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SANTARCANGELO 2019 ovvero il reboot della contemporaneità. -di Nicola Arrigoni

"Dragon rest your head on the seabed", progetto scenico di Pablo Esbert Lilienfeld e Federico Vladimir Strage Pazdirc. Foto Enrique Escorza "Dragon rest your head on the seabed", progetto scenico di Pablo Esbert Lilienfeld e Federico Vladimir Strage Pazdirc. Foto Enrique Escorza

Santarcangelo ovvero il reboot della contemporaneità
L'edizione 2019 proiettata verso il cinquantesimo della kermesse
Conversazione con Giovanni Boccia Artieri
di Nicola Arrigoni

Che lo si critichi o lo si elogi, Santarcangelo, come pochi altri festival, regala pensieri, esperienze e suggestioni che ci si porta a casa. È lo sguardo responsabile che ha caratterizzato la chiusura della triennalitá di Eva Neklyaeva e Lisa Gilardino, chiusura all'insegna della lentezza e della gentilezza. Questi due aspetti sono ricorsi, forse, nella tensione costante che gli spettacoli e le performance proposte hanno dimostrato: una tensione dialogica e partecipativa nei confronti dello spettatore. È l'indifferenza che è bandita da questo festival, è la comodità dello star fuori che Santarcangelo non tollera, con gentilezza e senza violenza.
L'edizione 2019 sarà ricordata come l'edizione della piscina per lo spettacolo di danza e abilità acquatiche, Dragon rest your head on the seabed, progetto scenico di Pablo Esbert Lilienfeld e Federico Vladimir Strage Pazdirc di cui Lisa Gilardino insieme ad Eva Neklyaeva mostrano le foto sul cellulare: «Sarà, ma la gradinata della piscina era esaurita in tutte le repliche, l'impressione regalata dalla folla è tanta, è un segnale – spiega Gilardino – Santarcangelo sa essere anche questo: un'occasione in cui uno spettacolo in site specific, creato appositamente per il festival richiama un pubblico non solo di appassionati del teatro, ma le famiglie, gli amanti del nuoto sincronizzato, semplici curiosi. Credo che Dragon abbia aperto la kermesse come una grande festa. Così è stato per gli spettacoli di piazza di Joan Catalát nel centro di Santarcangelo, così è stato per le feste e le lunghe nottate all'Imbosco. A questi aspetti che hanno saputo coinvolgere la comunità, si sono affiancati e intrecciati gli appuntamenti del festival quelli più performativi, come quelli più nei canoni dei linguaggi dello spettacolo dal vivo».

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Tutto questo per la quarantanovesima edizione si è tradotto «in più di 24.000 presenze nei dieci giorni di programmazione. Sono stati 12.203 i biglietti venduti, confermando l'incremento registrato già nel 2018; almeno 12.000 spettatori agli eventi gratuiti; 251 gli appuntamenti, di cui 140 a pagamento e 111 gratuiti; 44 compagnie invitate, di cui 34 italiane e 10 straniere, per 152 repliche; 43 spettacoli di cui 9 coproduzioni, 10 concerti e 10 proiezioni di film, 10 dj-set a Imbosco, 2 laboratori, 5 incontri, 5 bagni di suono tutti a ingresso gratuito - spiega Lisa Gilardino -. Tra le attività speciali 21 artigiani del corpo coinvolti e il progetto di sostenibilità ambientale "Presente Sostenibile"; inoltre, un ristorante attivo ogni sera, una mostra, tre installazioni, quattro giorni di mercatino vintage in centro, un campeggio, appuntamenti di trekking e Qi Gong. Numerosi gli operatori culturali presenti: 158 in totale, dei quali 68 italiani e 90 stranieri. Più di 90 i giornalisti accreditati, tra stampa nazionale e internazionale. Santarcangelo Festival è realizzato da uno staff di 141 persone, tra i quali hanno offerto il proprio prezioso contributo 30 stagiste e stagisti, 25 volontarie e volontari». Capacità di progettare, sguardo internazionale, attenzione ai linguaggi performativi, apparentemente non strettamente legati al teatro, la capacità di coniugare lo sguardo internazionale con un'azione di laboratori e di creazioni legate al territorio sono gli aspetti che Eva Neklyaeva e Lisa Gilardino mettono in evidenza e in un certo qual modo concepiscono come il tratto distintivo della loro triennalità. In questa sede si è voluto non tanto ripercorrere quanto accaduto a Santarcangelo – per questo si rimanda agli articoli pubblicati sul sito www.sipario.it -, ma piuttosto concentrarsi sulle prospettive e su un bilancio di idee ed eredità di quello che a tutti gli effetti è considerato un po' l'Avignone italiano.
Alla fine dei tre anni al femminile di Neklyateva e Gilardino e con l'imminente traguardo del 50° di Santarcangelo si è voluto chiedere un bilancio al neoeletto presidente dell'Associazione Santarcangelo dei teatri, Giovanni Boccia Artieri cercando così di capire quale sia stata l'eredità di questi tre anni caratterizzati da un approccio internazionale e performativo, confermato con forza nell'ultima edizione. «Credo sia stato un triennio che ha contribuito ad aprire il festival a tutto l'insieme delle arti performative, offrendo quindi una visione più complessiva allo spettatore e capace di porsi delle domande sul presente ancora più precise, capaci di esplorare identità e ferite sociali attraverso forme molto diverse», spiega.

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A chi ha lamentato uno spazio eccessivo ad azioni performative che hanno messo in secondo piano spettacoli più strutturati, cosa risponde?
«Ogni direzione immagina un percorso che è fatto di un intreccio tra azioni artistiche, esplorazioni di spazi nella città e di rapporto con lo spettatore. Le scelta di Eva e Lisa sono, per me, l'indicatore della volontà di confrontarsi con un rapporto più intimo, personale e di prossimità. Non si tratta quindi di maggiore o minore strutturazione della spettacolarità ma di capacità di aprirsi ad una relazione più vicina con chi guarda: ne va della qualità del gesto oltre che della, lo ripeto, intimità».

L'edizione 2019 conclude il triennio di Eva Neklyaeva e Lisa Gilardino. Quale crede possa essere l'eredità di questa esperienza?
«Il festival è cresciuto in questi anni nella sua capacità produttiva - supportando progetti da costruire lungo l'anno e presentare nelle giornate del Festival -; nella capacità di parlare a più generazioni, attraverso un coinvolgimento che si svolge, anche questo, lungo l'anno; nel consolidamento della partecipazione degli operatori italiani e soprattutto stranieri che vedono il festival come un luogo di scoperta».

A proposito di eredità... Santarcangelo sarà capofila del progetto  BE PART - Art BEyond PARTicipation che coinvolgerà una decina di partner. Cosa significa questo per il festival?
«È il riconoscimento della capacità di strutturare una rete internazionale. Sono nove i Paesi coinvolti con le realtà di  A rtsadmin LTD (Inghilterra), Scottish Sculpture Workshop (Inghilterra), Kunstencentrum Vooruit Vzw (Belgio), Kansallisgalleria (Finlandia), Latvijas Jaunā Teātra Institūts (Lituania), Association Festival de Marseille (Francia), Društvo Za Promocijo Žensk V Kulturi – Mesto Žensk (Slovenia), L'art Rue (Tunisia), A Sense of Cork Mid-summer Arts Festival (Irlanda). Ma il progetto di cui siamo capofila è anche la dimostrazione che si è saputo competere a livello europeo sulla capacità di progettazione culturale. In particolare il progetto mette a tema la partecipazione pubblica della pratica artistica, promuovendo e indagando pratiche di co-progettazione e co-creazione tra artisti, pubblici e comunità, promuovendo la mobilità e le dinamiche di inclusione: dando cioè alla partecipazione un valore sociale e politico nella dimensione artistica».

La scelta degli ultimi anni di procedere per triennalità di direzioni artistiche ha posto il festival nella condizione di continue ripartenze. Un bene o un male? Quali i pro e quali i contro?
«Nella natura del festival c'è questa logica del reboot - per usare un concetto della fiction - che porta a ripartire ciclicamente facendo tesoro di quanto è stato acquisito per esplorare attraverso uno sguardo diverso. Il reboot sta nella capacità di riscrittura mantenendo la riconoscibilità dell'identità, nella capacità di parlare agli appassionati e ai fan ma allo stesso tempo di rivolgersi a nuovi pubblici. Se da una parte questo rappresenta una sfida per la macchina organizzativa che si trova a dover supportare una direzione artistica sempre nuova, dall'altra costituisce uno slancio vitale che impedisce di finire in routine e di adagiarsi in meccanismi ripetitivi».

C'è nelle edizioni degli ultimi anni una tendenza a interrogarsi sul senso di appartenenza comunitario. Questo riguarda il rapporto fra festival e la città di Santarcangelo, ma è un bisogno che attraversa l'intero mondo della arti. Sembra che in mancanza di grandi racconti, oggi la soluzione stia nel rivolgersi a comunità piccole che siano quelle dei migranti e delle varie nazionalità, che semplicemente le comunità politiche o di impegno sociale/umanitario. Tutto ciò che sviluppo ha e avrà nel disegno di Santarcangelo?
«Personalmente credo che la struttura sociale stessa si stia sempre più orientando a micro-comunità fortemente coese, talvolta oppositive (pensiamo ai meccanismi di polarizzazione) e con il rischio di produzione e riproduzione di omofilia (l'effetto 'bubble' non riguarda unicamente i filtri generati dagli algoritmi online). La sfida è quindi quella di mettere in connessione queste micro-comunità e attraverso di esse le istanze di cui sono portatrici. Di fronte alla caduta delle Grandi Narrazioni non credo che la risposta sia nella produzione di uno storytelling, ma nella capacità di condividere valori che sappiano dare le coordinate per la propria posizione nel mondo. L'arte ha questa capacità di mettere i corpi di fronte alle dinamiche dell'esistenza e questa dimensione 'esistenziale' del festival - ciò che si prova partecipando e diventando parte di una comunità temporanea - è forse la direttrice più forte con la quale confrontarci».

Si è avuto l'impressione che il linguaggio del teatro non bastasse più a fare mondo. Che qualcosa nel rito del teatro si sia rotto? Solo un'impressione o una riflessione sul linguaggio di cui tener conto?
«Il rapporto tra rito e teatro è una variabile culturale che muta nel tempo, dalla coincidenza delle origini (in quanto modalità diverse della stessa esperienza) alla crescente autonomizzazione della forma teatro. E questa forma si confronta oggi con linguaggi nuovi che sono diventati comuni (penso al digitale) e con un bisogno del sacro che è radicalmente cambiato, come nella diffusione di una cultura della 'banal religion' come evocazione di emozioni del sacro attraverso i media. È con i bisogni di efficacia e di intrattenimento di questi pubblici che la forma teatro oggi deve confrontarsi».

La direzione affidata ad Enrico Casagrande e Daniela Nicolò (Motus) sembra rompere con la triennalità di cui si accennava. In che direzione andrà l'edizione del 2020?
«L'edizione del 2020 con la direzione di Motus è stata immaginata come un atto unico, come un gesto scenico di eccezionalità che si attua e si esaurisce. In questo suo 'eccedere', si propone di debordare, costruendo tessiture che sappiano guardare al futuro - sia artisticamente che come progettualità del festival -, di esplorare spazialità e temporalità diverse e inedite dei luoghi del festival e della memoria sociale, di mettere a tema il divenire e le differenze identitarie. Il lavoro di Motus ha punteggiato ciclicamente la storia del festival dalle origini della compagnia e sono convinto che il loro lavoro darà vita a un reboot eccezionale».

Con sempre maggiore convinzione si è lavorato durante l'anno, con progetti di stanzialità creativa. Una scelta che caratterizza non solo Santarcangelo, ma anche altre realtà festivaliere come Kilowat e per certi versi lo stesso Drodesera. Non basta più il tempo della festa?
«C'è bisogno di prendersi tempo e di dedicarsi alla cura. Credo che un festival sia un attore sociale che incide su un territorio e su una dimensione pubblica che gli richiede di impegnarsi aprendo, ad esempio, alla stanzialità degli artisti, dando loro un territorio di residenza non solo fisico ma progettuale e prendendosi cura di queste progettualità. L'arte, in fondo, è un bene pubblico e un Festival come Santarcangelo ha il dovere di prendersene cura».

Ultima modifica il Giovedì, 03 Ottobre 2019 10:04

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