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XIII Edizione del NAPOLI TEATRO FESTIVAL 2020 - "Vaudeville!" regia Roberto Rustioni. -di Gigi Giacobbe

"Vaudeville". Foto Sabrina Cirillo, Ag. Cubo "Vaudeville". Foto Sabrina Cirillo, Ag. Cubo

Vaudeville!
Atti unici di Eugène Labiche
Ideazione, drammaturgia e regia di Roberto Rustioni
Dramaturg: Chiara Boscaro
Interpreti: Francesca Astrei, Luca Carbone, Roberta De Stefano, Loris Fabiani, Paolo Faroni
Scene e luci: Paolo Calafiore
Costumi: Francesco Esposito
Musiche originali: Luca Nostro
Assistente alla regia e alla drammaturgia: Ida Treggiari
Un ringraziamento a Chiara La Ferlita
Produzione: Fattore K, Teatro di Roma- Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia.
Si ringraziano Olinda/Teatrolacucina, La Confraternita del Chianti, Il Teatro del Buratto.
Capodimonte- Fagianeria (Ingresso Porta Miano) 22,23 luglio 2020
Prima assoluta

Vaudeville! (qui col punto esclamativo) è una parola francese che in origine indicava alcuni tipi di canzoni popolari in voga tra il XV e il XVII secolo. Poi fece riferimento ad un tipo di Teatro comico con arie cantabile. Più tardi ancora, scomparse le parti musicali, il genere acquistò gli attributi d’una commedia vera e propria infarcita di situazioni piccanti, equivoci a go-go, imprevisti, porte che sbattevano e si chiudevano e finali sempre zuccherosi, come il pubblico della Belle Époque desiderava. Tre furono i moschettieri del Vaudeville: Georges Feydeau, Eugene Labiche e Georges Courteline, autori prolifici di centinaia di lavori all’insegna della spensieratezza e del divertissement anche se nascondevano pregi e difetti dell’epoca, con risvolti moraleggianti, che non guastava, e che hanno avuto il merito d’essere gli iniziatori del cosiddetto “Teatro dell’Assurdo”, abbracciato poi da Ionesco, Beckett, Asimov, Pinter, Havel e certamente ne dimentico altri. Adesso, per il 13° Napoli Teatro Festival, Roberto Rustioni ha messo in scena al Museo Capodimonte, nello spazio della Fagianeria, alcuni atti unici di Labiche, quando, a mio avviso, avrebbe potuto dare una spolveratina a Il cappello di paglia di Firenze, considerato uno dei capolavori del drammaturgo francese. Lo spettacolo è una sorta di aperitivo labicheano, certamente per palati raffinati, gradito dal pubblico della replica successiva alla “prima assoluta”, boicottata in parte da milioni di moscerini e zanzare e da due black-out che hanno interrotto lo spettacolo, ripreso poi bellamente e senza strascichi da una compagnia affiatata, con un quintetto d’interpreti davvero bravi (Francesca Astrei, Luca Carbone, Roberta De Stefano, Loris Fabiani, Paolo Faroni) e tutti calati perfettamente nei loro ruoli. Su una scena bislacca da Grandi Magazzini, si presenta una domestica carioca (De Stefano), da far concorrenza ad una vera brasiliana, in grado di cantare e suonare il sax. Il suo compito è di badare alla casa che dovrà sembrare disabitata, non dovrà aprire a nessuno e se bussa qualcuno non dovrà mai dire come si chiamano i proprietari. Il padrone di casa (Faroni) parla con voce rauca per via d’un intervento alla gola, la moglie è sempre agitata (Astrei) ed entrambi si comportano come se dovessero nascondere qualcosa o qualcuno, non solo una porta che dovrà restare sempre chiusa. La verità è che il loro nipote (Carboni) che non è un professore di canto, ha una tresca con la moglie del vicino di casa (Fabriani): un tipo bizzarro con codino e trafelato nel suo impermeabile beige con l’etichetta che gli pende ancora da una manica, quello che piomba in quella casa sfoderando ad un tratto una pistola che non farà mai bang, perché lo convinceranno che il presunto amante della moglie, anche lui lì davanti, non è il loro nipote, ma tuttavia costui, per salvarsi la pelle. dovrà dare prova delle sue doti canore. La pièce che segue ha come protagonista una ragazza (Astrei) che deve sposate tale Sigfrid, d’origine tedesca (Faroni), sfoderando molti dubbi sul futuro sposo, cercando un dialogo col pubblico cui viene chiesto com’è andata il giorno prima delle nozze. Da un altro canto c’è un giovane e timido psicologo che l’ama da ventidue anni e sarà lui ad impalmare la fanciulla visto che si scoprirà che Sigfrid non è un tipo affidabile, infatti è già sposato e ha un’altra identità. L’atto finale vede in scena il portinaio Tony, un avvocato strafatto di coca e lo scultore di Riccardo Fanfulla, coinvolti quest’ultimi due in un omicidio d’una donna in un lago.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Lunedì, 27 Luglio 2020 12:34

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