Antropolaroid
di e con Tindaro Granata
scene e costumi Margherita Baldoni, Guido Buganza
rielaborazioni musicali Daniele D’angelo
suoni e luci Matteo Crespi
produzione Proximares
alla cascina Le Giare di Ragazzola (Parma), 26 giugno 2020
Un’aia di cascina al posto della platea, le sedie distanziate l’una dall’altra di un metro, 210 sedie tutte occupate da un pubblico mascherato. Michela porta una lunga gonna blu plissettata e tre collane di varie tonalità di azzurro che impreziosiscono una camicetta bianca. Un’altra ragazza ha scelto un lungo completo nero, pantalone e top. Più informali gli uomini… Ma si percepisce la necessità, anche nell’abbigliamento, di sottolineare l’eccezionalità di un debutto: il ritorno a teatro nell’aia della cascina Le Giare di Ragazzola per assistere ad «Antropolaroid» di Tindaro Granata e l’aia della cascina avrebbe potuto essere la platea del Ponchielli di Cremona come del Regio di Parma oppure di qualsiasi altro teatro italiano…. Le Giare di Ragazzola è in area golenale fra le province di Parma e Cremona, uno spazio di confine a poche centiania di metri dal fiume Po. È un debutto per tutti: noi spettatori che dopo quattro mesi torniamo a vivere la convocazione teatrale, lo è per Tindaro Granata che non nasconde di essere emozionatissimo. E allora il monologo Antropolaroid che dice della storia familiare dell’attore siciliano, di tre generazioni di Granata fra miseria, antichi riti mediterranei e la familiarità con i Badalamenti è qualcosa di più di un racconto, è testimonianza basica della forza comunicativa del teatro. Il teatro è fatto da un uomo che racconta e che chiede di essere ascoltato da un pubblico partecipe, da un coro: sia attore che pubblico disposti a credere alla parola poetica, al racconto agito che rivela un’altra realtà, che crea un’altra realtà. L’attore, una sedia (del cremonese Guido Buganza… ha commentato lo scenografo su Facebook) e un telo bianco: questi gli elementi essenziali, il sostegno concreto di un dire ed essere in scena che Granata sa rendere potente.
«A metà mi è andata via la voce, mi capita quando sono molto emozionato», ha confessato alla fine l’attore. E assistendo ad Antropolaroid è parso chiaro al pubblico perché il teatro non possa essere distanziamento, perché il teatro sia mancato a tanti. Granata è nel dire corpo, è voce. Muovendosi l’attore riempie lo spazio, il suo sguardo ti interroga. Nel fare i tanti personaggi della sua saga familiare, Tindaro Granata è donna e uomo, è la sua bisnonna, è suo nonno, è sua madre bambina, è il padre fanciullo che sogna di andare in Svizzera a lavorare con gli zii. Ecco perché il teatro non può essere in video, non si può accontentare dello streaming, chi l’altra sera era a Ragazzola lo ha capito alla grande: il teatro è contatto — anche con il pubblico mascherato — lo è nello schiaffeggiarsi in scena del nonno di Tindaro che chiede un bicchiere di vino per scacciare la notte nera in cui si compie l’indicibile, lo è nella danza di valzer della zia zitella offesa in una gamba che ha il ritmo dolente di un desiderio infinito d’amore… Per tutto questo il teatro non può che compiersi nel qui ed ora della presenza simultanea di corpi presenti e di anime partecipi.
L’attore sul palco e Tindaro in particolare è parola incarnata, corpo trasfigurato dall’arte, corpo poetico in cui ogni gesto, ogni respiro è unico e universale, amplificato per essere condiviso dagli spettatori e al tempo stesso intimo e segreto. L’attore è una sorta di Cristo in cerca di una resurrezione, è l’assurgere l’immanente dello stare nel corpo nel trascendente della poesia che si fa invenzione di realtà. Da tutto questo noi spettatori siamo investiti, sopraffatti, lo sguardo si amplia di stupore ed è istintivamente affamato di bellezza. Per questo ci è mancato il teatro: perché il teatro è incontro, confronto, la possibilità di praticare utopie, il lusso di condividere sogni, emozioni e dolori, non da soli davanti a un video, ma tutti insieme anche nell’aia di una cascina in una notte di mezza estate con la luna che fa capolino oltre il fienile.
Nicola Arrigoni