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(RACCONTA UNA STORIA) - "L'ALBERO" di Vincenzo Di Lalla

L'ALBERO
di Vincenzo Di Lalla

Era stato bello per tutto l’inverno e un poco della primavera, poi l’albero si era vestito di fitte foglie e aveva coperto la finestra. Invano avevo pregato perché ciò non accadesse: lentamente si era infoltito e me l’aveva nascosta. Giorno per giorno, attimo per attimo, foglia su foglia vidi sparire la mia ultima speranza, il mio ultimo scopo, il mio ultimo amore e anche la luce! Io impazzivo.
Correvo con la carrozzella da una stanza all’altra, da una parete all’altra e sempre alla finestra volevo vederla. Non potevo stare senza guardare, ma ormai, l’albero si metteva fra di noi. Pregavo il vento di soffiare su quelle foglie, di spezzare quei rami, ma era primavera e il vento non aveva più fiato e le foglie erano troppo folte. Me la nascose lentamente, giorno per giorno, attimo per attimo, foglia su foglia come una tortura, come un dispetto.

Albero - dicevo - che fai?… Quella finestra è la mia vita; dietro quella finestra c’è la mia donna… Albero, sono malato, non ho più le gambe, la mia unica ragione di vita è quella finestra. - Ma piangevo inutilmente: un giorno me la coprì del tutto. Allora mi rassegnai ad aspettare
l’autunno.
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Come fu lunga l’attesa, come fu vana la mia vita! Mi alzavano al mattino, mi infilavano nella sedia a rotelle e mi spingevano verso la finestra e lì vivevo e la sera non giungeva mai. Cercavo un vuoto tra le foglie per vedere un poco della mia donna, un attimo del suo viso, ma inutilmente: le foglie erano migliaia e l’eternità delle giornate mi faceva ricordare e impazzire. Oh, l’angoscia dei ricordi, l’eternità dell’angoscia, le mie gambe, la mia sconvolgente inutilità, l’immobilità della mia giovinezza, come mi facevano soffrire!… Fiorivo nella giovinezza prima dell’inverno: avevo le gambe!… Correvo, vivevo con la giovinezza, respiravo la giovinezza: cos’erano le gambe prima dell’inverno!

L’albero divenne il mio nemico e il mio amico, a seconda dei miei pensieri: a volte lo disprezzavo, lo ingiuriavo, lo odiavo, a volte lo esaltavo, contavo le sue foglie, i suoi rami, scoprivo i suoi colori e gli parlavo: sì, gli parlavo anche!… Parole senza senso, come senza senso era ormai la mia vita.
Fili di pensieri, idee spensierate, ragionamenti cretini, vuoti, come il vuoto che era in me: il vuoto che mi distruggeva! Oh, Dio, Dio, dov’erano le mie gambe?… - Albero - dicevo – perché ti copri di foglie a primavera e le perdi in autunno? Sei più importante di me? Le mie gambe sono inferiori al tuo legno?… I tuoi rami servono più delle mie gambe?… La tua immobilità è come la mia? Devo piangere come te? Sono un albero, io?… Perché sono nato, albero?… Sono solo, lo sai?… Nessuno mi cerca più, lo sai? La mia vita erano le gambe!
E’ successo ai primi di novembre: stavo camminando su un marciapiede quando ho sentito gridare, ma non ho fatto in tempo a vedere. Poi ho dormito un mese, fino a dicembre e quando mi sono svegliato non le avevo più. Ma erano tutti contenti: - Sia lodato Iddio – dicevano – è vivo, si è salvato. - E le gambe, dove sono le gambe? - urlavo io. – E’ stato un pazzo, - mi spiegarono, - ti è piombato addosso con un’automobile e… - poi piansero: a loro dispiaceva, certo, ero loro figlio, loro fratello. Ma non sarebbe stato meglio se fossi morto?…
È stato inutile. – diceva tra le lacrime mia madre, alludendo alle mie gambe. –
Abbiamo sperato, ma poi… Oh, figlio, figlio, sei vivo! - e mi baciava, mi baciavano: ero vivo!

I primi giorni non voglio spiegarteli, albero. Ti dirò solo che non avevo più lacrime per piangere. Mi comprarono una carrozzella e così potei girare per la casa, venire alla finestra. Un giorno cadeva la neve e la guardavo scendere quando “la” vidi alla finestra. La mia vita si accese di colpo e vissi per vederla! Ora tu me l'hai nascosta.

Passò la primavera e poi l'estate. Poi l'estate finì e venne l'autunno. Quando l'avrei rivista?... Le foglie cadevano lentamente: erano tante!... L'albero non voleva spogliarsi. Ma il vento mi aiutava questa volta: soffiava sui rami, rapiva le foglie e le spezzava. Oh, quando l'avrei rivista? Giorno per giorno, attimo per attimo, foglia su foglia sempre di più vedevo la finestra. Sempre di più le foglie cadevano, volavano, morivano. Poi, scorsi le prime ombre di lei, i primi movimenti, il primo sorriso.
Era l'autunno per l'albero: per me la primavera!

Ultima modifica il Mercoledì, 29 Aprile 2020 23:26
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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