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E' morto Luca Ronconi! Viva il teatro! La drammaturgia protagonista da Massini al caso Latella e un po' di libri.-di Nicola Arrigoni

Luca Ronconi Luca Ronconi

E' morto Luca Ronconi! Viva il teatro... E' morta la regia critica! Viva il teatro.... Con Luca Ronconi si chiude – definitivamente ? – una fase felice e proficua dell'estetica del teatro occidentale in cui il regista era dominus assoluto di testo e attori. Il suo punto di vista era il punto di vista. Questa fine di un tempo è simbolicamente rappresentata dalla scomparsa di Luca Ronconi – almeno in Italia -, il mago del teatro, il grande architetto dello spettacolo dal vivo, ma anche un insuperabile – dicono coloro che vi hanno lavorato – lettore ed esegeta di testi teatrali... Il teatro degli anni Zero ha cercato di affrancarsi dalla scuola della regia critica e ha individuato nell'intreccio dei linguaggi mediatici, nell'indefinita e indefinibile condizione dello 'studio' come opera non chiusa se non incompleta una nuova via. Va in scena l'uccisione dell'Edipo teatrale per iniziare un'altra storia, è l'atto violento dell'indipendenza dei figli dai grandi padri della scena... Ma anche questa fase sembra vivere un momento di stanca, come da più parti sottolineato, l'incompiutezza, il work in progress sempre meno danno vita ad un corpus definito e nuovo, sono ideuzze che si sgonfiano nel momento in cui cercano una loro codifica, tentano di tirare le fila, con l'esito di tirar le cuoia. Eppure qualcosa ritorna, anzi il nuovo sa di antico, un ritorno solo apparente ma che in ogni caso chiede alla semantica della scena di riappropriarsi del palcoscenico, ma in un contesto di forte, consapevole contemporaneità. Chiusa l'era della regia critica ad aprirsi è il tempo della 'drammaturgia', il tempo della parole che fanno azione, delle parole che sono pensiero agito.
Non può che essere interessante e simbolicamente carica di senso la nomina di Stefano Massini al Piccolo Teatro. La cosa sarebbe piaciuta assai a Mario Apollonio, l'intellettuale cattolico che partecipò alla nascita del Piccolo Teatro, e che individuava nel trittico poesia, attore e coro/pubblico non solo le radici del teatro, ma gli strumenti del suo essere azione di pensiero sulla comunità. Per questo la scelta di un drammaturgo alla guida del Piccolo Teatro sembra raccontare di un ritorno o nuovo approccio a una parola che dica, a un testo che sappia leggere la realtà, ne offra spaccati, la analizzi, la ribalti, la contesti, la interroghi. Una scelta interessante e che conferma la vivacità drammaturgica di un Paese e di un teatro che ha fame di pensiero e presente, che anzi sa di essere l'unica arte capace di convocare spettatori responsabili e coscienti di sé, interrogarne il pensiero, stimolarne il punto vista, complice la parola che si fa azione, immagine, corpo dell'attore. Stefano Massini con Lehman Trilogy – ultimo spettacolo di Luca Ronconi – segna una sorta di continuità e al tempo stesso un nuovo inizio nella storia del Piccolo Teatro: un nuovo cominciamento nel segno della drammaturgia contemporanea, cominciamento che ha avuto le sue premesse nell'attenzione recente e ronconiana a Raphael Spregelburd, Jean Luc Lagarce, Edward Bond, solo per fare qualche nome.
In questo contesto in cui drammaturgia e direzione del massimo stabile nazionale si intrecciano ci si chiede come si possa ignorare una figura come Antonio Latella che incarna non solo l'urgenza drammaturgica, ma anche la storia recente della regia, è autore teatrale, è dramaturg vero, uomo di teatro che sa coniugare le radici del teatro e della drammaturgia italiana con un respiro europeo. Di tutto ciò ha dato prova nella coerenza di un percorso estetico che è costruito con forza e coerenza uniche, da Stabile Mobile come si chiama la sua compagnia. La prova di questa attenzione drammaturgico/registica è non solo nell'ultimo e straordinario spettacolo, prodotto da Ert, Ti regalo la mia morte, Veronika - non solo omaggio a Fassbinder, ma al linguaggio del teatro, ma anche nel discusso Arlecchino di qualche hanno fa, spettacolo fondante una nuova estetica del teatro ben radicata nella lezione dei grandi registi italiani, o ancore nel contestato – anche questo – Natale in casa Cupiello. Dai primi lavori genetiani, alla trilogia pasoliniana, dal pensiero agito della Cena delle Ceneri di Giordano Bruno ai suoi Shakespeare fassbinderiani all'indimenticabile Eduardo II, dalla sua Medea tutta corpo all'indagine sul femminile e i miti della contemporaneità con Un tram che si chiama desiderio o la maratona di Francamente me ne infischio!: il percorso di Antonio Latella vive di una coerenza unica, di uno spaziare in ambiti diversissimi con un punto imprescindibile: la drammaturgia come scrittura e ri-scrittura di testi che per essere devono risuonare nello spazio della scena e nel corpo degli attori.

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E se Antonio Latella è riuscito a fare del suo scrivere il teatro un'occasione di pensiero agito, è proprio il 'pensare', l'offrire non solo storie da inscenare, ma condizioni di vita da portare in scena che contraddistingue molti dei testi teatrali che vanno per la maggiore. Ne è un esempio Il filosofo dichiara di Juan Villoro, pubblicato da Titivillus, in cui viene messa in scena la difficile e controversa relazione fra potere e conoscenza e i privilegi che tale vincolo offre, una satira "rivolta al sistema accademico e al mondo della politica pubblica che riflette su chi usa la filosofia e il sapere per tentare una scalata sociale e godere delle ricompense e chi invece si rifiuta di entrare a far parte delle fila dei potenti ma mediocri – si legge nelle note introduttive a firma di Cristina Secci -. Un teatro nel teatro come nella più tradizionale delle proposte, dove il protagonista recita e a sua volta interpreta un personaggio, e si esercita sulle battute con la moglie che gli chiede di improvvisare. Un teatro più vero della realtà".

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E se è vero come diceva Flaiano che il teatro serve a illuminare la nostra autobiografia e ci spiega chi siamo e come stiamo vivendo in quel momento, Farà giorno, commedia in due atti di Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi, pubblicata da Titivillus, racconta di un confronto scontro generazionale, in cui biografia e politica, storia recente del Paese e delle sue contraddizioni si trovano in una stanza nel confronto/scontro fra un vecchio partigiano comunista, un giovane teppistello romano 'fascio' e una donna, figlia del partigiano, ex terrorista divenuta medico 'alla emergency'. Tre personaggi, tre funzioni, una scrittura chiara e serrata, una messinscena firmata da Piero Maccarinelli con Gianrico Tedeschi nei panni del partigiano e l'obiettivo, non da poco, di dire delle contraddizioni di un'Italia che non vuole fare i conti con il suo passato recente, il tutto affidato a uno spettacolo di sana e robusta tradizione scenica.

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E allora in questo excursus parziale e simbolico legato alla drammaturgia contemporanea come non pensare a Sweet Europa di Davide Carnevali messo in scena da Fabrizio Arcuri e pubblicato con tempestività mediatica da CuePress, una realtà editoriale che alla velocità dei newmedia coniuga l'attenzione alla nuova drammaturgia, quella che vive e si compie sulla scena e non è scrittura e basta, ma parola viva che ha nella prassi scenica il suo compimenti. Il testo di Carnevali è una bella e acuta riflessione sull'Europa, sulla sua crisi, suelle sue identità molteplici, sull'impossibile conciliazione delle differenti, ma è anche il segno di un impegno costante e vivace di una casa editrice insolita e aggressiva come Cue Press che si muove fra tensione al nuovo, ai testi che fanno il teatro di oggi e la voglia di ridare vita editoriali a grandi classici della saggistica teatrale della seconda metà del Novecento, proponendo contributi spesso ormai introvabili nelle librerie tradizionali. "Cue Press nasce, infatti, con la decisa intenzione di sfruttare l'agilità e l'economia del digitale per permettere il recupero di testi fondamentali non più disponibili, rilanciandoli sulla base delle nuove economie offerte dal digitale – spiega l'editore Mattia Visani -. Il progetto di recupero andrà di pari passo con la proposta di novità di altrettanto valore, in vista di un pubblico che esiste ed è reattivo, ma non è più raggiunto — e forse raggiungibile — dai metodi dell'editoria tradizionale. L'intento è quello di coniugare il contributo e la memoria di artisti e studiosi di assoluto rilievo, garantendo una altissima qualità del prodotto e il massimo dell'offerta tecnologica. Il progetto è orientato alla scalabilità, in termini economici, e alla riproducibilità verso rami del sapere sempre nuovi". In questo centone legato alla rinascita della drammaturgia come laboratorio di teatro agito e di pensiero piace sottolineare e segnalare la semplicità e chiarezza del volume di Renato Gabrielli, Scrivere per il teatro, pubblicato da Carocci editore che si offre come vademecum molto concreto ed esplicativo a chi scrive per il teatro, mettendo insieme grandi classici e testi contemporanei, tasselli di un'analisi operativa ben condotta, chiara, mossa da una passione e da un mestiere che trasudano dalle pagine del libro. Renato Gabrielli con garbo e precisione mette in evidenza la natura di confine della scrittura drammaturgica, un'azione di racconto sospesa fra la pagina scritta e l'aleatorietà della messinscena, un ibrido sfuggente e ambiguo che ben rappresenta la condizione liquida – direbbe Bauman – della nostra contemporaneità e forse del teatro, avamposto di un pensiero che viene offerto ad una comunità che ha fame non tanto di storie e racconti, ma di pensieri che la immettano in una qualche verità di senso... E non è poca cosa, ameno si crede....
Juan Villoro, Il filosofo dichiara, Titivillus, pagine 116, 11 euro
Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi, Farà giorno. Commedia in due atti, Titivillus, pagine 120, 12 euro.
Davide Carnevali, Sweet Europa, Cue Press, pagine 48.
Renato Gabrielli, Scrivere per il teatro, Carocci Editore, pagine 128, 12 euro.

Ultima modifica il Lunedì, 15 Giugno 2015 11:23

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