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Tanz im August, il festival internazionale di danza contemporanea di Berlino 29esima edizione, 11 agosto - 2 settembre 2017. a cura di Gloria Reményi

"to a simple, rock'n'roll... song" di Michael Clark. Foto Anjabeutler "to a simple, rock'n'roll... song" di Michael Clark. Foto Anjabeutler

Tanz im August, il festival internazionale di danza contemporanea di Berlino
29esima edizione, 11 agosto - 2 settembre 2017

Da 29 anni, nel mese di agosto Berlino si trasforma in capitale della danza mondiale grazie al festival di danza contemporanea Tanz im August (tradotto "Danza d'agosto"). Identità, gender, sesso, razza e diversità sono stati i nuclei tematici dell'edizione 2017, che dall'11 agosto al 2 settembre ha animato alcuni tra i principali palchi cittadini portando in scena 28 produzioni provenienti da 21 Paesi, per un totale di 69 spettacoli (3 première mondiali, 14 première tedesche) e oltre 150 artisti coinvolti.

Un'edizione che ha deliberatamente puntato sulle donne quella che si è appena conclusa. Alla coreografa, performer e nota femminista ispano-svizzera La Ribot è stata dedicata un'ampia retrospettiva dal titolo Occuuppatiooon! Berlin sui lavori relativi al periodo 1993-2016. La scena della danza contemporanea berlinese è stata rappresentata in prima linea da artiste del calibro di Sasha Waltz (che oltre a Kreatur ha presentato Women, spettacolo che tematizza rituali di femminilità) ed Eszter Salamon accanto a un'esordiente Lea Moro. Due le presenze italiane, anche in questo caso femminili: Cristiana Morganti, ballerina, coreografa, nonché ex allieva di Pina Bausch, ha presentato per la prima volta in Germania Jessica and me, assolo autobiografico in cui l'artista ripercorre la propria carriera confrontandosi con l'ingombrante eredità della maestra; Cristina Caprioli, affermata coreografa italiana di base in Svezia, ha portato in scena la sua ultima produzione A line_up in cui riflette sul concetto di intrattenimento applicato alla danza contemporanea.

Da tre anni a questa parte l'obiettivo perseguito dalla curatrice del Festival, la finlandese Virve Sutinen, è sempre stato coerente con se stesso: offrire una piattaforma di espressione alla danza contemporanea come arte molteplice, ricca di sfaccettature e in costante evoluzione. Come annunciato da Sutinen stessa in apertura, le rappresentazioni di quest'anno hanno spaziato "dal flamenco al butoh fino alla performance, passando per il balletto e il teatrodanza", cercando di delineare gli sviluppi più recenti nel panorama della danza mondiale e mostrando quanto il concetto di "danza contemporanea" vada sempre più svuotandosi dall'interno per essere riempito di nuove forme, contenuti e influenze interdisciplinari che sfuggono a ogni tentativo di categorizzazione.

Kalakuta Republik credit  sophie garcia

A inaugurare il Festival è stato Kalakuta Republic, spettacolo del coreografo burkinabé Serge Aimé Coulibaly dedicato alla leggendaria figura di Fela Kuti, controverso musicista e attivista nigeriano, fondatore dell'afrobeat. Una rappresentazione forte e ambiziosa dal punto di vista fisico che punta ad indagare, purtroppo eccedendo nella cripticità, l'intreccio tra arte e rivolta, ovvero la questione della responsabilità sociale e politica dell'artista oggigiorno. Sulla scena viene rappresentata la Repubblica di Kalakuta, una sorta di comune fondata da Fela Kuti nel 1970. La situazione iniziale in cui i danzatori, guidati da un maestro, si abbandonano a ritmi contagiosi, dando vita a una danza che sembra sfociare nella trance collettiva, cede presto il passo alla violenta irruzione della rivolta nel microcosmo della Repubblica. I movimenti dei danzatori diventano all'improvviso rigidi, scoordinati e spigolosi; la guida viene meno e gli interpreti si muovono senza meta, privi di equilibrio. Alla guerra seguono infine il vuoto e l'anarchia, una situazione in cui sono i forti e i corrotti ad imporsi e che sembra voler ritrarre la condizione politica in cui versa il continente africano oggi. In questo contesto gli uomini nutrono ambizioni di potere, mentre le donne sembrano essere ridotte a oggetti. Accanto all'aspetto iconico della figura di Fela Kuti, Kalakuta Republic non omette di raccontarne la controversialità: sebbene si tratti di uno dei più influenti artisti africani del XX secolo, difensore dei diritti umani, sostenitore del Panafricanismo e del socialismo, occorre ricordare che Fela Kuti espresse anche idee sessiste e omofobe. Una rappresentazione virtuosa, dinamica, a tratti criptica e aperta a interpretazioni contrastanti quella di Coulibaly, che si ispira alla storia di un personaggio leggendario per presentare la danza come strumento di impegno sociale.

to a simple, rock'n'roll... song è lo spettacolo che segna il trionfale ritorno a Berlino del rinomato coreografo scozzese Michael Clark, che a conferma del suo amore per l'accostamento tra balletto e punk propone una trilogia sulle musiche di Erik Satie, Pattie Smith e David Bowie. Lo spettacolo si apre con le Ogives, pezzi per pianoforte del compositore francese Satie, sulle cui note si muovono 8 danzatori in aderenti costumi bianchi e neri che con i loro corpi sembrano letteralmente suonare lo strumento da cui scaturisce la musica. I movimenti dei ballerini sono dapprima semplici e lineari, poi sempre più complessi finché la classica disciplina iniziale lascia spazio a una coreografia "distorta" e non convenzionale. Horses di Pattie Smith apre la seconda parte del "trittico", in cui i danzatori si esibiscono in costumi di latex e pantaloni a zampa tra motivi ipnotici proiettati sulla scena. L'incontro tra la disciplina dei corpi e la musica tutt'altro che composta della Smith produce un affascinante contrasto che mette in luce l'intramontabile indole ribelle di Clark (ormai 50enne). La terza e ultima parte dello spettacolo è da intendersi come un omaggio del coreografo al suo idolo David Bowie: gli interpreti, questa volta in costumi metallizzati che producono suggestivi giochi di luce, danno vita a una malinconica esibizione sulle note di Blackstar, singolo dell'ultimo album di Bowie, e di altre canzoni degli anni Settanta. Nell'intento di omaggiare e al contempo confrontarsi con i propri modelli e fonti d'ispirazione e rinunciando a pretese d'innovazione artistica, Clark realizza uno spettacolo che guarda più al passato che al futuro, coeso dal punto di vista estetico, pulito e scarno nelle coreografie.

jessica and me foto virginie kahn

Se si dovesse designare l'esibizione con più cuore dell'ultima edizione del Tanz im August, la scelta cadrebbe senza dubbio su Jessica and me di Cristiana Morganti, un assolo autobiografico in cui l'artista ripercorre la propria carriera di ballerina e osa il confronto con il lascito della maestra Pina Bausch senza però mai scadere nella banalità o proporsi come l'ombra sbiadita di un passato glorioso. Pina è senza dubbio presente in Jessica and me, per esempio quando Morganti racconta di quando prese lezioni di sigaretta dalla maestra perché "non saper fumare al Tanztheater Wuppertal negli anni '70 era un problema serio"; oppure quando un'immaginaria giornalista di nome Jessica chiede a Morganti se sia vero che le danzatrici di Pina non si depilavano; o ancora quando la ballerina deve confrontarsi con le leggende che circolano sul conto della compagnia di Pina, vista più come una comune di artisti che come un gruppo di professionisti. Ma ciò che Cristiana Morganti vuole e riesce a dimostrare con Jessica and me è di non poter essere definita con il titolo riduttivo di "ex danzatrice di Pina", nonostante i 22 anni come membro dell'ensemble del Tanztheater Wuppertal: lo spettacolo rappresenta il passo compiuto da Morganti verso l'acquisizione di una maggiore autonomia espressiva, autonomia che l'artista 50enne trova in uno spiccato umorismo che la consacra come straordinaria attrice oltre che formidabile ed esperta danzatrice. Attraverso una voce fuori campo che riproduce il proprio flusso di coscienza, interviste con la giornalista Jessica, la cui voce esterna è registrata su audiocassetta, e monologhi in cui si rivolge direttamente al pubblico, Morganti conduce lo spettatore dietro le quinte della vita da ballerina. L'artista racconta di quando iniziò a danzare all'età di 5 anni su consiglio del medico di famiglia, degli anni all'Accademia di danza di Roma e delle lotte per domare i ricci e nascondere il seno prosperoso e ancora delle difficoltà di svolgere il mestiere di danzatrice in età matura, quando i muscoli faticano a scaldarsi, rialzarsi da terra è un'impresa e confrontarsi con il proprio corpo non è più cosa semplice. Se dall'eccezionale controllo del movimento e dalle fluide sequenze di movimenti di braccia e mani traspare con chiarezza l'eredità della Bausch, la Cristiana Morganti coreografa sceglie di percorrere una via personale e originale per affrancarsi da un'etichetta cui deve molto e affermarsi con la propria individualità artistica.

Kreatur Corey Scott-Gilbert EnsembleÂSebastian Bolesch 20170607-8371

Acribia estrema, un mix perfetto di astrattezza e concretezza e un impeccabile studio del corpo: tutto questo e molto di più è Kreatur, uno dei due lavori presentati al Tanz im August dall'affermata coreografa berlinese Sasha Waltz. Lo spettacolo si apre con 6 crisalidi argentate e semitrasparenti, sotto le quali si intravedono i corpi nudi di altrettante danzatrici che si muovono come larve in procinto di liberarsi dal bozzolo. A loro si uniranno altri 5 danzatori e 3 danzatrici a formare un gruppo eterogeneo per stature, corporature e carnagioni, quasi che la coreografa abbia voluto portare un po' di mondo reale sul palcoscenico. Nei 90 minuti successivi, attraverso scene di brutale lotta, sesso esplicito e impalpabile poesia, l'esibizione del gruppo mostrerà la vulnerabilità da un lato, la violenza umana dall'altro, il tutto senza bisogno di parole. Sequenze in cui gli interpreti si muovono a piccoli gruppi o singolarmente si alternano a magnifici passaggi di danza collettiva, sincronizzata o polifonica, a illustrazione di quanto l'essere umano sia un animale sociale. Suggestivo il passaggio in cui una danzatrice-istrice entra in scena indossando un costume nero integrale da cui spuntano innumerevoli aculei di metallo che a ogni movimento risuonano minacciosamente e con cui l'interprete intimidisce i corpi nudi e inermi degli altri danzatori. Uno studio impeccabile del corpo e dell'uomo quello realizzato da Waltz, uomo che oggi non appare così diverso nella sostanza rispetto a milioni di anni fa, ovvero un conglomerato di pulsioni fisiche capace di imprese sublimi, ma allo stesso tempo terribili. Perfetti i costumi realizzati per Kreatur dalla stilista olandese Iris Van Herpen, leggeri, vaporosi e quasi invisibili.

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Profondamente diverso da tutte le altre produzioni presentate nell'ambito del Tanz im August 2017 è lo spettacolo realizzato da Cristina Caprioli, affermata coreografa italiana trapiantata in Svezia, con la sua compagnia ccap. Il carattere di diversità di A line_up, questo il titolo della performance, appare come naturale se si pensa che la diversità, intesa sia come complessità sia come innovazione, rappresenta uno dei temi fondamentali della produzione stessa, che si inscrive in un ampio progetto di ricerca sull'intrattenimento e sul significato della coreografia. Sulla carta A line_up viene presentato come uno spettacolo che prende le mosse da A Chorus Line, uno dei musical più longevi di Broadway. Nato negli anni '70 come progetto alternativo di un gruppo di ballerini disoccupati, A Chorus Line ruppe letteralmente il format del musical di allora inserendo elementi originali come i massicci passaggi recitati e le biografie fittizie dei danzatori. Inutile dire che inizialmente non ambiva al successo commerciale che poi sappiamo essere diventato. Se è vero che A line_up utilizza A Chorus Line come punto di partenza, non è vero che il risultato è un musical realizzato con i mezzi della danza contemporanea. L'unico elemento riconoscibile nella performance di ccap è proprio la line up, la fila in cui i danzatori si presentano sulla scena in attesa dell'audizione. Ma Caprioli elimina il regista dalla performance e con lui cancella ogni rapporto di gerarchia. Il risultato è uno spettacolo in cui predominano le linee curve, storte, non convenzionali, in cui i ballerini sono costantemente fuori equilibrio o leggono (non recitano) in modo monotono biografie più o meno assurde. L'ambizioso obiettivo di Caprioli è quello di decostruire dall'interno il format del musical, uno dei più emblematici dell'industria dell'intrattenimento capitalista, opponendosi alle sue logiche binarie, alle sue semplificazioni e alla sua superficialità. A line_up lavora così sullo scarto che si crea tra il piacere prodotto dall'esperienza estetica di una scena, un movimento, un'immagine e la cripticità degli stessi, scarto che dovrebbe indurre lo spettatore a impegnarsi nella faticosa pratica dell'intrattenimento, ben diversa da quella superficiale cui ci ha abituato il sistema capitalista. Un progetto stimolante ed estremamente innovativo quello di Caprioli che con A line_up si avvicina così vertiginosamente all'attivismo politico.

la ribot   mathilde monnier   gustavia  photo. marc coudrais

Gustavia è una donna bifronte, un ritratto femminile frutto del sodalizio artistico tra la coreografa francese Mathilde Monnier e la performer madrilena La Ribot, a cui il Tanz im August ha dedicato la retrospettiva della sua 29esima edizione. Oltre a numerose performance realizzate negli ultimi 20 anni, l'artista ispano-svizzera ha presentato al pubblico berlinese il festeggiato classico femminista nato nel 2008, in cui le due coreografe si incontrano come due volti della stessa donna, una donna autentica e comica, che fa sganasciare dalle risate a suon di gag fisiche alla Charlie Chaplin in un'atmosfera sospesa tra surrealismo (Dalì, Magritte) e cinema noir, tra l'universo di Hieronymus Bosch e il mondo dei film muti. Azioni apparentemente piccole e insignificanti, come per esempio un pianto oppure una caduta, vengono prolungate o reiterate nel tempo e così volutamente iperbolizzate. Per tutta la durata dell'esibizione la scena appare come una scatola nera su cui La Ribot e Monnier si muovono in lingerie, permettendo ai loro corpi dalla carnagione chiara di risaltare in termini molto concreti, ma allo stesso tempo quasi onirici. Lo spettacolo si apre con le due interpreti che piangono e singhiozzano ininterrottamente, producendo un lamento che sembra infinito. Seguono scene di lotta tra le due: La Ribot cammina su e giù trasportando un'asse scura sulle spalle e colpisce Monnier violentemente sul capo ogni volta che si gira su se stessa, apparentemente per caso, ma in realtà intenzionalmente. Le cadute di Monnier ricordano lo slapstick del cinema muto dei primi del Novecento, suggestione che permane anche nella scena del burlesque in cui le due interpreti mostrano però soltanto le ginocchia. Gustavia si chiude con l'enunciazione di tutte possibili declinazioni della donna, stereotipi machisti e immagini femministe inclusi. Di fronte a un pubblico estasiato, quasi fossero maghe in grado di estrarre un coniglio dal cappello, La Ribot e Monnier portano in scena una serie di numeri in grado di dimostrare il potenziale magico del teatro di oggi.

Gloria Reményi

Ultima modifica il Martedì, 12 Settembre 2017 07:57

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