Totem Arti festival
VI edizione
Un progetto di Teatro Nucleo
Direzione artistica: Natasha Czertok
Con il sostegno di: Comune di Ferrara
Regione Emilia-Romagna, Mibact, NL Properties
In collaborazione con: Comitato Vivere insieme
Proloco di Pontelagoscuro, Biblioteca Bassani
Cooperativa Il Germoglio, Istituto Comprensivo "Cosmè Tura"
Fiab, Altre Velocità, Associazione Unbeldì
24, 25, 26, 27 maggio, Ferrara Pontelagoscuro.
Visitato sabato 26 maggio 2018
"Teatro in periferia" è una di quelle espressioni che eccitano l'immaginazione teatrale; forse perché richiama alla mente tutta una serie di esperienze storiche di cui si sono nutriti i sogni di alcuni artisti di teatro per almeno cinque decenni; il sogno di quel teatro del margine, ma non marginale, che apre alla ricerca sull'uomo e cerca una propria nuova necessità sociale; che stando fuori dal centro fonda il suo stesso centro, anzi fonde nel nucleo e comincia a irradiare un'energia invisibile e contagiosa, una radioattività imprevista, benefica, cui il corpo dell'attore si offre come a una nuova palingenesi, insieme mistica e politica. E poi forse perché quell'espressione lava via dall'idea di teatro la vernice brillante delle "prime", delle sale storiche, delle architetture à la page; taglia via la coda fulva e folta della moda, disorienta l'aperipubblico e, nella discontinuità urbanistica della città storica prodottasi negli ultimi 50 anni, vede nuove possibili tessiture dei rapporti sociali; vede in quegli edifici in cemento aggregati come torrette di sorveglianza o distesi come casematte nel brulicame delle macchie incolte di verde o delle asfaltature ininterrotte, la rilettura in termini di spazio comunitario di qualcosa che alla comunità sfugge. Così Totem Arti Festival, giunto alla sua sesta edizione, si inserisce appieno in questa "tradizione del nuovo". Siamo a Ferrara, a Pontelagoscuro: qui Michelangelo Antonioni, in una fulgida fotografia in bianco e nero, gira negli anni '50 "Gente del Po" e "Il grido". Un quartiere ricostruito nel dopoguerra un po' più verso terraferma che verso Po. Nella dialettica tra passato e presente di questo luogo, si innesta prima la ormai quarantennale attività del Teatro Nucleo, ora questo festival. La storia del Nucleo, in Italia, coincide con l'affermarsi della nuova cultura dell'antipsichiatria, che vede nel 1978 il direttore del manicomio di Ferrara chiedere alla compagnia argentina, appena giunta in Italia in fuga dalla dittatura militare, di stabilirsi lì dentro, per aprire l'ospedale alla città e sviluppare la propria attività artistica – sulla scorta di quanto era successo con l'esperienza visionaria di Marco Cavallo, a Trieste, un lustro prima. E' il regista Horacio Czertok a raccontarci con sintesi fulminea la storia di quei 40 anni: dal manicomio il gruppo passa poi al vecchio cinema, ora ristrutturato a teatro, di Ponte Vecchio. Quel che si vede dell'attuale sede della compagnia, intitolata allo scrittore Julio Cortàzar, oggi, dall'esterno, è il vivacissimo murale che un pittore argentino ci ha dipinto sopra, raccontando su una facciata la storia del quartiere e sull'altra quella del gruppo argentino. Siamo in una dimensione glocal per eccellenza, attiva da prima ancora che il concetto venisse coniato e prendesse piede con quel sapore modaiolo che ha oggi.
E' importante questa premessa storica perché, anche se il festival è la realizzazione delle leve più giovani del gruppo, in particolare della direttrice Natasha Czertok, tuttavia l'orizzonte utopico che contiene, e insieme prolunga, la linea progettuale della giovane direzione artistica adattandola alle esigenze della contemporaneità, proviene da quel bagaglio di esperienza, cerca di declinare quel tipo di sapienza teatral-relazionale.
Non abbiamo potuto assistere che a una sola giornata di programmazione delle tre previste. Tuttavia è stato da subito chiaro come tutto si giocasse in un rimbalzo continuo tra piazza del quartiere e sue immediate vicinanze, tra sale e sedi di associazioni, in un tentativo di far parlare i luoghi della vita quotidiana senza sovrapporci troppo il teatro, ma come affiancandoglielo, in modo da lasciare lo spazio per una relazione attiva con gli spettatori. Così è accaduto per la performance di danza urbana di Simona Argentieri, collocata su un piazzale rialzato, al crocevia tra il cortile di passaggio di un grande e brutto edificio in cemento e la strada; o con lo spettacolo di danza della compagnia Cinqueminuti nel cortile della scuola materna. Se audience development è una delle parole d'ordine che riempie i bandi e il fraseggiare degli uffici stampa, è pur vero che nella sua vecchia formulazione di "formazione del pubblico" è stato spesso al centro della prassi di tanto "teatro di gruppo" e anche della strategia teatrale della compagnia argentina. E qui, come ormai accade in molti dei festival più vivi, si cerca di mettere in relazione nuovo pubblico, enti, operatori teatrali e critici in un reticolo di azioni preparatorie e di confronto. Confronto che ha visto attivo oltre allo staff, la regista e storica del teatro Manuela Rossetti, il collettivo di critici Altre Velocità di Bologna e la "Giuria dei ragazzi" composta da due classi delle scuole medie dell'Istituto Comprensivo Cosmè Tura, nella visione e selezione delle proposte che la call ha sollecitato. Una modalità certo non nuova, ma che sembra riuscire a mettere in comunicazione creativa tutti i nodi della rete. Delle 134 proposte pervenute tre soltanto sono state selezionate per il festival. Di questi noi abbiamo visto il già citato Sin, della compagnia Cinqueminuti e Digito ergo sum del giovane duo femminile Gandomi-Lorenzetti. Il primo, interpretato da due performer maschi, parte dal tango e vira al contemporaneo in un gioco a due che libera "i corpi dal proprio sesso di appartenenza"; il secondo vede una coppia di candidate a un colloquio di lavoro competere sulla base di una serie di criteri per i quali l'abilità nella gestione dei social media è la più alta forma possibile di competenza relazionale, e dunque lavorativa.
Franco Acquaviva