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XIII Edizione del NAPOLI TEATRO FESTIVAL 2020 - "Antichi maestri" regia Federico Tiezzi. -di Gigi Giacobbe

Sandro Lombardi in "Antichi Maestri" Sandro Lombardi in "Antichi Maestri"

Antichi maestri
di Thomas Bernhard
Regia di Federico Tiezzi
Traduzione: Anna Ruchat
Drammaturgia: Fabrizio Sinisi
Interpreti: Sandro Lombardi, Martino D’Amico, Alessandro Burzotta
Scene e costumi. Gregorio Zurla
Luci: Gianni Pollini
Regista assistente: Giovanni Scandella
Produzione: Compagnia Lombardi-Tiezzi, Associazione Teatrale pistoiese, Centro di produzione teatrale
in collaborazione con la XIII Edizione del Napoli Teatro Festival.
Palazzo Reale- Cortile delle Carrozze, 22, 23 luglio 2020

Prima assoluta

Un quadrato centrale e due rettangoli perpendicolari, costruiti con segmenti di neon, sagomano la geometrica Sala Bordone del Kunsthistorisches Museum di Vienna, architettata dallo scenografo Gregorio Zurla (suoi pure i costumi) per il romanzo Antichi maestri (1985) di Thomas Bernhard sull’arte figurativa, diventato adesso per merito di Fabrizio Sinisi un’avvincente e chiara drammaturgia e di Federico Tiezzi sugli scudi, autore d’uno spettacolo esaltante e d’una felice ed essenziale messinscena senza sbavature nel Cortile delle Carrozze del Palazzo Reale, all’interno della 13ᵃ edizione del Napoli Teatro Festival diretta e voluta fortissimamente da Ruggero Cappuccio nonostante il Covid-19 s’aggiri fra di noi.
L’opera in questione conclude idealmente una trilogia sulle arti, preceduta da Il soccombente (1983) incentrato sulla musica e da A colpi d’ascia (1984) dedicato all’arte drammatica. Nello spazio si rinvengono tre panche imbottite, una più grande centrale e due più piccole laterali, mentre frontalmente dalle pareti pendono quattro opere che riproducono figure simili a quelle delle pellicole dei negativi fotografici, mentre centralmente, illuminato doviziosamente, giganteggia il dipinto L’uomo dalla barba bianca di Tintoretto. Una delle tele che il musicologo e critico d’arte Reger, vestito mirabilmente da un Sandro Lombardi in stato di grazia volando per 80 minuti su altissime vette interpretative, annovera fra i capolavori di tutti i tempi, al punto che da trent’anni, un giorno sì e uno no, si reca in quella sala, si siede su quella panca e in silenzio pensa (“penso e dunque vivo, vivo e dunque penso” dirà ad un tratto parafrasando Cartesio). Di tanto in tanto fa capolino l’anziano amico Atzbacher (Martino D’Amico) che a guisa d’intervista, alla maniera quasi del nipote di Rameau di Diderot, gli chiede quello che noi tutti vorremmo sapere e tra i due s’aggira un custode del Museo, tale Irrsigler (Alessandro Burzotta) che non profferirà mai verbo, colto più volte in posizioni ginniche, illuminato a volte di viola (luci di Gianni Pollini), un omaggio forse a Bob Wilson e alle sue magie luministiche, che il colto Reger accomuna ad un semplice secondino, certamente per via della divisa. Dalla bocca di Reger escono giudizi severissimi: Michelangelo e compagni devono la loro fortuna alla Chiesa e ai vari Stati del tempo: Dürer ha tappezzato le pareti di paura, al Kunsthistorisches Museum non c’è un Goya o un El Greco. Quanto poi agli storici dell’arte per lui sono i veri devastatori e annientatori dell’arte, uccisa da loro senza scampo. Ce l’ha poi con Vienna e i viennesi che sono i più sporchi d’Europa, si cambiano le mutande ogni settimana etc..etc..sono volgari, imbecilli e anche il Prater non è di suo gradimento. Non escono bene neppure francesi, inglesi, polacchi e scandinavi, troppo antipatici, mentre i russi puzzano di aglio. Beethoven è insopportabile, Mahler è il compositore più sopravalutato del secolo, San Pietro a Roma è una costruzione abborracciata. Gli unici autori che legge e pare che apprezzi sono Montaigne, Pascal e Voltaire. Quanto al Teatro l’unica commedia che gli piace è La brocca rotta di Kleist, rappresentata spesso al Burg Theatre che secondo lui è il miglior teatro di Vienna. Le domande di Atzbacher vanno sempre più sul personale, anche perché gli passa per la testa che Reger possa suicidarsi in seguito alla perdita della moglie conosciuta giusto in quella sala davanti al quadro di Tintoretto. Non solo, ma teme anche per i suoi ragionamenti un po’ strampalati. Ecco cosa dice: odia passeggiare perché non si riesce a pensare: detesta il sabato, la domenica è un giorno tremendo, il lunedì gli dà sollievo: le malattie insorgono quando non si lavora abbastanza: gli piace stare affacciato alla finestra e guardare la gente è la sua principale occupazione. Ha avuto un’infanzia disperata, un inferno, non amava i genitori perché per trentacinque anni lo hanno represso: la sorella di 19 anni è morta all’improvviso: essere al mondo è una disgrazia, ecco perché non si dovrebbe festeggiare il compleanno. Dopo aver conosciuto la moglie alla quale non piaceva quel Tintoretto, lui le propose di mangiare insieme e poi si sono sposati. Stava bene con sua moglie, mentre adesso è costretto a stare da solo e nonostante tutto deve continuare a vivere. Il recarsi al museo è come ritrovare la moglie, pensare a lei, sentirsi gratificato. “Non sono gli antichi maestri a tenerci in vita – dirà - ma l’unico essere umano che abbiamo amato”. Gli antichi maestri tuttavia ci danno la possibilità di sopravvivere.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Lunedì, 27 Luglio 2020 11:22

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