Il seme della violenza –The Laramie Project
di Moisès Kaufman e del Tectonic Project
Regia di Fernando Bruni, Francesco Frongia
Traduzione: Emanuele Aldovrandi
Interpreti: Ferdinando Bruni, Margherita Di Rauso, Giuseppe Lanino, Umberto Petranca, Marta Pizzigallo, Luciano Scarpa, Marcela Serli, Francesca Turrini
Luci: Michele Ceglia
Suono: Giuseppe Marzoli
Assistente regia: Alessandro Frigerio
Assistente scene: Roberta Monopoli
Assistente costumi: Elena Rossi
Coproduzione Teatro dell’Elfo, Fondazione Campania dei Festival- Napoli Teatro Festival Italia in collaborazione con Festival dei due Mondi di Spoleto.
Palazzo Reale- Cortile d’Onore 21, 22 luglio 2020
Prima assoluta
The Laramie Project di Moises Kaufman diventato qui da noi Il seme della violenza e messo in scena in modo eccellente da Ferdinando Bruni e Francesco Frongia nel Cortile d’Onore del Palazzo Reale di Napoli, è uno di quei lavori di stampo civile perché l’umanità intera non dimentichi come un giovane di quasi 22 anni sia stato massacrato a legnate da due ragazzi della stessa età, dopo averlo legato ad una staccionata, derubandolo del portafogli, lasciandolo lì a piedi nudi a crepare di freddo col cranio sfracellato con dei colpi inferti col calcio d’una pistola. Il corpo viene trovato all’alba da un ciclista di passaggio, in ospedale le sue condizioni sono gravissime e dopo cinque giorni di agonia muore. Quel giovane si chiamava Matthew Shepard e a Laramie, cittadina di non più di 27mila abitanti dello stato di Wyoming negli Usa, tutti sapevano che era gay e lo sapevano pure quei due giovani killer ed è per questo motivo che lo hanno ucciso nei primi giorni dell’ottobre del 1998. Un fatto di sangue che non sfugge alla compagnia del Tectonic Theater che va a Laramie con l’intenzione di conoscere la gente che vi abita, parlare, discutere, intervistare uomini donne, studenti, lavoratori d’ogni sorta, col risultato finale di redigere un testo teatrale firmato da Kaufman. Adesso il duo Bruni-Frongia lo ha messo in scena al Napoli Teatro Festival N°13, titolandolo Il seme della violenza, che si propone di smuovere le coscienze umane perché anche da noi il tema dell’omofobia, della differenza dei sessi, dell’odio verso il diverso diventi materia di dibattito e anche di leggi in parlamento che trattino questa particolare materia, magari prendendo spunto da questo giovane statunitense ucciso solo perché sessualmente diverso. La scena di questo spettacolo sembra un’aula scolastica con otto banchi disposti in semicerchio, quanti sono i protagonisti, tutti all’altezza, in grado d’interpretare una sessantina di personaggi e tutti da citare (lo stesso Bruni e poi Margherita Di Rauso, Giuseppe Lanino, Umberto Petranca, Marta Pizzigallo, Luciano Scarpa, Marcela Serli, Francesca Turrini). Dietro di loro sono piazzati due grandi schermi, come accade in quelle trasmissioni televisive di “teatro documento o teatro verità”, che proiettano immagini di Laramie, cartoline illustrate di monti, campagne verdi, fattorie, cavalli etc.., in sintonia con i suoi abitanti, molti dai modi grossolani, contadini e proprietari terrieri che vivono di cose semplici e sane, pensando ai loro allevamenti, ai barbecue fumanti di costate di manzo o di bufalo. Certamente in questa piccola città ci sono lesbiche e gay, ma non bisogna dirlo o farlo sapere, per non essere bollati di chissà quale malattia. Avranno tutti un po’ di visibilità quando giungono alcune troupe televisive che racconteranno di questo giovane morto ammazzato, mentre sugli schermi si leggono cartelli del tipo “L’odio non è uno dei valori di Laramie”, non accettando i cittadini che la loro città possa identificarsi come un luogo di crimine, puntualizzando molti che il loro motto è “Vivi e lascia vivere”. C’è la testimonianza del barista che dice d’avere servito due birre ai due giovani che parlavano concitatamente con Matthew e d’averlo poi trascinato fuori dal locale, senza aver visto il tragico epilogo e c’è pure un ragazzo che ha trovato il corpo di Matthew sulla staccionata che somigliava ad un manichino. Testimonianze le più variegate di studentesse, insegnanti, preti, poliziotti, alcune pittoresche altri strazianti come quelle dei genitori del giovane ucciso. Seguiranno cortei e marce pacifiste con striscioni in bella vista e nel giorno del funerale tutti con gli ombrelli per via d’una nevicata visibile sugli schermi e poi spiritual con i protagoniti agghindati da angeli, Angels in America appunto. Non è uno spettacolo giallo. Si sanno chi sono i colpevoli. Si chiamano Aaron McKinney e Russel Henderson. Qualcuno li vorrebbe non colpevoli, qualche altro sulla sedia elettrica, fra questi pure il prete di Laramie. Tuttavia i colpevoli non verranno giustiziati perché il padre di Matthew sarà determinante nel processo facendo dirottare la sentenza di morte verso una sentenza di vita nel ricordo di qualcuno che non vive più.
Gigi Giacobbe