civili inglesi degli anni 40 del Seicento, in cui per un momento molti si erano convinti di poter estendere libertà, concessioni economiche, politiche, culturali, sociali, religiose, di estenderle ad ampi strati della società. Sappiamo che poi non è andata così, dopo il carnevale inizia la quaresima e forse questo carnevale partenopeo, nelle intenzioni dell'autrice, vuole essere anche un richiamo ai disordini che dilaniarono il paese per anni, per questo la decisione di lavorare sul carnevale cercando di guardarlo con gli occhi dei quattro cavalieri inglesi in esilio che sostanzialmente arrivano a Napoli per fare turismo sessuale e qui devo citare lo straordinario lavoro fatto sui costumi da Andrea Sorrentino e sui combattimenti scenici curati dal maestro Renzo Musumeci greco, che potenziano questa sensazione di fascino e pericolo che precipitano l'uno nell'altro. Inoltre penso che la disposizione dello spazio a pianta centrale possa consentire al pubblico di essere immerso all'interno tanto di angiporti quanto di palazzi aristocratici e di avere combattimenti scenici e licenziosità fugaci a pochissima distanza».

Ultima modifica il Venerdì, 28 Marzo 2025 14:34

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