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FESTIVAL DELLO SPETTATORE 2019 - AREZZO: "Il giardino dei ciliegi. Trent'anni di felicità in comodato d'uso", con Lodovico Guenzi. -di Pierluigi Pietricola

"Il giardino dei ciliegi. Trent'anni di felicità in comodato d'uso", regia Nicola Borghesi "Il giardino dei ciliegi. Trent'anni di felicità in comodato d'uso", regia Nicola Borghesi

Il giardino dei ciliegi. Trent'anni di felicità in comodato d'uso
Kepler – 452
ideazione e drammaturgia Kepler – 452 (Aiello, Baraldi, Borghesi)

regia Nicola Borghesi

con Annalisa e Giuliano Bianchi, Tamara Balducci, Nicola Borghesi, Lodovico Guenzi

produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione
Festival dello Spettatore 2019 – Arezzo
Teatro Petrarca 5 ottobre 2019

C'è una sottile differenza fra uso e interpretazione di un'opera d'arte. Interpretare vuol dire far emergere il non detto, dare voce a quei silenzi e a quelle ombre che le metafore realizzano, tentando di spiegare il tutto nel rispetto dell'apparenza fenomenica. Usare un'opera, invece, significa farle dire qualsiasi cosa ignorando la sua letteralità. Il giardino dei ciliegi. Trent'anni di felicità in comodato d'uso appartiene agli utilizzi che, oggi, in teatro si fanno dei classici. Difatti vi è pochissimo dell'opera di Cechov: il titolo e qualche battuta. Il resto è storia vera.
"Annalisa e Giuliano hanno vissuto trent'anni in una casa colonica, concessa dal Comune di Bologna in quanto fondatori di un'associazione che si occupa di animali... Per trent'anni convivono in quella casa babbuini, carcerati, una famiglia rom, boa constrictor... Finché, nel 2015, ricevono un avviso di sfratto [e] questo contemporaneo Giardino dei ciliegi nell'arco di una mattinata di settembre cessa per sempre di esistere".
L'idea che sottende l'operazione drammaturgica di Aiello, Beraldi e Borghesi nei principi è nobile e lodevole: leggere un avvenimento della nostra contemporaneità attraverso le righe di un classico. Ma nell'entusiasmo creativo, essi hanno ignorato che l'opera di Cechov, come diceva Strehler, aveva per protagonista la Storia: quel vento incessante che, senza badare a persone destini e avvenimenti, soffia su ciò che incontra e lo spazza via per accogliere quello che verrà dopo. Fuor di metafora, Il giardino dei ciliegi rappresentava l'ascesa del cosiddetto terzo stato a discapito della nobiltà ormai in declino. Ma chi può dire che ciò sia stato un bene o un male in senso assoluto? Cechov non si esprime. Ed è in questo silenzio che la grandezza dell'opera emerge con potenza. La vicenda di Annalisa e Giuliano Bianchi, per quanto ingiusta e infelice, non si può inquadrare nella Storia rappresentata dal grande drammaturgo russo, bensì in un eclatante fatto di cronaca. Ecco perché istituire un parallelismo con Il giardino dei ciliegi risulta, in questo caso, lievemente eccentrico.
Su un palco popolato da gabbie e mobili vari accatastati in modo caotico, così da riprodurre l'interno di un'abitazione tutt'altro che precisa e ordinata – quella dei coniugi Bianchi –, Nicola Borghesi, Lodovico Guenzi e Tamara Balducci danno vita ad uno spettacolo a metà via fra una versione del Giardino, un fatto di cronaca raccontato e divulgato per mezzo del teatro, l'intrattenimento comico e la rappresentazione della vita vera attraverso la presenza di Annalisa e Giuliano. I quali sono chiamati a interpretare loro stessi, a raccontare ciò che hanno vissuto, il disagio che hanno dovuto affrontare.
Per Aiello, Baraldi e Borghesi la relazione fra la storia dei Bianchi e il Giardino consiste nell'identità che accomuna luoghi e persone. Una chiave di lettura interessante. Non sarebbe stato meglio riflettervi attraverso un'attenta interpretazione – non un uso – dell'opera di Cechov?

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Martedì, 08 Ottobre 2019 10:24

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