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Scompare, a ottant’anni, Claudio Abbado UNA LUCE IN MENO nel mondo della musica d’arte di Piero Mioli

Claudio Abbado Claudio Abbado

Il 26 giugno avrebbe compiuto ottanta e un anno, il grande musicista, ma non ce l'ha fatta: gravemente malato da molto tempo, tenacemente reattivo ai ripetuti attacchi, spesso quasi miracolosamente risorto dalle pause forzate e temute, è mancato a Bologna, dove viveva da tempo per ragioni d'arte e di famiglia, la mattina di lunedì 20 gennaio.
Una morte purtroppo annunciata, in particolare dalla recente cancellazione di alcuni attesissimi concerti (o dalla sua sostituzione sul podio). Eppure proprio il fatto che più volte Claudio Abbado era ricomparso al lavoro, alla bacchetta, alla musica, aveva quasi dato l'idea di una resistenza a oltranza, quasi sovrumana, in verità impossibile. Ma quella figurina sempre più esile e scavata, quel volto magro e rivolto in alto a ringraziare per gli applausi, quell'espressione nonchalance che sembrava stupirsi dei festeggiamenti e quasi volerne affrettare la conclusione, se non lo erano umanamente certo erano impiegabili, invincibili mentalmente, artisticamente, musicalmente. Per lui, oramai, la musica era un gioco, come il ripasso sempre più sottile e spirituale, sempre più facile e sciolto di un repertorio studiato, assorbito, assimilato in maniera semplicemente perfetta. Non era unico, in questo, ma non basta certo la plausibile compagnia di Toscanini, Karajan e Kleiber a sminuirne il valore. Altri saranno stati e saranno i grandi meriti di Mariani, Mahler, Walter, Furtwängler, De Sabata, Bernstein, Giulini, Solti, Mehta, Muti, Levine, Pappano, Thielemann, ma davvero la purezza, la levigatezza, la scorrevolezza raggiunta dal sound di Abbado ha solo quella valorosa triplice concorrenza, cui si potrebbe annettere anche la colleganza di Celibidache, Boulez e Ozawa.
Milanese, di ottima famiglia, figlio del violinista Michelangelo, Claudio aveva studiato nella sua città e dagli anni '60 ha svolto una luminosissima carriera internazionale. È stato direttore musicale della Scala dal 1968 all'86, della Staatsoper di Vienna fino al '91, dei Berliner Philharmoniker fino al 2002; intanto e in seguito ha fondato complessi strumentali come la European Community Youth Orchestra (ECYO) nel '78, la Mahler Jugend Orchester nell'86, la Lucerne Festival Orchestra nel 2001, l'Orchestra Mozart nel 2004 (questa presso l'antica Accademia Filarmonica di Bologna); e ha ricevuto molti premi e onori, fra i tanti la laurea "honoris causa" dall'Università di Cambridge nel 1994 e l'Imperiale di Tokyo nel 2003.
Uomo di sinistra e attentissimo alle problematiche culturali e ideologiche del suo tempo, ha diretto molta musica del '900 storico e successivo, dal Wozzeck di Berg fino Al gran sole carico d'amore di Nono e oltre, mediante numerosi altri autori fra i quali il prediletto Webern (la Passacaglia, gli Stücke, le Variazioni per orchestra). Eccezionale interprete del sinfonismo tedesco, di Beethoven, Schubert, Brahms e Mahler, di questi superclassici ha dato letture memorabili, in serie discografiche integrali e frequentemente dal vivo del concerto: per restare in Italia al Comunale di Ferrara, a S. Cecilia sul podio della trionfante Filarmonica di Berlino, al "Manzoni" di Bologna guidando i giovani entusiasti della "Mozart".
Quanto all'opera, trovandosi a collaborare con voci di qualità diversa e quindi anche modesta, Abbado ha affrontato soprattutto Mozart, Rossini, Verdi e Musorgskij, alla Scala e a Salisburgo, in sala d'incisione (DG e Sony) e a Pesaro: come esempi rispettivi, bastino gli eventi delle Nozze di Figaro, del Viaggio a Reims, di Macbeth e di Boris Godunov (anche grazie ad allestimenti prestigiosi). Oltre a una scelta dei testi così attenta e rigorosa da sembrare un po' avara, caratterizzano la sua arte una tecnica sovrana, un gusto analitico quasi scientifico, un'asciuttezza espressiva di per sé eloquente, cui più tardi s'è aggiunta una sempre maggiore carica emozionale.
Dal suo vivo repertorio sono mancati, nel complesso, autori come Gluck, Haydn, Berlioz, Liszt, Bruckner, Puccini, ma il Lohengrin e il Parsifal di Wagner da lui diretti bastano a farne la gloria, anche al cospetto di nomi d'area tedesca come Knappertsbusch e Klemperer. E tre commedie come L'italiana in Algeri, Il barbiere di Siviglia e La Cenerentola restano ai vertici dell'interpretazione rossiniana di oggi, di ieri, forse di domani: nelle mani di un musicista che prima di esaltarle alla grande, a differenza di molti fra i colleghi citati ha saputo scovarle e strapparle alla routine del repertorio. Routine, parola sconosciuta al compianto Claudio Abbado.

Piero Mioli

Ultima modifica il Lunedì, 27 Gennaio 2014 11:51

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