La febbre
Debutto nazionale
Di Wallace Shawn
Traduzione di Monica Capuani
Regia di Veronica Cruciani
Con Federica Fracassi
Todi Festival 2021
Teatro Comunale, 30 agosto 2021
Testo in forma di monologo, La febbre di Wallace Shawn descrive le allucinazioni, i deliri, i barlumi di verità vissuti da un uomo benestante. Non sono vaneggiamenti che hanno a che fare con questioni metafisiche o con le magnifiche sorti e progressive di leopardiana memoria.
Ci si trova a un livello più pragmatico. Il protagonista del romanzo-monologo di Shawn entra in crisi con se stesso. Essere benestanti è una colpa o un merito? Ci sono i poveri, persone che soffrono a causa di altre che stanno meglio e che utilizzano il loro potere a dispetto di chiunque. È giusto tutto questo? Costoro debbono accettare qualsiasi angheria, ogni compromesso, soprusi su soprusi. Non possono ribellarsi, altrimenti perdono anche quel poco che hanno e che a stento permette loro di vivere una vita, per così dire, dignitosa. Quale, allora, la soluzione? La rivolta delle classi disagiate, del proletariato – per utilizzare una terminologia di marxiana memoria. Ma dove condurrebbe tutto ciò? Le risposte, per Shawn, sono chiare: basta pensare a quelle nazioni dove le rivolte a favore del popolo si sono trasformate in dittature dispotiche ben peggiori e feroci dei regimi spodestati. E quindi che fare? Shawn non risponde. Si limita a tracciare un affresco, cupo e allucinato, della situazione che presto nazioni ricche e paesi del terzo mondo si troveranno a vivere all’alba del terzo millennio (La febbre è stato scritto agli inizi degli anni Novanta del Novecento).
Visione distorta della vita, il testo di Shawn ricorda, mutatis mutandis, La signorina Else. Ma ben diversa la qualità fra le due opere: leggera, ironica, luminosa sebbene drammatica quella di Schnitzler; irrimediabilmente cupa, mai lieve e tragicamente distopica La febbre. Il suo autore ha creduto, erroneamente, di bandire ogni traccia di ironia per dare più importanza e corpo al dramma raccontato. Così facendo, in realtà, ha prodotto qualcosa di kitsch: non riflessione su un’emozione e quindi arte (come sosteneva T. S. Eliot), ma sua diretta espressione. Ingenuità imperdonabile in poesia.
La trasposizione teatrale de La febbre ad opera di Veronica Cruciani non ha certo migliorato le qualità del testo. Le ha accentuate addirittura. Ne è così emersa una pièce cupa, soffocante, grigia, non divertente in senso brechtiano. I messaggi raccontati, benché importanti, hanno finito col perdere in efficacia e passare inosservati.
Neppure l’attenta e precisa interpretazione di Federica Fracassi è servita a far decollare un testo che avrebbe necessitato un lavoro drammaturgico di alleggerimento, magari puntando su sfumature ironiche e meno tendenti al tragico.
La Fracassi, da attrice d’esperienza, ha compreso che un lavoro siffatto richiedeva un andamento recitativo serrato, privo di soste, così da non lasciare al pubblico un attimo di respiro. Soluzione ideale che ha allontanato, sebbene di poco, le tonalità oscure del testo di Shawn e che una trasposizione teatrale avrebbe potuto, dovuto tramutare in spiragli di luce.
Pierluigi Pietricola