giovedì, 28 marzo, 2024
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Sergio Torresani a vent'anni dalla morte di Nicola Arrigoni

Sergio Torresani e Eugène Ionesco Sergio Torresani e Eugène Ionesco

Sergio Torresani, critico dal sorriso gentile
La passione del teatro e la militanza a «Sipario»

Cronache e critiche teatrali per molto tempo sono state quasi le uniche testimonianze di un fare teatro di per sé labile, che al chiudersi del sipario si affida alla memoria dello spettatore e di quello spettatore professionista e armato di penna che è un 'buon critico teatrale'. Oggi non è più così, il moltiplicarsi dei mezzi di registrazione mediatica rendono la scrittura critica e le cronache teatrali quasi antiche, se non anacronistiche. Non è sempre così, verrebbe voglia di dire, non è così rileggendo- a vent'anni esatti dall'improvvisa e tragica scomparsa il 23 ottobre 1992 - quanto Sergio Torresani scriveva su «Sipario»: dalle recensioni agli articoli di più ampio respiro, dedicati all'amato Goldoni, a Ionesco, piuttosto che a Jean Genet. Ben rende il ricordo di Sergio Torresani quanto nel novembre 1992 il direttore di Sipario Mario Mattia Giorgetti scrive alla moglie di Torresani, Lidia: «L'espressione sorridente nel venirti incontro, sia nelle saltuarie visite in redazione, sia a una 'prima teatrale', è l'immagine visiva immediata che appare nel ricordo di un collaboratore divenuto un amico, un Sergio Torresani sempre disponibile a una richiesta di lavoro, sempre attento a quanto accadeva nell'ambiente teatrale per presentare una proposta che, grazie alle sue riflessioni, superava il limite della contingenza cronachistica».
La militanza critica di Torresani per «Sipario» è militanza di cronista e saggista, è lezione che perpetua un impegno intellettuale mai improvvisato e superficiale, eppure sensibile all'attualità, perché ben radicato nel sapere del teatro e nella sensibilità d'analisi. Per «Sipario» Sergio Torresani traduce con grande fedeltà testuale e lessicale all'originale Il Condannato a morte di Jean Genet, lo fa con una tenuta linguistica e una precisione metrica che danno conto non solo dell'esperto di teatro, ma anche del letterato. Con grande acume critico firma un'articolata e affettuosa prefazione al volume pubblicato dal mensile che raccoglie le Commedie da applaudire e commedie da fischiare di Carlo Terron con cui intrattiene un rapporto epistolare fatto di quella ironia e accortezza che sa d'altri tempi e soprattutto si nutre di una lunga e affettuosa frequentazione. Il 20 agosto 1965 Carlo Terron scrive a Sergio Torresani: «Caro Torresani, la sua lettera riflette le qualità dell'uomo. Si guardi da una: la modestia. Quando essa è eccessiva diventa un difetto e un elemento di solitudine. Il mondo purtroppo è cosiffatto. Lo si impara a proprie spese. Una cosa mi preme ribadire personalmente: la sorpresa, la soddisfazione di un incontro tra due intelligenze delle quali il vantaggio alla generosità pende dalla sua parte. L'incontro offertomi è un regalo. Ben lieto e impaziente di una lunga e corroborante chiacchierata». La missiva di Carlo Terron dice di una sintonia, di una cultura della parola e dello scrivere che si incide nell'anima. Non è un caso che Torresani definisca Carlo Terron. «intricato come una matassa (i cui fili sono sempre intricati con ordine) e nitido come un cristallo; vario di toni e di timbri, come sono vari e la vita e gli umori di noi, poveri mortali: al colpo più scanzonato, alla sferzata più dura segue, rapidissimo, il lampo che entra giù, a far luce sull'anima». Che si tratti di recensire uno spettacolo o piuttosto di compiere un saggio o un articolo di ampio respiro su un autore o un regista, Sergio Torresani mostra una lucidità di analisi e una chiarezza di scrittura che oggi fanno ancora breccia e che, malgrado un linguaggio segnato dal tempo, fanno riflettere sul ruolo del critico quale tramite, mediatore fra chi fa lo spettacolo e chi lo fruisce, diviso fra palco e platea, né dell'uno né dell'altra eppure solidale con entrambi gli spazi del fare teatrale. Tutto ciò si ravvisa nella biografia del critico e intellettuale. Torresani fu personalità poliedrica, formatosi con Mario Apollonio, fondatore dell'indirizzo di Comunicazioni sociali della Cattolica, e, insieme a Giorgio Strehler e Paolo Grassi, ideatore del Piccolo Teatro. Tanti i saggi dedicati ad autori italiani: l'amatissimo Carlo Goldoni, Diego Fabbri, Carlo Bertolazzi, documentatissime e di acuta e intelligente lettura le monografie pubblicate da Mursia, Invito alla lettura di Eugène Ionesco, Jean Genet, Carlo Goldoni e Ruzante, quest'ultima uscita postuma.
Non si vuole qui ripercorrere in maniera esaustiva e meramente elencativa le attività di critico teatrale e letterario di Sergio Torresani, ciò che interessa è capire quale possa essere la sua eredità e perché - nello spirito che mosse Torresani a peregrinare per passione e vocazione per i teatri italiani - ci sia una profonda etica del fare critica e del teatro in genere. L'approccio militante di Sergio Torresani alle arti performative si compie nel rispetto nei confronti dell'intelligenza del lettore e del diritto e dovere di critica, in nome di un pensiero analitico libero e onesto. L'ironia e lo scrupolo intellettuale di Torresani emergono nelle varie tipologie di scrittura, da quella giornalistica a quella saggistica, e sono gli ingredienti che permettono al critico di evitare la pedanteria, di essere leggero e abbordabile, chiaro e piacevole. Dalla militanza di Sergio Torresani emerge il rispetto nei confronti dell'oggetto recensito – fosse questo uno spettacolo, un libro, oppure una mostra d'arte – e del lettore, punto di riferimento, estremo di quel dialogo scritto e del rapporto fiduciario fra il cronista/critico e il lettore. Sono i testi, la drammaturgia, l'attenzione all'autore inscenato che emergono dalle cronache teatrali, è della poesia come fulcro di un narrare e stare in scena che va in cerca Torresani, fedele alla lettura di Mario Apollonio che vedeva nel teatro lo spazio in cui la poesia s'invera nel corpo dell'attore ed è condivisa da un coro. Rimane irrisolto per Apollonio il ruolo del regista, non così per Torresani, che pure chiede al metteur en scene un rispetto, un'analisi critica e contestualizzata del testo teatrale. Ed è lo stesso Torresani a definire cos'è il teatro scrivendo un articolo di presentazione di Dal tuo al mio di Giovanni Verga, nella versione televisiva del 1969: «Teatro è dialogo ed è naturalezza. Teatro è risalto di personaggi che si definiscono attraverso le loro battute, o, dialetticamente, nella vita di rapporto che si viene a stabilire sulla scena. E teatro è quella capacità di dire senza insistenze quel che accade, che è accaduto e che accadrà: insomma di dar vita a un mondo, ad una società, ad una vicenda».
Ed è lo stupore che Sergio Torresani vive davanti allo spettacolo e trasmette al suo lettore, non dando nulla di scontato, guardando alla drammaturgia, inquadrando puntualmente l'autore e da qui partendo ad analizzare l'impostazione registica, l'interpretazione degli attori e i suoi attori sono Cesco Baseggio, Aroldo Tieri, Giuliana Lojodice, Vittorio Gassman, Franco Parenti, Tino Carraro, l'amatissima Giulia Lazzarini, Valeria Moriconi, Salvo Randone e l'elenco si fa infinito e immette nella storia del teatro borghese italiano del XX secolo. Lo stupore di cui si diceva emerge quando Torresani riferisce de La Tempesta di Giorgio Strehler w ai ritrova ad osservare: «quando accade non puoi che ripeterti. Quando non vedi la fatica, lo studio, ma tutto ti sembra naturale, spontaneo, necessario: gli attori così e non potrebbero essere che così, la voce così e non che così, la musica, i gesti, le luci, il ritmo non li vorresti mutati nemmeno di una sia pure impercettibile misura, allora non puoi che ripeterti e dire che l'arte s'è fatta poesia». Non precluso al nuovo, ma fortemente ancorato alla tradizione del teatro di parola del Novecento, Sergio Torresani s'infiamma per Peter Brook, non perde uno spettacolo di Bob Wilson, va ad Avignone, si confronta con Brecht ed Heiner Muller e anche le esperienze più lontane dalla sua estetica le affronta con la responsabilità di un testimone e di un dialogo franco, magari non sempre condiviso e condivisibile ma sincero con il suo lettore. E non è poco ed è un'eredità che aiuta a frequentare la faticosa via del 'diritto di critica', oltre che di cronaca.

Ultima modifica il Giovedì, 21 Marzo 2013 15:44
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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