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SPOLETO FESTIVAL DEI DUE MONDI, Edizione 64 - "IL PALAZZO DELLA FINE". -di Pierluigi Pietricola

Spoleto Festival dei Due Mondi 2021
Accademia Nazionale 
d'Arte Drammatica Silvio d'Amico
Il palazzo della fine
Rocca Albornoziana
domenica 27 Giugno 
lunedì 28 Giugno 
martedì 29 Giugno 
di Judith Thompson
esercitazione del II anno del corso di Regia
allieva regista Antonella Lo Bianco
con Michele Eburnea
e gli allievi del II anno
Chiara Ferrara, Francesca Somma
scenografia Massimo Troncanetti
supervisione ai costumi Gianluca Falaschi
luci Pasquale Mari

La verità che si contrappone alla menzogna, il coraggio alla vigliaccheria, il rispetto alla prevaricazione della libertà e dei diritti della persona: sono queste le tematiche che Judith Thompson affronta nel suo Il palazzo della fine.
Tre i personaggi in scena. Lynndie England, soldatessa americana incinta, testimone e talvolta anche protagonista delle disumane atrocità avvenute nel carcere di Abu Ghraib. David Kelly, biologo inglese chiamato a decidere sul futuro dell’Iraq attraverso la conferma o la smentita di una presunta verità: l’esistenza delle armi di distruzione di massa nelle mani di Saddam Hussein. Infine una “moglie di”, una donna come tante – Nehrjas Al Saffarh – testimone diretta, suo malgrado, delle atroci torture inflitte dai carnefici della dittatura irachena negli anni Settanta su suo figlio per costringerla a rivelare dove si nascondesse suo marito, comunista e oppositore del regime.
Tre figure emblematiche, che nulla hanno di inventato né di arbitrario. La Thompson le ha tratteggiate attraverso un sapiente lavoro di selezione di articoli di cronaca sulle loro vite. Le quali in comune hanno il contesto in cui le vicende si svolgono: il regime sanguinario di Saddam Hussein e il tremendo palazzo della fine dove, in nome di una legge degna di Creonte, si consumavano le più atroci torture, i più sporchi delitti.
Straordinaria la messinscena che di questo testo ne hanno fatto i ragazzi dell’Accademia Silvio d’Amico. Come palco: il Salone d’Onore della Rocca Albornoz di Spoleto. Sedie messe in circolo, attorno agli attori. I quali, all’ingresso del pubblico, sono già in scena; ma immobili, inermi. Inizieranno a prender vita solo quando comincerà lo spettacolo. Recitando, essi si rivolgono agli spettatori, cercando un contatto diretto, sincero, non mediato né falsato. Dapprincipio, ciascuno si presenta pronunciando le prime battute del proprio monologo. Poi, a turno, ognuno narrerà la sua storia.
Bravissime Chiara Ferrara e Francesca Somma, soprattutto per l’equilibrio e il giusto distacco col quale hanno tratteggiato i rispettivi personaggi, adottando come chiave interpretativa il rispetto e la compassione per vicende così estreme e severe.
Di straordinarie capacità mimiche e vocali, con una grandissima padronanza nell’esprimere le passioni – anche le più violente e tremende – si è rivelato Michele Eburnea. Questo attor giovane, magro e slanciato, si è presentato in scena in modo imperioso, sicuro dei suoi mezzi, dando vita a un David Kelly umano, troppo umano forse, e proprio per questo geniale. Vigliaccheria che si tramuta in ragionamento illuministico; le mani slanciate che si ravvoltolano su loro stesse; lo sguardo, dietro dei piccoli occhiali, ora sereno, ora stralunato, ora pieno di rancore e odio verso chi lo ha obbligato a mentire: in nessuna di queste situazioni Eburnea ha fatto ricorso a cliché, ricercando e ottenendo sempre – anche nei momenti di maggior pathos – una verità attoriale raffinata e di grande precisione.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Domenica, 04 Luglio 2021 05:56

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