NON È' VERO MA CI CREDO
di Peppino De Filippo
Regia: Leo Muscato
Scene: Luigi Ferrigno
Costumi: Chicca Ruocco. Disegno luci: Pietro Sperduti
Interpreti: Enzo Decaro, Giuseppe Brunetti, Francesca Ciardiello,
Luciana De Falco, Carlo Di Maio, Massimo Pagano, Gina Perna,
Giorgio Pinto, Ciro Ruoppo e Fabiana Russo
Produzione: I due della città del sole
Borgio Verezzi, Piazza S. Agostino, 18, 19 e 20 agosto 2019
Nel concludere le recensioni del Festival è opportuno rilevare l'interesse dei testi proposti e l'alto livello professionale degli interpreti. La rassegna anche quest'anno ha offerto una gamma ampia di proposte, dal teatro classico, con opportuni aggiornamenti, a quello leggero. Il giovane regista Leo Muscato, che dopo la morte di Luigi De Filippo avvenuta nel 2018, ha ereditato la direzione artistica della compagine, presenta la commedia in tre atti, Non è vero ma ci credo, scritta da Peppino De Filippo nel 1941 e riproposta più volte negli anni successivi prima dall'autore-attore e poi dal figlio Luigi. Dalla commedia venne tratto nel 1952 un film dallo stesso titolo. Dal copione, composto nel periodo (1931 – 1944) in cui egli faceva ancora ditta con i fratelli Titina e Eduardo, ora il giovane e valente regista, grazie all'eliminazione delle parti del dottore e degli invitati, condensa in un solo atto di poco più di un'ora e mezza, un testo agile e dinamico. Gli attori che interpretano con bravura, misura e sobrietà questo testo, carico di comicità e caratterizzato da un abile sviluppo dell'intreccio, da ritmi incalzanti nei dialoghi e da un sapiente taglio delle scene, sono Enzo Decaro (Gervasio Savastano), affiancato dai bravi Giuseppe Brunetti, (Alberto Sammaria), Francesca Ciardiello (Mazzarella), Luciana De Falco (Teresa), Carlo Di Maio (Ragionier Spirito), Massimo Pagano (Malvurio), Gina Perna (Concetta), Giorgio Pinto (avvocato Donati), Ciro Ruoppo (Musciello) e Fabiana Russo (Rosina). Oltre ad essere stato un attore brillante a teatro, al cinema e in televisione, Peppino ha composto una quarantina e più di testi, tra commedie e atti unici sostanziati da guizzi di follia ludica. Come in altri casi, osservava con acume Gastone Geron in un'affettuosa commemorazione intitolata La sublimazione della farsa, i suoi personaggi sono "presi dalla povera gente", parlano "di cose di ogni giorno con linguaggio dimesso". L'ispirazione di questi testi dipende da Edoardo Scarpetta, suo padre, come Titina e Eduardo, nella cui compagine si formò. Anche questo copione è folto di spunti umoristi, a tratti agro-dolci che riflettono bene l'animo di Napoli, senza scadere mai nella volgarità. Va precisato che Peppino scrive parti cucite per la misura di sé stesso e dei suoi attori, puntando con abilità sull'improvvisazione e l'inventiva. A differenza di Peppino, che aveva ambientato la vicenda nella Napoli un po' oleografica deli anni Trenta, e di Luigi, che l'aveva collocata una ventina di anni più avanti, Leo Muscato, a quanto si legge in una stringata nota di regia, ambienta "la storia in una Napoli anni '80, una Napoli un po' tragicomica e surreale in cui convivevano Mario Merola, Pino Daniele e Maradona". La presenza di Enzo Decaro, attore, sceneggiatore e cabarettista di valore, componente tra gli anni '70-80 con Massimo Troisi e Lello Arena de La smorfia, è l'omaggio ad un esponente di primo piano della nuova comicità napoletana e nel contempo un ricordo elegante di Luigi De Filippo. Peppino sceneggia una pièce ironica e paradossale imperniata sull'avaro e egoista Gervasio Savastano, direttore di un'azienda affermata, che impedisce alla figlia Rosina, innamorata di un giovane impiegato, e a sua moglie Teresa di uscire di casa. Il suo demone, la fissazione di essere vittima della iettatura, soffoca in lui ogni sentimento e offusca ogni barlume di coscienza. Per questo licenzia un onesto impiegato, Belisario Malvurio, cui attribuisce un influsso negativo sull'azienda. Quando arriva il giovane Alberto Sammaria, intelligente, gioviale e preparato ma gobbo, gli affari cominciano ad andargli bene. Anche la figlia Rosina sembra avere dimenticato il suo precedente innamorato. Quando il giovane confessa al direttore dell'azienda di essersi innamorato di Rosina avverte l'esigenza di rassegnare le proprie dimissioni. Alla fine Savastano, che presenta alcune somiglianze con Arpagone, protagonista de L'avaro di Molière, autore molto amato da Peppino e Luigi, scoprirà che il giovane cui attribuisce la fortuna della azienda non è gobbo e che è l'uomo di cui la figlia è innamorata, supererà finalmente la propria dissennatezza, accettando le scelte della figlia. La commedia di Peppino De Filippo (1903-80), gioiosa e scattante come è, ha ancora, a poco meno di ottant'anni dalla composizione, una grande vitalità e festosità. Unica e piccola critica, relativa alla scenografia, per lo più essenziale e con oggetti movimentati a vista, sono le colonne poste in primo piano, che costituiscono talvolta intralcio alla buona visuale dello spettatore. Comunque sia resta il fatto che questa rappresentazione intelligente e rigorosa costituisce la migliore conclusione di un festival nel quale anche quest'anno il direttore artistico Stefano Delfino ha profuso un grande impegno che ha avuto esiti ragguardevoli.
Roberto Trovato