Rigoletto
Musica Giuseppe Verdi
Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma Le Roi s’amuse di Victor Hugo
direttore Daniele Gatti
regia Damiano Michieletto
MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
SCENE Paolo Fantin
COSTUMI Carla Teti
MOVIMENTI COREOGRAFICI Chiara Vecchi
LUCI Alessandro Carletti
REGIA CAMERE LIVE Filippo Rossi
PRINCIPALI INTERPRETI
IL DUCA DI MANTOVA Iván Ayón Rivas
RIGOLETTO Roberto Frontali
GILDA Rosa Feola
SPARAFUCILE Riccardo Zanellato
MADDALENA Martina Belli
GIOVANNA Irida Dragoti **
IL CONTE DI MONTERONE Gabriele Sagona
MARULLO Alessio Verna
MATTEO BORSA Pietro Picone
IL CONTE DI CEPRANO Matteo Ferrara
CONTESSA DI CEPRANO Angela Nicoli
PAGGIO Marika Spadafino
USCIERE Leo Paul Chiarot
** diplomato “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma
Stagione 2019/2020
Teatro dell’Opera di Roma-Circo Massimo dal 16 al 20 luglio 2020
La bellezza del teatro sta nella fantasia, affermava Savinio. Come negarlo? Come dimenticarlo? Damiano Michieletto, ad ogni sua regia, puntualmente rende tutto terragno. Via colori, invenzioni, metafore, ambiguità, gioia e leggerezza. Fa capolino, con questo regista, la stinta realtà. Essa non è mai resa problematica, meditata e mostrata al pubblico in tutto il suo orrore. Al contrario, viene riprodotta così com’è, a dispetto di ogni estetica teatrale (classica o recente che sia).
Il Rigoletto messo in scena al Circo Massimo di Roma per la regia di Michieletto è l’apoteosi dell’incoerenza rispetto all’originale verdiano. Del quale, sia detto, restano le partiture e il libretto. Ma tutto ciò finisce per apparire inutile pensando all’ambientazione e alla storia che vi si racconta. Michieletto, indifferente ad ogni rispetto filologico, per semplificare un lavoro interpretativo che sarebbe forse risultato troppo complesso da realizzare in poco tempo, elimina il Ducato di Mantova e il XVI secolo, prediligendo un’ambientazione che ricorda i parcheggi dei polverosi luna park di periferia degli anni Settanta-Ottanta del secolo passato. Rigoletto, da buffone di corte, si tramuta in parcheggiatore. Il Duca diviene un criminale che vuole soddisfare i suoi appetiti carnali, ogni fantasia che gli frulla per la testa. I vari personaggi – superfluo dirlo – vestono panni moderni, ricordando i sicari dediti alla delinquenza, le cui fattezze possiamo incontrarle sulla cronaca locale ogni giorno. La storia sfortunata e ingiusta di Rigoletto si trasforma così in un noioso e ripetitivo fatto di cronaca di periferia.
Modesta la direzione d’orchestra affidata a Daniele Gatti, priva di colore e sfumature, assente di qualsiasi originalità esecutiva. Altrettanto modesta l’interpretazione dei vari cantanti, eccezion fatta per le vocalità di Iván Ayón Rivas (il Duca) e Rosa Feola (Gilda), nitide negli acuti e ottimamente controllate sia sul piano degli armonici che nella modulazione.
Questo “Rigoletto on the road”, a metà via fra cinema e teatro (inappropriata, a tal proposito, la citazione del recente film Joker nella scena del rapimento, coi vari delinquenti che indossano una maschera da clown), si è rivelato uno spettacolo orrendo, privo di originalità. Eppure Michieletto, che vanta una buona formazione, dovrebbe sapere cosa vuol dire interpretare, come dramaturg e poi come regista, un’opera. Ma egli pare sempre più propendere per una versione moderna ad ogni costo dei classici. Scelta, questa, ormai poco originale. Soprattutto perché contribuisce a svilire la grande tradizione del melodramma italiano che tutti ci invidiano. Un teatro d’opera, come Bruno Barilli ci ricorda, “piccolo, odoroso, stagionato, sonoro, dorato e pieno tutto di genio fino al soffitto: reggia di acchito e di fantasia”.
Particolarità che Michieletto ha dimenticato? O non ne ha tenuto conto perché non le ha mai conosciute e né si preoccupa di instaurare con esse un confronto interpretativo?
Pierluigi Pietricola